martedì 28 dicembre 2010

Da otelma a berlusconi passando per il polpo Paul

Fine anno tempo di oroscopi e di imbroglioni. Confrontando tutte le previsioni fatte ad inizio anno l'unico che pare ci abbia azzeccato è stato la buonanima del polpo Paul. Tutti gli altri: astrologi, maghi, indovini, cartomanti hanno sbagliato tutte le previsioni non azzeccandone neanche una, e neanche per sbaglio (se volete potete consultare il sito del Cicap), ma ciò non basta ai giornali ed alle tv per buttarli via con un calcio non metaforico nel sedere. Ed eccoli di nuovo con protervia e faccia tosta predirci il futuro. Se ancora credete a queste fregnacce permettetemi di presentarvi il cielo del 31 Dicembre. I nati il 31 Dicembre dovrebbero essere, per i vari otelmi, del segno del Capricorno invece, come si osserva dalla disposizione del Sole in quel giorno il segno è quello del Sagittario!

Mamma li turchi!

Cioè, gli anni Settanta. Sono tornati? Stanno tornando? Si accingono a tornare per inquinare di incubi i nostri sonni innocenti? L’allarme è scattato, il mondo pacifico trema, s’inquieta, si arrabbia: secondo la sensibilità delle sue componenti. Che sono varie, soprattutto per diversificazione economica e, di conseguenza, sociale, e in tanti casi anche politica.
Insomma, i tafferugli, gli scontri, gli episodi di violenza e i graffi causati a certi monumenti-ornamenti della capitale, durante le sfilate originali di martedì 14 dicembre, hanno indotto lo scampanio di questo allarme. Sempre in primo piano per zelo informativo, le televisioni pubbliche e private non cessano di martellare quegli eventi lungo le ventiquattro ore del giorno e per tutti i santi giorni residui del mese in discesa e con prevedibile seguito in quelli del nuovo anno. Quanto alle tonalità dei commenti dominanti, c’è poco da distinguere e sottolineare: fanno un coro unanime di condanna per i “teppisti”, variamente dosata soltanto nel pimento moraleggiante. Vale a dire: tutte le specificità del nostro paesaggio politico sparano la condanna, ma certe posizioni si distinguono per un eccesso di furore che rima preciso con livore: non sorprende che le bocche intente a sciacquarsene le gengive stiano quasi tutte intorno al maestro di violenze variegate, anche se non fragorose: il testé vincitore –compratore della battaglia parlamentare sulla mozione di sfiducia pensata da alcuni simpaticoni ignari delle risorse del Caimano. Scivolando verso il centro e spostandosi un po’ più’ in là i toni sono meno strillanti, ma la condanna solenne non soffre di anemia. Tutti addosso ai black bloc, sovvertitori dell’ordine costituito. E tutti, con sfumature appena sensibili, a recitare solidarietà alle “forze dell’ordine”. Le quali, nell’opinione di troppi campioni del moderatismo incline all’idolatria dell’Ordine con la maiuscola, hanno sempre ragione, qualunque cosa facciano. Anche la più sporca. Come accade, quasi puntualmente, ogni qualvolta s’incontrano con manifestanti un po’ troppo incazzati. Donde la levata di scudi verbali di troppe autorità e soggetti portati all’autoassoluzione smemorata e all’oblio sbarazzino del proprio passato e delle possibili attenuanti dell’ira esplosiva. Dal sindaco ex (s)fascista della capitale al leghista ex rivoluzionario scissionista che occupa il ministero dell’Interno; dai troppi pappagalli arcoriani (Cicchitto Bondi Bonaiuti Lupi Capezzone e altri testoni) al ministro spaziale della Giustizia, è stato tutto un coro di allarmi aizzamenti censure ai magistrati che hanno rimesso in libertà i giovani fermati contro i quali non emerse nessuna imputabile scorrettezza da immediata custodia cautelare. Con un picco di azzardo che inclina al ridicolo: l’invio di ispettori nel presidio giuridico della capitale da parte dell’astrale Alfano. Pochi, e soltanto a sinistra, pur condannando la baldoria scassa-vetrine e brucia-macchine, si son dati pensiero di capire le spinte irate di certa gioventù contro questo Stato non proprio paterno. Sensibilità che manca a troppi politici (professionali o abusivi), e giornalisti al soldo del moderatume sopra non omaggiato. Presso i quali manca una denuncia ampia, documentata, sincera fino alla rotta di collisione con il pestifero conformismo libero-capitalista, i cui crimini mai vengono riconosciuti e bollati per quel che sono. Perché, stringi stringi, questo è il busillis: tanto libero commercio, tantissima libera finanza, condita di liberissima delocalizzazione globalistica (creatura bastarda ma geneticamente incontestabile del capitalismo brado), e un indotto largamente disastroso per tanta parte delle fasce sociali esposte, operai e giovani in testa.
Quando ai giovani si nega il futuro, quando li si costringe alla stasi inerte della famiglia gravitante su modestissime entrate (da salario o da avarissima pensione, spesso di nonni), pensano, i benpensanti del cavolfiore, che se ne debbano e possano stare buoni e tranquilli fino alla improbabile vecchiaia? Eppure è questo il sottinteso di quanto pensano i campioni del liberismo dogmatico, tetragoni all’evidenza dei fatti e misfatti di quel credo applicato alla gestione dello Stato democratico. Un’ autorevole figura di questo campionario, Piero Ottone, nell’editoriale corseresco di sabato 18 (titolo, I diritti e la legge, sovrastato da questo occhiello di un bel rosso-allarme, “La violenza non è mai giustificabile”) recita l’ennesima sintesi replicante del suo pensiero cristallizzato, sbandierando formule seducenti e ottative astrazioni festosamente veleggianti sopra la materiale brutalità degli eventi. Seguiamolo come in un pellegrinaggio penitenziale. Comincia con un altolà rigido come un blocco di marmo sagomato: “C’è da parte di alcuni media – trasmissioni tv e giornali – una certa irresponsabile indulgenza, persino una sorta di giustificazionismo morale e ideologico, nei confronti dei responsabili dei disordini di Roma, che male si conciliano con l’idea di democrazia liberale”. Tanto strazio della Libertà maiuscolata (ma in quali media l’ha letto e ascoltato?) poggerebbe, secondo Ostellino in codesta “tesi di fondo”, che “la classe politica, nella circostanza, si sarebbe arroccata dentro al Palazzo, al sicuro di una ‘zona rossa’ e non avrebbe saputo guardare, oltre a ciò che stava accadendo nelle strade, anche alla maggioranza degli italiani che non manifestano, ma che sono ugualmente depressi e sfiduciati.” Questa “piadina” drogata e abusiva non sarebbe altro che “una versione aggiornata dei ‘compagni che sbagliano’(ma hanno ragione)”. E qui scatta l’impeto indignato del sacerdote della Libertà offesa: “Dire che le parole a giustificazione delle criminali violenze che hanno messo a ferro e fuoco la capitale sono sbagliate è dire poco.” Ripetiamo: ma dove le ha beccate? E cosa bisogna aggiungere a quel “poco”? Presto detto: quelle parole sono anche “pericolose”. E sia detto, precisa don Piero, senza alcuna indulgenza per “questa classe politica”, di cui “si può dire tutto il male possibile”: come fa lui personalmente di persona (per dirla alla Catarella camilleriano) “in ogni suo articolo”. Ma tanto eventuale rigore non giustifica l’accusa a quella scadente congerie “di non saper capire che le ragioni della violenza sono anche quelle della maggioranza degli italiani” (che non perciò vanno a bruciare macchine costose): una tale accusa equivale a “negare la Politica stessa”. La quale Politica (doverosamente incappucciata di maiuscola) “rimane il solo strumento di pacifica composizione delle differenze e dei conflitti”. Una solida barriera, al di là della quale non si fa altro che “spalancare le porte al terrorismo”. Come non capire che la “zona rossa” non intendeva “difendere la classe politica, ma le istituzioni”; difenderle da quei “delinquenti o idioti convinti di fare la rivoluzione spaccando vetrine e bancomat”. Non solo, ma secondo l’editorialista (che qui s’improvvisa indovino) quegli idioti fracassoni erano anche “intenzionati a estendere al Parlamento lo stesso trattamento”. Più o meno come è accaduto con i giovani “che volevano dimostrare pacificamente il loro dissenso e sono stati travolti essi stessi dalla violenza”. A questo punto non rimane che passare alla teoresi. “Manifestare è una libertà liberale inalienabile, un diritto costituzionale”. E fin qui, tutto liscio e cielo sereno. Il quale cielo si intorbida, però, quando si passa a quella “diversa e più complessa definizione” che riguarda “la rivendicazione, da parte di gruppi di ogni categoria sociale, dei propri diritti corporativi, ogni volta che siano toccati dalla politica, con la pretesa che il Parlamento ridiscuta con loro le scelte fatte ad ogni stormire di manifestazione, pena la ‘separazione’ del Paese reale dal Paese legale e il rischio di violenze”. Ed eccoci fuori “dalla democrazia liberale e rappresentativa”, anzi addirittura precipitati “in un surreale pluralismo che rifiuta le regole del Costituzionalismo e ignora le libertà individuali”. Ovvero, per dirla a colori più accesi (dopo un’ovvia censura all’ingenuo Rousseau): “Si finisce, in sostanza, nel permanente assemblearismo di Piazza, nella negazione dell’esito delle libere lezioni, cioè nello svuotamento della sovranità popolare, nel totalitarismo di una supposta ‘volontà generale’ (che è, poi , sempre particolare). Salvo voler rientrare nella democrazia rappresentativa se a vincere le elezioni è la propria parte politica”.
E qui ci scappa un modesto lamento: Homini sumus, non dei. Ovviamente, “quando si ricorre alla violenza, non si parla più di diritti. Si mette in discussione la Legge. Che va rispettata. E’ un fatto che il ‘rivendicazionismo continuo di diritti (o di privilegi?) collettivi e corporativi sia un sintomo di crisi della democrazia rappresentativa”. A chiusura dello sfogo, una lezioncina-monito su questa democrazia, della quale -- scrive, didattico-- “si dovrebbe discutere con proprietà di linguaggio culturale e politico, senza concessioni demagogiche e totalitaristiche, ed evitando di stravolgerne, come invece si fa, i fondamenti stessi”.
Qualche postilla a tanta dottrina ci tenta come un dovere ineludibile. Se la russoviana “volontà generale” si riduce sempre a particolare, come mai lo stesso processo logico-dimagrante non accade alla sua “volontà popolare”? Perché, forse, le appare garantita dal “libero voto”? Bene. Vediamolo questo passe-partout del democratismo liberale. Tanto libero voto appartiene in grandissima e prevalente parte agli strati sociali meno dotati di istruzione, capacità di valutazione politica di persone ed eventi, largamente disponibile al mercato (lo stesso che ha conquistato la striminzita maggioranza al premier, ma più vasto e più facile per il compratore). Durante le elezioni amministrative siciliane nella città di Liotria quel tale mercato prevedeva somme diverse per ogni livello sociale di votante: si citavano cifre che salivano dai 50 euro ai cento e 150. L’eletto fu il sindaco delle grandi aspettative, medico personale del Caimano, ma che finì giudicato e condannato per sperperi e abusi di ogni genere. Centinaia di pubblici amministratori sono di questa sostanza: liberi votanti? Perché no: ma del genere “a qual prezzo!”. Il che mina alla base la pretesa e sottintesa purezza delle radici e dell’humus della decantata democrazia liberale. Rispetto della legge? Non può essere un assoluto: altrimenti dovremmo giustificare i boia nazisti che invocavano quel rispetto. Ma si trattava di una dittatura: sì, ma portata al potere dalla “libera volontà” dei votanti. Si obietterà: le leggi non eque si possono modificare. Certo, ma con quel vizio del particolarismo che il liberale s’illude di evitare. Magari trasferito nel santuario bacato detto Parlamento. E quando mai le democrazie liberali hanno garantito equità a tutte le categorie e fasce sociali? Leggi che il “libero parlamento” ha votato a favore di ceti e consorterie privilegiate (Mammona docente) dovrebbero essere rispettate da quelli soccombenti? A dirlo, in clima di astrazioni teoriche, ci vuol poco; si può recitarlo magari in latino, dura lex, sed lex, sopportarne gli effetti pratici è un tantino più pesante. Planando verso terra, la situazione odierna in Italia e in cento altri Paesi è tale che stupisce come non siano scoppiate rivolte ben più severe che questi scoppi di malumore lesivo di qualche vetrina e bancomat e berline di lusso. Ma, in fondo, la spiegazione del buonumore dei privilegiati sermoneggianti è così ovvia che umilia persino spendere parole per commentarla. Ed è tanto coriacea che non servirebbe nemmeno rinfacciare a quei signori lo scandalo dei loro vantaggi e privilegi, sovente di magnitudo scandalosamente provocatoria. Ma sì, penso ai superstipendi di manager e dirigenti di mille e mille agenzie disparate. E allo scialo di pubblico denaro (cioè, di soldi tolti alle nostre tasche e famiglie) che indigna indagatori pazienti e alacri, come Gian Antonio Stella e Aldo Rizzo: ultima denuncia, la scialo molisano. Che ha dell’incredibile, per la sua vastità, spudoratezza, inerzia delle strutture di controllo. E che dire degli scandali mazzettari di tutti i livelli che vanno emergendo a getto continuo? La storica tangentopoli non è stata uccisa da Mani pulite, si è solo acquattata per qualche pausa coatta e poter riesplodere altrettanto virulenta.
Questa è la realtà della democrazia liberale tanto infiorata dalla teoresi astratta. E dappertutto, anche se l’Italia vi celebra uno dei suoi molti primati negativi. I quali dall’attuale maggioranza sono stati, non combattuti ed evitati, ma diffusamente esaltati. Come dimostra la percentuale di indagati e intercettati. E non c‘è male per gente che si presentava all’incasso elettorale come affossatori della “vecchia politica” e moralizzatori della nuova. Sì, i nuovi marpioni della mazzetta sono colpiti da nostalgia per la “gloriosa” tangentopoli. Ma arriverà mai una seconda Mani pulite dipietrizzata? In compenso, si risparmia sui poveri cristi indifesi, come i pensionati della Scuola. Al punto che un professore di filosofia e storia, dopo quarant’anni di onesto servizio, si ritrova con una pensione che non arriva, al netto, nemmeno a duemila euro mensili (e sfido, con un prelievo fiscale del 26%). Mentre gli sfaticati ciarlieri del sovrano Parlamento sguazzano nel bagno dei mille privilegi, facendo boccacce ai soliti contaballe che promettono, ad ogni volger di stagione, tagli delle pletore parlamentari, risparmi sugli spostamenti “illustri” (auto blu, voli e quant’altro), supercontrolli sull’uso vastamente plurale delle pubbliche finanze, così spesso “abusate” nel più e nel meno. E tutto questo non sarebbe violenza? Forse converrebbe prestare più guardinga attenzione a quello strano e sagace libello dell’Anonimo ateniese del V secolo a. C., La democrazia come violenza (tale il titolo dell’edizione Sellerio curata e magistralmente commentata da Luciano Canfora). Non certo per celebrare la dittatura, ma certamente per non cantare lodi liberal-democratiche ignare dei vulnera che ne rendono imperfetta la realtà operativa.
*
Eureka! Abbiamo vinto. Cioè, ha vinto la pace. Perciò, di riflesso, noi pacifici e pacifisti. Questo scrittorello, già concluso un paio di giorni fa, era stato bloccato per attendere il nuovo appuntamento del 22 scorso: il corteo romano degli studenti. Oggi possiamo complimentarci con quei ragazzi per la prova di autocontrollo e (a suo modo) allegra inventiva che gli ha suggerito di evitare la “zona rossa” e gli eventuali (anzi inevitabili in caso di sfida) scontri comunque attizzati. E di averlo fatto con goliardica ironia e sorridente compostezza. Uno dei loro “cartelli” diceva questa boutade-verità: “Voi soli nella zona rossa, noi liberi per la città”. Ecco come lo presenta un articolo del Corsera: “Scritta in bianco su fondo blu, lo striscione srotolato davanti alla Sapienza annuncia di buon mattino la beffa organizzata dagli studenti. Nessun tentativo di forzare i blocchi della polizia […] ma una marcia pacifica, colorata e ironica che invade la periferia romana, blocca per qualche ora la tangenziale e l’autostrada per l’Aquila (un simbolo anche questo) e in più di un’occasione incassa la solidarietà della gente per strada”. Culmine dell’avventura, la gioia di essere ricevuti dal Presidente Napolitano, ascoltati con vivo (verrebbe voglia di dire paterno) interesse, invitati a mettere per iscritto le loro obiezioni alla riforma Gelmini (“Bisogna che cominciate a costruire queste eventuali correzioni”) e a inviargliele: “Inviatemele, le valuterò”. Quanto all’appello ingenuamente rivolto dai cortei al Presidente perché rifiuti di firmare i relativi decreti, non restava alla sua cortese pazienza che improvvisare una sorridente lezioncina atipica sui limiti costituzionali dei suoi poteri. E anche questo l’Uomo del Colle ha fatto con comprensiva tolleranza.
Di fronte al successo romano, gli episodi di violenza di Palermo e Milano sbiadiscono come piccoli spruzzi di pioggia in un cielo in prevalenza sereno. Mentre le considerazioni di esperti e giornalisti di vaglia (quali, per fare un esempio, Di Vico e Ferrera: Corsera, Le risorse che ci sono: “La giornata di ieri si è chiusa con un bilancio positivo. La temuta Apocalisse non c’è stata […] la coraggiosa iniziativa del capo dello Stato ha fatto il resto”) sulla necessità di assicurare risorse alle istituzioni culturali, a cominciare dalla Scuola in tutte le sue articolazioni, e alla ricerca, conservano tutto il loro valore di stimolo. A verniciarsi di rosso le non sempre attraenti facce dovrebbero essere certi politici appassionati di arresti preventivi e carcerazioni ingiustificate.
Beninteso, questo momento di, come dire?, relax speranzoso, resta ben lontano dalla traduzione delle corrette attese in realtà legislative e atti operativi. Conosciamo fin troppo bene le furbizie dei signori politici, specialmente di questa maggioranza scheggiata dall’incerto destino, per abbandonarci all’euforia di robuste speranze e vigilie di certezze. Le parole di Luca Cafagna (il giovane che sfidò La Russa ad “Annozero”) sono incisive: “Adesso il governo apra un confronto con noi, perché non è possibile chiudersi sempre dentro le zone rosse e blindarsi nei palazzi”. Ma non possiamo dargli più che un augurio sentito (quanto dubbioso verso l’Interlocutore).
Pasquale Licciardello

lunedì 27 dicembre 2010

Salviamo il soldato bondi

Più fedele di Lassie, più ingenuo del Puffo Tontolone, più martire di Padre Pio, di Santa Maria Goretti e della binetti, più vergine di formigoni, più pianista di Arthur Rubinstein, più compagno di Massimo D'Alema... Pare che il soldato bondi si voglia sacrificare per la causa del padrone presentando le dimissioni prima di essere dimissionato. A nome di tutti quelli che, come me, riempiono i blog con le avventure del sandrino chiedo, invoco, auspico la salvezza dell'eroe.

sabato 25 dicembre 2010

Il pensiero



gasparri invoca gli arresti preventivi per gli studenti. la russa afferma "il pensiero di gasparri è stato frainteso!". Quale pensiero?

mercoledì 22 dicembre 2010

Maggiordomi

Alfred Pennyworth, Archie, Battista, Crichton, Edwin Jarvis, Geoffrey Barbara, Lurch, Niles, Passepartout, Sebastian Michaelis, Ayasaki Hayate, Stevens, Winston, Jeeves, Riff Raff, French, Garrison Tokida, alessio vinci: cosa hanno in comune queste persone? Sono tutti maggiordomi! L'ultimo è il maggiordomo di berlusconi a Matrix.

martedì 21 dicembre 2010

venerdì 17 dicembre 2010

Altan

Il Crocifisso

Uno. Saidiou Gadiaga, Elhdj per gli  amici, per la legge italiana era un delinquente. Da anni in Italia aveva sempre svolto lavori in nero senza trovare nessuno che lo mettesse in regola. Era dunque un clandestino, quindi un delinquente. Non aveva mai ucciso, rubato, forse non aveva mai neanche attraversato un incrocio con il rosso ... ma restava sempre un delinquente. Incappato in un controllo e trovato senza permesso di soggiorno viene condotto in prigione malgrado soffrisse di una grave forma di asma certificata. In prigione muore. Un delinquente in meno!
Due. Sua santità joseph alois ratzinger, benedetto xvi, ha ringraziato il governo berlusconi per la difesa del Crocifisso.

giovedì 16 dicembre 2010

Quando la realtà supera la satira

"Cari compagni, vi spiego perché non dovreste sfiduciarmi. Siccome riconosco ancora nei principali leader della sinistra e in particolare a Bersani, Veltroni e Fassino un residuo di concezione seria della politica e di rispetto nei confronti degli avversari politici, vi chiedo di fermarvi e di riflettere prima di presentare contro di me un atto parlamentare cosi' spropositato, pretestuoso e dirompente sul piano umano, che rappresenterebbe un'onta non per me che lo subisco ma per voi che lo promuovete". bondi sandro ministro della Repubblica.

lunedì 13 dicembre 2010

Buonanotte!

Eccovi il momento più significativo del discorso di berlusconi al senato.
Elisabeth Dibble incaricata di affari Americana all'ambasciata di Roma in un rapporto al governo Usa: "Il presidente del Consiglio italiano è un leader fisicamente e politicamente debole le cui frequenti lunghe nottate e l’inclinazione ai party significano che non si riposa a sufficienza”.
Non è vero!! berlusconi dorme sempre saporitamente quando si reca alle Camere.

giovedì 9 dicembre 2010

Dio, patria e famiglia.

Soprattutto famiglia. Così si sarà detto il duro e puro ex fascista alemanno, sindaco di Roma. Duro e puro sì ma ..tengo famiglia! E così le società municipalizzate di Roma procedono all'assunzione di 1.800 (!!) persone per chiamata diretta, e senza concorso, tutte riconducibili, per legami di parentela o di partito, alla destra romana: figli, nipoti, nuore, suocere, consuoceri, cugini, pronipoti, nonni, compari, amanti, generi, cognati, patrigni, matrigne, fratellastri, sorellastre e camerati.

mercoledì 8 dicembre 2010

Il mercato



Da notizie di stampa apprendiamo che in mattinata un onorevole al mercato potrebbe costare fino a 500.000 euro. Non sono previsti sconti perlomeno fino al 14 Dicembre. Si spera comunque che i saldi di Natale possano calmierare i prezzi.

mercoledì 1 dicembre 2010

Il coccolone

Al povero ministro bondi è quasi venuto un coccolone quando ha saputo che a Pompei era venuto giù anche un muro del lupanare. Aveva convocato i cani da slavina, la protezione civile tedesca (di quella italiana comincia a non fidarsi neanche il fido bondi) e le crocerossine in calzamaglia (per l'eventuale rianimazione). Ordine imperativo: tirare fuori silvio dalle macerie del bordello pompeiano. Ma per fortuna che un funzionario solerte l'ha subito tranquillizzato: a venire giù è stato un muro del Lupanare Piccolo dove al più si poteva trovare in visita la russa. Il Lupanare Grande per ora è salvo e, con esso, silvio.

martedì 30 novembre 2010

Salviamo il trota!



Dal 9 Dicembre la legge prevede che potrà ottenere un permesso di soggiorno solo chi è in grado si sostenere una prova di italiano. Si teme l'immediata espulsione di bossi junior meglio noto come "Il trota" per la sua acutezza mentale e per la capacità di articolare idee in buon italiano.

bondi a Pompei



A Pompei cade un muro della casa del Moralista. Il ministro bondi dichiara "Niente di grave mica è caduto un muro nel Lupanare!".

domenica 28 novembre 2010

Io non sono italiano!

Saranno denunciati per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina "il medico curante e persone esterne" all'ospedale San Paolo di Milano, da dove è stato dimesso l'immigrato che nel pomeriggio di sabato è sceso dalla torre della ex Carlo Erba, in via Imbonati, a causa delle sue gravi condizioni di salute. Lo rende noto la questura di Milano, aggiungendo che l'immigrato è stato dimesso nella prima mattinata odierna da parte di personale medico di quell'ospedale.

Nel comunicato non è spiegato quale sia il medico che sarà denunciato: se quello appartenente a Emergency, che l'ha curato sulla torre, oppure un medico che l'ha assistito in seguito. "In merito ai fatti sono in corso indagini per accertare la correttezza delle procedure adottate - spiega la questura - essendo emersi da parte del medico curante e di altre persone estranee alla struttura sanitaria comportamenti che configurano l'ipotesi di reato di favoreggiamento all'immigrazione clandestina. I fatti costituenti reato saranno oggetto di denuncia all'autorità giudiziaria".

da www.repubblica.it

giovedì 25 novembre 2010

La carfagna non si dim(t)ette



La carfagna incontra berlusconi e si dichiara convinta. berlusconi incontra la carfagna e si dichiara soddisfatto.

mercoledì 24 novembre 2010

Dedicato al ministro bondi






"Il dito".
Maurizio Catellan.
Milano, Piazza Affari.

bondi e i Macchiaioli

Al Caffè Michelangelo in Firenze, attorno al critico Diego Martelli, un gruppo di pittori dà vita al movimento dei macchiaioli. Questo movimento si propone di rinnovare la cultura pittorica nazionale (italiana). La poetica macchiaiola è verista opponendosi al Romanticismo, al Neoclassicismo e al Purismo accademico, e sostiene che l’immagine del vero è un contrasto di macchie di colore e di chiaroscuro, inizialmente ottenuti tramite una tecnica chiamata dello specchio nero, ossia utilizzando uno specchio annerito col fumo permettendo di esaltare i contrasti chiaroscurali all’interno del dipinto. L’arte di questi pittori come la definì Adriano Cecioni, teorico e critico del movimento, consisteva "nel rendere le impressioni che ricevevano dal vero col mezzo di macchie di colori di chiari e di scuri".
Ordine del ministro bondi ai musei d'Italia "Forza di gomito! Li volete togliere tutte le macchie dai quadri?".

bondi al museo 2





Orinatoio (Fontana). Marcel Duchamp  - 1917-1964. Collezione privata.


Cosa pensate abbia fatto il ministro bondi?

bondi al museo





Scenata del ministro bondi in un museo: "Dei vandali hanno squarciato un quadro di Fontana!".
Corrado Guzzanti

Stato infetto e democrazie bacate

Che la storia d’Italia sia piena di misteri è, da tempo, un luogo comune onorato da ogni ricerca storica degna del nome. Che ognuno di questi misteri sia un covone di crimini è ovvia constatazione della ricerca e della pubblica opinione attenta ai fasti e nefasti del mondo. Dello stesso grado di veridicità è l’induzione di una presenza attiva dello Stato (nel senso di certi uomini di qualche sua struttura) in alcune delle trame criminali sfociate nel delitto. Né è meno ovvio che la ricerca della verità non sia gradita da gran parte delle classi dirigenti: uomini di governo, responsabili delle istituzioni strutturali, figure degli apparati di sicurezza socio-politica, servizi segreti e complementi vari dell’autodifesa statale. Ma neanche eminenze della vita economico-finanziaria gradiscono l’“accanimento” nella ricerca della verità, venendo a spalleggiare, così, gli avversari politici delle verità pudende, e tutti gli altri che, in argomento, hanno la proverbiale coda di paglia.
I misteri d’Italia hanno radici e proliferazioni lunghe e frondose: inevitabile, dunque, che se ne restringa l’ambito di riferimento. Per esempio, cominciando dall’immediato dopoguerra della seconda ecatombe infernale. Tra gli anni ’44-47 una serie di omicidi misteriosi eliminarono una folta quantità di sindacalisti e militanti dei partiti socialista e comunista. Il culmine plurale di questa vera e propria strategia del terrore si ebbe nel tragico 1° maggio del 1947 con la strage di Portella della ginestra: uomini, donne e bambini attratti in quella spianata da pacifici comizi celebrativi della ritrovata festa del lavoro vennero falciati da raffiche di mitra provenienti dalle colline circostanti. Ebbene, non esiste ancora oggi una versione ufficialmente acquisita e riconosciuta di quei crimini. Ricerche di studiosi indipendenti hanno raccolto elementi bastevoli a formulare una versione convincente di quei tragici fatti: in quegli anni torbidi d’incertezze politiche un imperativo dominava le apprensioni degli Stati Uniti: impedire che il risveglio socio-politico delle forze popolari portasse l’Italia, e quindi la sua grossa porzione insulare, la Sicilia, nell’area del comunismo sovietico. Indi, terrore e stragi a gogò. Il tutto, ovviamente, in nome della “bella, immortal, benefica fede” democratica. E vaticana. Basti un solo titolo tra i non molti che hanno fatto luce su quelle infamie: Giuseppe Casarrubea, Storia segreta della Sicilia. Dallo sbarco alleato a Portella della ginestra, Tascabili Bompiani, 2005. La vasta documentazione di prima mano, in gran parte nuova, e la congeniale Introduzione di Nicola Tranfaglia (dal titolo incisivamente allusivo: Anatomia di una strage con molti colpevoli), garantiscono ulteriormente la sostanziale autorevolezza della meritoria fatica.
Naturalmente, anche la vicenda del Bandito Giuliano rientra in questa logica criminalmente realpolitica. Se ne sta riparlando in questi giorni, e i media assolvono festosamente il loro compito. E’ venuta fuori perfino l’ipotesi di riesumare i resti del bandito-fantoccio per controllarne l’identità: sì, si dubita anche della “autenticità” del cadavere. E i familiari sono in fermento. Giuliano fu un facile strumento nelle mani delle stesse forze eversive, italiane e straniere, che lavoravano con le stragi terroristiche: residuati fascisti, di Salò e della diaspora post-Salò, tutti protetti da certi ufficiali americani impegnati (con discrezione, si capisce, ma una discrezione piena di buchi) nell’impresa storica di arginare, respingere prevenire il dilagare della “peste comunista”. E, con Giuliano, il cugino Pisciotta, al quale si attribuì il tradimento omicida del bandito, che consentì alle forze dell’ordine di sorprendere e uccidere in uno scontro il “terrore di Montelepre”: insomma, una bella storia, ma tutta inventata. Tranne i morti ammazzati: con proditorio attacco militare, come Giuliano (o il suo “pupo” sostitutivo), o col silente caffè al cianuro (come Pisciotta).
Il torbidume al sangue innocente dei fatti appena richiamati, si ritrova anche negli eventi più freschi (ma pur sempre “maggiorenni”, se hanno raggiunto i 18 anni!), come le stragi di Capaci e Via D’Amelio, cioè (sia detto per i giovani poco informati) l’eliminazione dei giudici antimafia Giovanni Falcone (23. 05.’92) e Paolo Borsellino (19. 07. ’92), con inclusi gli uomini delle scorte (e la moglie di Falcone). Nessuna verità piena e solare, nei due casi. Né, tantomeno, sugli attentati, anch’essi stragisti, di Firenze, coda dell’estate ’92 e seguito targato 1993, più quelli, contemporanei, ma, casualmente incruenti, di Roma e Milano.
Anche per questi crimini, indizi, rivelazioni di pentiti (Spatuzza e altri), testimonianze orali e documentali di Massimo Ciancimino stanno svelando verità pudende sugli accordi Stato-Mafia e conseguenti complicità di alti ufficiali dei carabinieri e di agenti segreti con Cosa nostra. Massimo è figlio di don Vito Ciancimino, famigerato sindaco mafioso di Palermo eroe nero della sua cementificazione selvaggia (il cosiddetto “sacco di Palermo”), amico e complice “strutturato” dei capimafia, prima dei Bontate e soci, poi di Totò Riina e Bernardo Provenzano. Il rampollo Ciancimino era messo al corrente dei movimenti paterni dal genitore in persona, e perciò possiede documenti probanti (il famoso “papello”, tra l’altro), ha mostrato di non aspettarsi vantaggi dalle sue rivelazioni, eppure la professionale cautela dei giudici (Ingroia in testa) nel valutare le rivelazioni di Massimo e dei pentiti viene amplificata e storpiata dal coro arcoriano, compatto nel lanciare calunniose offese ai collaboratori di giustizia. E, implicitamente, taciti “consigli” agli inquirenti. I pentiti e Massimo sono tutti bugiardi, c’è dietro di loro un comitato mafioso con un preciso piano diffamatorio puntato contro la cristallina lealtà di galantuomini onestamente inseriti nelle istituzioni democratiche. Se si chiede quali sarebbero questi specchiati campioni di coerenza morale e squisitezza democratica saltano fuori, prima i nomi del senatore Dell’Utri, del colonnello (oggi generale) Mori, dell’ex ministro (ed ex vice presidente del Csm) Mancino, più quelli di alcune figure minori di recente acquisizione nel gota delle eccellenze. E perfino il riverito nome dello “stalliere” Vittorio Mangano, “guardiano” delle innocenti stalle di Arcore definito dal senatore “un vero eroe”. Come si presentano questi signori alla pubblica opinione e alla solerzia inquisitrice dei magistrati? Dell’Utri è stato già condannato due volte (primo grado e appello) come mafioso, Mori ha negato e nega ogni responsabilità criminale, Mancino si dice altrettanto pulito e ignaro di trattative Stato-mafia. E così via per altre figure di minore spicco. Ma dietro questi nomi sta qualcuno e qualcosa di ben più grosso e sconvolgente: stanno l’immacolato testimone di ogni verità onestà capacità manageriale e politica, insomma il Cavaliere par excellence, don Silvio Berlusconi. Uomo della provvidenza, anche lui come il Duce, ma più e meglio di quello, finito male, secondo i suoi lecchini; nonché manager incomparabile, generoso elargitore di premi ai volenterosi (complici coscienti e ignari adoratori), premier–coraggio dalle mille risorse, e via intronando (per tacere delle escort, delle feste più o meno drogate, delle minorenni ispiratrici di “protezioni” costose). Ma dire Berlusconi significa illuminare la nascita, non solo di un vasto impero economico imprenditoriale, ma addirittura della cosiddetta Seconda Repubblica, con i suoi luccichii e le sue ombre. In sintesi, la tesi circolante fra pentiti e magistrati pur cautelosi, intellettuali non inquadrati nei reparti certosini, osservatori sensibili che fanno “due più due dà quattro”, studiosi che incollano al giusto posto i vari tasselli del puzzle, è questa: lo Stato ha trattato con i capi mafia Riina e Provenzano, ne ha accettato le condizioni offerte per la cessazione delle stragi, Dell’Utri, mediatore delle trattative, ha svuotato nelle casse del Cavaliere una barca di soldi, così da finanziargli la “discesa in campo” e il relativo successo politico. Dal quale nasce la Seconda Repubblica e le sue implicazioni malamente rinnovatrici che abbiamo potuto ammirare negli ultimi tre lustri. Tutto questo è venuto ufficialmente fuori nella motivazione della sentenza d’appello contro il Senatore, uscita in questi giorni. E subito commentata dai media, “rigettata” dagli amici, respinta dal Bersaglio. Il quale si sta sbracciando a negare le evidenze registrate in quel documento concedendo interviste a destra e a manca. La sintesi del suo “pensiero” è in questo giudizio che dovrebbe mostrare la “illogicità” della sentenza: “La sentenza è illogica” perché la sospettata alleanza fra Dell’Utri e i capi mafia non sarebbe stata sfruttata a pieno dal terzo polo dell’intreccio, cioè Berlusconi. Illazione che non sfiorò neppure i giudici quando scrissero questa “motivazione”: Dell’Utri “ha svolto, ricorrendo all’amico Gaetano Cinà e alle sue “autorevoli” conoscenze e parentele, un’attività di mediazione quale canale di collegamento tra l’associazione mafiosa, in persona del suo più influente esponente dell’epoca, Stefano Bontate, e Silvio Berlusconi, così apportando un consapevole rilevante contributo al rafforzamento del sodalizio criminoso al quale ha procurato una cospicua fonte di guadagno illecito rappresentata da una delle più affermate realtà imprenditoriali di quel periodo, divenuta nel volgere di pochi anni un vero e proprio impero finanziario ed economico”. Finita l’epoca dei Bontate, Teresi eccetera, tocca ai nuovi boss presentarsi all’incasso presso l’imprenditore fortunato. Ancora la motivazione giudiziaria con altre piccanti rivelazioni: “fin dalla metà degli anni Ottanta, Riina, oltre al preminente interesse economico di carattere estorsivo, intendeva agganciare l’imprenditore Silvio Berlusconi per giungere fino all’onorevole Bettino Craxi, uno degli uomini politici italiani più influenti e rappresentativi del tempo, essendo a tutti nota l’amicizia che legava i due” (riportiamo dal Corsera del 20 novembre). Per Dell’Utri questa valanga di accuse, puntuali e circostanziate, sono soltanto fantasie di menti malate, meglio connotabili con linguaggio spiccio e sprezzante: “Le debbo ripetere [dice all’intervistatore] che sono ‘minchiate’? Dobbiamo sentire echeggiare sempre le stesse infamie? Ci rendiamo conto che stiamo parlando di cose vecchie di trentasei anni? Uno come fa a difendersi da accuse ricostruite dopo una vita?”
Dei molti commenti dei berlusconiani alla sentenza (7 anni di carcere), il più dei quali prevedibilmente cretini per eccesso di cecità obbligata, non vale la pena di parlare. Salvo, forse, per il “dolore” di Daniele Capezzone, portavoce del Pdl, che sospira questa dichiarazione proiettata su un destino storico aere perennius: “E’ una sentenza ingiusta che ci addolora, speriamo che la Cassazione sia più coraggiosa”. Sperare non è proibito. Al più, può essere spudorato. Ed entrare in una consuetudine ferrigna in quel di Arcore. E poi, chissà?, si vocifera che in Cassazione siedano anche frammassoni: saranno impermeabili alle insinuazioni amicali? (si staranno chiedendo in quel di arcorlandia.
Fra i commenti delle opposizioni (prevedibili al dettaglio), ricordiamo soltanto l’appello di Di Pietro: “Adesso che anche le sentenze parlano di rapporti ravvicinati fra mafia a premier, speriamo che si trovino 316 parlamentari che lo sfiducino”. Ahimè, non sentiamo salire altro che un sospiro scettico dal fondo delle nostre cumulate delusioni storiche: “campa cavallo!”
Quanto all’olocausto che ha tolto di mezzo due ostacoli tosti al successo del progetto, cioè Falcone e Borsellino, molti indizi già da tempo indicano nei Servizi segreti cosiddetti deviati i pupari zannuti della soluzione tragica. Eccone qualcuno. Falcone non spargeva ai quattro venti giorno ora percorso dei suoi spostamenti, e negli ultimi tempi li cambiava all’ultimo momento. Come fecero, i suoi assassini, a conoscerli? Stessa domanda, ed altre, per Borsellino, con la risposta che sembra collocarsi nel castello di monte Pellegrino, da cui si poteva controllare parte di via D’Amelio e relativa piazzetta. Di più: l’esplosivo usato per imbottirne la Cinquecento esplosa era in dotazione soltanto alle forze militari. Infine, il mistero della borsa scomparsa con dentro la famosa agenda rossa, rifugio degli appunti sensibili del giudice. Quell’agenda, vista in mano a un militare nel momento della perquisizione della macchina sventrata, sventola, in riproduzione e metafora, ad ogni annuale manifestazione pro veritate, che vede in campo il fratello di Paolo, la sorella e altri familiari, nonché le persone sensibili alla giustizia e al rispetto della vita umana.
Indizi, ricostruzioni problematiche, sospetti, e quant’altro converge con la comoda cautela del Giure (troppo onorato nei fatti procedurali, ma tradito nella sostanza reale che gronda sangue innocente), non permettono, ancora oggi, di sigillare con la parola risolutiva vicende criminali sconvolgenti per la storia umana del nostro Paese. Di tanto in tanto qualche voce si alza a chiedere verità, i giornali se ne occupano (recentemente è stato Veltroni a chiederla, a voce alta) ma presto la voce si spegne e la risposta non arriva. E c’è da temere che non arriverà mai: troppi nomi di peso vi sono implicati, troppe relazioni pubbliche e istituzionali vi sono coinvolte. E forse (magari senza forse) molte conseguenze pesanti ne scapperebbero fuori. Non è del tutto escludibile che vi siano coinvolte perfino potenze straniere. Come nel caso Moro, sacrificato cinicamente ad una torma di menzogne gestite dall’esterno, con in mezzo un oceano continentale e un fiume casalingo, ma che separa due Stati. Si tirò in ballo, come alibi, l’inviolabilità dello Stato, lo stesso Bene sacro che si era tradito decine di volte. Questo mitico Stato non poteva trattare con dei terroristi! E dunque si fa luce sulla posizione vaticana rutilante nelle dichiarazioni di un alto prelato: “E’ meglio che muoia un uomo solo piuttosto che crolli lo Stato”. Era la risposta saettata in faccia a tre presuli che si offrivano come ostaggi alle Br per salvare Moro, ed erano già entrati in contatto con quei terroristi tragicamente illusi. Ingenuamente, chiedevano il permesso ufficiale al loro gesto generoso. Ma quel grande capo suonò il no perentorio che troncava ogni discussione. E spiega anche perché papa Paolo VI fu costretto a chiedere la liberazione del prigioniero “senza condizioni”: cioè nella sola maniera inaccettabile per quei sognatori che inseguivano il riconoscimento di “forza politica” dallo sputtanatissimo Stato italiano. Risuonano ancora le dolenti parole del Prigioniero: “Anche il papa ha fatto pochino”.

Pasquale Licciardello

martedì 23 novembre 2010

bondi il buono

Ma quant'è umano lei direbbe Fracchia riferendosi al povero ministro bondi. Il fatto: bondi, il poeta incompreso, decide di convivere, more uxorio, con l'onorevole forzaitaliaota emanuela repetti che, ammaliata dalle rime baciate del nostro, lascia marito e figlio. Già è difficile per il cristianissimo bondi vivere nel peccato e poi il pensiero dell'ex marito della moglie, lasciato all'addiaccio, non lo fa dormire la notte. Pensa che ti ripensa, trova la soluzione geniale! Perché non fare avere all'ex disperato(?), come mercede consolatoria, una prebenda magari pagandola con i fondi per lo spettacolo del suo ministero? Detto fatto e, già che c'è, forse nel tentativo di tacitare la coscienza, non dimentica di elargire una mancetta anche al figlio della convivente. Ma sentite come si giustifica: "Posso dare una spiegazione. Non ho violato nessuna legge. Sono solo intervenuto per risolvere due casi umani. È la tragedia di un uomo che era disoccupato e senza lavoro...Si tratta di una vicenda molto dolorosa. Di una storia amara, ma anche del tutto personale e privata". Privata sì ma pagata con i soldi pubblici. 

lunedì 22 novembre 2010

Salviamo il 5x1000

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Al Parlamento Italiano

Al presidente della Camera dei Deputati, Onorevole Gianfranco Fini
Al presidente del Senato della Repubblica Italiana, Onorevole Renato Schifani

Negli scorsi giorni, gli organi di stampa hanno riportato la notizia che la Commissione Bilancio della Camera dei Deputati ha esaminato il testo della nuova "legge per la stabilità" di prossima discussione e approvazione in Parlamento, legge che limiterebbe a 100 milioni di euro i fondi da destinare al "5 x 1.000" per l'anno 2011. Questo significherebbe non rispettare la volontà dei cittadini che liberamente decideranno di versare alle associazioni destinatarie la loro quota del 5 x 1.000 con la prossima dichiarazione dei redditi: solo 100 milioni, rispetto all'intero ammontare del 5 x 1.000, verranno infatti distribuiti alle associazioni, mentre il resto verrà trattenuto dallo Stato.

Si tratterebbe, se la notizia fosse confermata e tale tetto fosse effettivamente approvato, di una riduzione del 75% rispetto all'importo destinato nell'anno precedente (peraltro già oggetto di una limitazione rispetto al totale dei fondi raccolti). Tale ulteriore taglio si aggiunge a quelli effettuati al bilancio della cooperazione internazionale italiana, ai contributi alle istituzioni internazionali che si occupano di aiuti ai paesi in via di sviluppo e a quelli per la ricerca scientifica, universitaria e sanitaria.

Questi tagli si ripercuotono significativamente sull'operatività delle organizzazioni del terzo settore, che hanno dimostrato, negli ultimi anni in modo ancora più evidente, una professionalità molto elevata, oggetto di apprezzamento in Italia e all'estero e dunque motivo di orgoglio per il nostro Paese. Tali organizzazioni, non diversamente da altre realtà sociali ed economiche, basano la loro attività sulla programmazione finanziaria degli impegni attuali e futuri per rendere sostenibile il proprio agire nei diversi settori di riferimento.

Non è la prima volta, purtroppo, che si interviene, con tetti massimi di impegno, per limitare l'operatività del "5 x 1.000", uno strumento che, come poche altre misure di natura fiscale, ha dimostrato di riscuotere un gradimento molto alto dei cittadini italiani sin dalla sua prima applicazione.

Tagliare i fondi a disposizione del "5 x 1.000" significherebbe quindi limitare drasticamente la libertà dei cittadini di decidere come destinare la propria quota dell'imposta sui redditi direttamente a sostegno degli operatori del terzo settore.

Per queste ragioni chiediamo al Parlamento Italiano di intervenire per eliminare, nel testo della "legge per la stabilità" di prossima discussione, il tetto di 100 milioni di euro da destinare al "5 x 1.000" per l'anno 2011, ripristinando quanto meno l'importo dei fondi previsti nell'anno 2010.

Promotori:

Emergency, Libera, Gruppo Abele, Greenpeace, Coordinamento Italiano Network Internazionali, ActionAid, AMREF, Save the Children, Terre des hommes, VIS, World Vision e WWF, Medici Senza Frontiere, Amnesty International - Sezione Italiana, Mani Tese, Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori Sezione Provinciale di Milano, UNICEF Italia, Comunità Nuova, Fondazione Don Carlo Gnocchi Onlus, Centro Nazionale per il Volontariato, Albero della vita, Volontariato Oggi, Bambini Onlus, UILDM Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare, Fondazione Serena Onlus, Intervita Onlus, Fratelli dell'Uomo, Fondazione Roberto Franceschi Onlus, Fondazione Grigioni per il Morbo di Parkinson, Associazione Italiana Parkinsoniani, FIAGOP Onlus, Associazione Dianova Onlus, Associazione Risveglio Onlus, LAV, Parada Italia, Fondazione Operation Smile Italia Onlus, Fondazione Ivo de Carneri Onlus, Global Humanitaria Italia Onlus, ACRA, Seacoop Società Cooperativa Sociale Onlus, FIAB Onlus Federazione Italiana Amici della Bicicletta, Più Vita Onlus, CAF Onlus, Associazione Amici di Brera e dei Musei Milanesi, CCS Italia, La Quercia Millenaria Onlus, Fund-raising.it, Scuole di Fund Raising di Roma, Insieme nelle Terre di Mezzo Onlus, Ai. Bi. Associazione Amici dei Bambini, Medici con l'Africa Cuamm, Associazione Cuore Fratello, Istituto Oncologico Romagnolo Coop. Soc. ONLUS, Cena dell'Amicizia Onlus, CESVI, CBM Italia Onlus, Associazione Missioni Don Bosco, Associazione Italiana Rett onlus, Il Sole Onlus, Progetto Continenti Onlus, Fondazione Renato Piatti, Associazione Italia Uganda Onlus, Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, Associazione SOS Villaggi dei Bambini Onlus, FAI Fondo Ambiente Italiano, AIRC, Telefono Azzurro, Cooperativa Fraternità Capitanio di Monza, Fondazione Neuroblastoma, Associazione Neuroblastoma, Associazione La Nostra Famiglia, Fondazione Pangea Onlus, Sightsavers International Italia Onlus, Telethon, Fondazione Progetto Arca Onlus, Fondazione Theodora, Axè Italia Onlus, Lega del Filo d'Oro, Vidas, LIPU, Green Cross Italia Onlus, Fondazione San Raffaele del Monte Tabor, Touring Club Italiano, AISMME Associazione Italiana Sostegno Malattie Metaboliche Ereditarie ONLUS, Jesuit Social Network Italia Onlus, Associazione Casafavola Onlus, Associazione Festival del Fundraising aps Philanthropy Centro Studi aps, Università di Bologna, Master in Fundraising per il non profit, Professionetica, Istituto David Chiossone, Associazione Piera Cutino Onlus, Fondazione Opera San Francesco per i poveri Onlus, Associazione Bambini in Romania Onlus, Associazione Shaleku.

venerdì 19 novembre 2010

I moralisti

fabrizio angelo dalcerri. "Nato a Milano trentanove anni fa, da famiglia storica operese, ho sempre vissuto in questo comune di cui conosco i pregi, i difetti ed i bisogni. Sono diplomato perito meccanico all’istituto Feltrinelli di Milano e lavoro nell’azienda di famiglia che porta il mio cognome, ubicata al centro di Opera, sotto gli occhi di tutti. Hobby: la montagna, la lettura, il ballo, lo sport e soprattutto, purtroppo o per fortuna, l’Inter. Sono iscritto dal 1989 alla Lega Nord e milito attivamente dal 1996. Sono stato responsabile amministrativo della sezione locale dal 1998 al 2003 , poi segretario di sezione e infine membro del direttivo di circoscrizione dal 2003 al 2006. Faccio ancora parte della segreteria locale. L’anno passato ho partecipato attivamente a quello che è stato definito “IL PRESIDIO DI OPERA” contro il campo nomadi ed a tutte le iniziative collegate, risultate vincenti, che mi hanno sempre visto in prima linea." Il cattolico dalcerri col cattolicissimo forzaitaliano antonio stefano buono (nella foto) si recano all'"october festival" ma, presi dal rimorso, ricordando le loro radici culturali, religiose e storiche cattoliche, decidono di emendare i loro peccati recandosi in chiesa. Ecco il video dei loro momenti di raccoglimento:

giovedì 18 novembre 2010

Chirurgia plastica

A Marte, poverello, con l'età era venuto giù il pene. Capita. Ma silvio non ci dormiva sopra. Quando entrava a Palazzo Chigi e vedeva lo stato pietoso di Marte, presagio di un futuro personale non tanto lontano, a silvio veniva l'itterizia. Anche a Venere invero, per la disperazione, erano venute giù le braccia. Ma meno male che silvio c'è! Incaricato un architetto, un chirurgo plastico e qualche prostituta nel ruolo di consulente, si ricostruiscono gli attributi di Marte. Costo dell'operazione settantamila euro ma cosa volete che siano...In compenso tutto il mondo ride a crepapelle!

mercoledì 17 novembre 2010

povero bondino

povero bondi! Ma che v'ha fatto il bondi poverello per maltrattarlo in simil modo? Ora anche la sfiducia! Brutti e cattivi! Ma ecco cosa ne pensa il nostro (vostro? loro? di nessuno?!), dimostrando ancora una volta, se mai ve ne fosse bisogno, un'animo nobile e saggio, provato dalle intemperie e dal cilicio regalatogli dalla binetti (vi ricordate?): "Da una parte mi infligge uno stato di angosciosa mortificazione, dall'altra parte però suscita un sentimento di profonda tristezza (la mozione di sfiducia.n.d.r.) dinnanzi al volto sfigurato di una sinistra, della quale mio padre e io nel passato abbiamo fatto dignitosamente parte all'insegna di valori che non tramontano, che si accanisce con una iniziativa abnorme e dirompente sul piano personale contro chi ha sempre creduto e continua a credere nel valore del confronto politico e culturale, anche se aspro e conflittuale".

p.s.

Se volete concludere la serata in modo degno potete leggere una poesia alla "maniera" di bondi. In internet è stato pubblicato "bondolize" un generatore di poesie alla bondi (ne abbiamo letta qualcuna e, a dire il vero, ci sembrano anche migliori delle originali). Ecco il sito: http://gamberorotto.com/miscellanea/sandro-bondi-il-generatore-di-poesie/#Bondolizer.

venerdì 12 novembre 2010

bertolaso è pensionato

bertolaso, l'uomo del fare, il braccio destro del berlusconi, la mente del capo (pensate un po'...) è finalmente andato in pensione. Ce ne rallegriamo e lo ricordiamo con alcune immagini simbolo.








THE ONLY FLAG DEL CAVALIERE

Il libro di Bruno Vespa fa bella mostra di sé in uno degli scaffali del reparto libri e cartoleria di un supermercato: Nel segno del Cavaliere. Ne emana un interrogativo: quale sarà questo segno per Vespa? La presentazione web assegna all’autore il merito di “un’angolazione tanto paradossale quanto inedita” nel rivisitare “la storia italiana degli ultimi diciassette anni”. La meraviglia consisterebbe nell’aver seguito “da vicino il percorso privato e pubblico di Berlusconi, con le sue luci e le sue ombre” come l’unico modo per capire “perché quest’uomo – dato per politicamente finito ogni volta che ha perso le elezioni – è sempre riuscito a risorgere, condizionando la politica italiana anche negli otto anni trascorsi all’opposizione”. Il segno ipotizzato da Vespa dentro quel perché non lo illumina abbastanza. E non solo per le ombre troppo pallide. Berlusconi è un Proteo, un “animale” sfuggente per le classificazioni sbrigative: i suoi tanti aspetti rendono impervio il cammino verso una semplificazione dogmatica. Magnate, politico, barzellettiere, Epicuri de grege porcum (a dirla con Orazio), sciupafemmine, maniaco delle minorenni, imbroglione..: sono tutti lati del suo poliedro psicofisico, ma nessuno appare decisamente prevalente fino a poterlo caratterizzare in toto. Non solo: ciascuno degli epiteti tende a ramificarsi. Diciamo magnate? Certo, lo è, ma in estensione plurale: magnate dell’edilizia (“Milano 2”, “Milano 3”...), magnate delle televisioni (non solo le sue 3 reti, anche pezzi di altre), dell’editoria cartacea e telematica, delle librerie, della pubblicità, delle agenzie di produzione programmi, e via ramificando. Politico? Come no. Ma di quel genere particolare che ha (avuto) pochi e minori precedenti rispetto all’ibridata versatilità berlusconiana. Ed è anche una cosa ovvia: un tipo che ama le donne e la bella vita e le facezie e si porta dentro queste qualità anche nel mestiere più difficile, appunto la politica, non è certo un unicum, (basta pensare ai fratelli Kannedy), ma non sono folla. Certo l’Europa non ha mai avuto un premier simile al nostro. Che dico! neanche lontanamente comparabile.
Eppure ci dev’essere, nel suo dna, un gene che sovrasti tutti gli altri. Leggendo quel geniale e ponderoso thriller di un autore proteiforme (ma ben diversamente dal Cavaliere) qual è Giorgio Faletti, dall’eccitante titolo Io sono Dio ci imbattiamo in un motto evidenziato: The only flag. Si tratta del motto che i pirati stampano sul loro vessillo, e significa, letteralmente, “La sola bandiera”, nel senso che sarebbe l’unica eccellente, il migliore emblema (della virilità, della forza, eccetera). Ed ecco che mi si accende la lampadina che nei fumetti indica “idea”, botta di mente: potremmo indicare una only flat berlusconiana? L’associazione fisiologica implicita non concede titubanze: non solo possiamo, ma tocchiamo il massimo consentito nella caratterizzazione del personaggio. Non è una specie di pirata? non si sente come il migliore degli uomini estroversi e versatili (affari, politica, galanteria...)? Ecco, dunque, una chiave abbastanza incisiva e duttile per interpretare la complessità “silvestre”. Don Silvio è quel mucchio di “cose” che è in quanto in ciascuna stampa il marchio di fabbrica della vocazione piratesca.
Genetisti di valore, non afflitti, cioè, da tare idealistiche e residui spiritualistici, ripetono che il nostro destino è scritto nelle triplette biochimiche delle doppie eliche cromosomiche. Non che vi siano inscritte le vicende “esterne”o determinate le scelte professionali, ma il modo di reagire e di agire in qualunque scelta, e una certa restrizione nelle scelte, sì. In questo senso Berlusconi è un pirata. Del resto, è tutta la sua vita pubblica che lo prova: abbiamo scritto della sua insofferenza verso le regole, dunque verso leggi e regolamenti, restrizioni e costituzioni e relativi custodi (magistratura, eminenze costituzionali, assemblee e corpi politici o religiosi, ecc.). La prima prova della fisiologia piratesca è la storica amicizia con Dell’Utri, uomo-mistero, ma con due chiare condanne per mafia, primo grado e appello. Potrebbe risultare innocente dopo l’atteso transito in Cassazione? E sta bene, ma intanto il senatore lascia tracce che possono orientare nel senso peggiore: per esempio, l’elogio al finto (e defunto) stalliere di Arcore, Mangano, da lui definito “un eroe”, mentre era da tempo schedato come mafioso. Don Silvio rispose con entusiasmo all’invito dellutresco di darsi alla politica. E nacque la c.d. Seconda Repubblica, copertura finanziaria più che generosa, terreno sgombrato da molesti ostacoli umani: tale è la versione, alquanto plausibile, di alcuni pentiti e di Massimo Ciancimino.
Le ultime vicende nella biografia del premier, come ogni suo gesto anteriore, sono improntate alla tecnica del pirata: arraffare e sparare fendenti di menzogne, imbrogli, finte e controfinte, depistaggi, invenzioni funzionali al proprio interesse, telefonate fatte e negate, o “travisate”. Vediamolo alle prese con lo scandalo scoppiato dall’arresto per furto dell’affascinante marocchina Ruby: l’intervento del premier vitellone è subito caratterizzato dalle bufale: la parentela con Mubarak affibbiata alla minorenne ragazzotta, l’ennesima delle sue “protette” (ce ne saranno altre, per ora nascoste?). La vicenda, tuttora in pieno svolgimento, ha dato la stura a rivelazioni e amplificazioni su nuovi soggetti del gentil sesso implicati, che coinvolgono amici, “domestici” politici e televisivi, ministri. La prima cosa che salta agli occhi è la diffusione della menzogna “ambientale”, anzi il mentire progressivo, una ciliegina tira l’altra. Mubarak zio, l’affido alla sua “dipendente”, Nicole Minetti (una delle “gallinelle” messe in lista dal supergallo), la balla delle “case di accoglienza” senza posto per la ragazza. E via tacendo. Ma la più bella balla, la madre delle altre, è quella del suo buoncuore che lo porta ad aiutare chiunque gli si rivolga per bisogno. E non perché di aiutare non sia capace, anzi: la balla nasce quando la generosità pelosa viene drappeggiata da altruismo disinteressato. Nel caso, a botte di 5000 euro per volta. Più regali in oggetti costosi. Come i cerchi di un sasso nello stagno, l’affaire dilaga e coinvolge sempre più persone: altre donne, escort in vena di pubbliche rivelazioni, smentite di ministri coinvolti, di giornalisti gratificati dal Paperon pagante, come Emilio Fede, primatista del lecchismo certosino, o il nano Brunetta, già aspirante moralizzatore e castiga-sfaticati. Tutti negano, ovvio: nessuno ammette di avere toccato escort e minorenni al di là di una innocente stretta di mano o di casti bacetti su innocenti guance e casta fronte.
E’ il caso di aggiungere che gli uomini del suo entourage di bugie e barzellette ne sparano non meno, e non certo meno esilaranti delle originali certosine? Prendiamo il cardinalizio Bondi, che, replicando al solito recital parolaio di Galli della Loggia (Il coraggio della verità, Corsera 1°. nov.), che parlava di verità al Pirata come a un uomo normale, prevede-minaccia il caos in un eventuale vuoto arcoriano. E bolla il Corriere come afflitto dalla fissa del delenda Cartago, posto che la Cartagine metaforica sia il governo in atto e il partito che vi sta appollaiato sopra. Il bravuomo esamina la situazione italiana, constata l’insignificanza della sinistra e l’impotenza di ogni altra bottega politica, e predica: “Berlusconi altro non è che la vittima del male profondo che attanaglia questo Paese, quel male che, dalla politica alla cultura, dall’informazione alla giustizia, mortifica e si oppone ad ogni serio progetto di rinnovamento”. In coda a questo acuto da pulpito veggente il cardinaloide gorgheggia l’elegia del dolore personale per tanto sfacelo: “Vivo con angoscia questi giorni, non solo per l’ennesima campagna scandalistica e giudiziaria contro un uomo da sedici anni sotto un attacco disumano e senza precedenti in una democrazia occidentale, ma anche per le conseguenze che ne potrebbero derivare.” Al languore elegiaco Bondi oppone, seguitando, un piglio savonaroliano incollato alla previsione di quelle “conseguenze” e comicamente ottimista sul valore assoluto del suo Côté politique: “Sono convinto infatti che solo il Pdl di Berlusconi e la Lega di Bossi possono guidare oggi l’Italia attraverso i marosi dell’attuale crisi e garantire una politica di modernizzazione. E so per certo che non vi è un’alternativa a questa politica e a questo governo. L’unica alternativa è il caos e il ritorno alla palude della vecchia politica, che porterebbe rapidamente l’Italia verso il baratro e la rinuncia definitiva al cambiamento”.
Abbiamo appena letto uno sproloquio farcito di rinsecchite parolette rimodellate in neologismi magici: vecchia politica, cambiamento, rinnovamento, e via suonando. Sono tre lustri che le ripetono, non tanto il Pirata quanto i suoi ministri e faccendieri. Che sono, la loro parte, ingenui e fideistici, ma non quanto testimonia il candore abbaziale del Bondi: forse l’unico a soffrire del presente andazzo, e anche se non ha la forza di vedere, prima, e poi di rinfacciare al suo patron la realtà e consigliarlo per il meglio (o il meno peggio) possiede almeno l’attenuante del candore da Novellino. Cosa che non si può dire di un Cicchitto, un Lupi, un Buonaiuti, e via elencando, con un occhio di riguardo alle ministre e altre figure femminili del seguito, non meno del Bondi penetrabili dagli slogans di battaglia e dalle sonorità “metafisiche” del soprastante modello: cambiamento, rinnovamento, riforme, e simili, senza contenuti caratterizzanti, stonano come distrofie neuronali. Risultati: sacralizzazione della parola e caos semantico. Il cambiamento può svolgersi nei due sensi opposti: positivo e negativo. E quello che abbiamo visto gattonare finora è del secondo tipo. Ma i berluscones non amano i dilemmi e vedono un solo colore: l’azzurro del successo. Che. se non è ancora completo, è per colpa della satanica sinistra e dei suoi complici, evangelicamente ignari di quel che che fanno.
Non c’è traccia di candore, invece, nel ghigno osceno di Ghedini-zombi quando spara questa meraviglia di puttanata: “Continua un’incredibile strumentalizzazione di una banale telefonata quando i fatti sono ormai ampiamente chiariti. Di una vicenda assolutamente priva di ogni connotazione negativa si sta tentando di creare un caso mediatico e, per alcuni, addirittura giudiziario”. Ghedini teme che il Pirata possa ricevere il trattamento riservato a Lele Mora, Emilio Fede e Nicole Minetti, “l’igienista dentale” del premier ed ex ballerina Tv, eletta, per volere di Silvio, alle regionali lombarde (lista di Formigoni il politico di Dio, indi uomo di tutte le castità ), indagati per favoreggiamento della prostituzione e abuso di minori. Perciò s’illude che, abbaiando, qualcuno del “complotto” si spaventi: “Sarebbe davvero gravissimo, anche se contro il presidente Berlusconi ormai si è assistito nel corso degli anni alle più assurde fantasie, che qualcuno potesse costruire artificiosamente ipotesi di reato così come suggerito da certa stampa, su un comportamento che non può che essere valutato come caratterizzato da contenuti assolutamente positivi”. Tirando il respiro, dopo questo tour de force addosso a quella congesta prosetta prolissamente notarile e di sgradevole sonorità, cosa si può immaginare di più cretino in una simile sortita adulatorio-difensiva? Inchieste ancora in corso, convergenze di confessioni plurali ed esibizioni di figure in ballo, e questo signor-ciarla pompato dai milioni del padrone fa il galletto minacciante. E se questa spocchia rallegrava cronisti al fronte e lettori piccati di ieri, 2 novembre, gli stessi, oggi 3, godono del previsto rilancio del Rinaldo in campo: infatti, i giornali odierni recano la notizia che assolve Berlusconi dal sospetto affidamento illegale della ragazza. Che altro aspettarsi se non titoli come questo del Corsera? La procura di Milano: l’affido di Ruby fu regolare. Il Pdl: la bolla si sgonfia. Se la sfera Pdl gongola, dentro il suo volume Ghedini tripudia...Invano questi titoli dettagliano così: “Fase finale ‘corretta’, al vaglio le presunte pressioni” (occhiello del Corsera). Quel vaglio non disturba l’euforia del canile latrante di frettolosa gioia. Né il Cavaliere si muove per frenare tanta agitazione prematura. Anzi, rilancia e la spinge all’isterismo sensuale sparando una delle sue provocazioni ad alta risonanza: mi fate una colpa del mio debole per le belle donne? Ed io me ne vanto coram populo e pimento il vanto con uno sberleffo alle checche (questa parolina gentile non l’ha pronunciata, in verità, ma giureremmo che quel gay spolverato al suo posto ne era la maschera pubblica). Ecco il cocktail nel titolone del Corsera lungo quanto larga l’intera pagina 10 così dedicata: “Primo piano. Centrodestra Il premier”, al fianco, un pensierino severo di Paola Concia, del Pd: “Nessun politico europeo pensa, né si permetterebbe mai, di fare una battuta così spregevole nei confronti degli omosessuali.” Così il coro delle proteste viene gonfiato sempre più e il Berlù se la ride di gusto, in cuor suo spregiando tanta ipocrisia (che altro potrebbe essere per lui, questa pruderie?). Ma volgiamoci al testo dell’articolo, dove le parole testuali del mandrillo sono queste: “Meglio essere appassionati di belle ragazze che essere gay”. Tiè. Il cronista assicura: “Frase che ha costretto le agenzie di stampa a un superlavoro per la valanga di reazioni che ha provocato”. La sortita (alla Fiera di Milano) è parte di una strategia difensiva che mescola la battuta provocatoria al collaudato “numero” del processo a chi lo processa: magistratura, stampa, format televisivi ostili. Lui svampa di pubblico sdegno, ma se la gode: questa duplicità reattiva non entra nelle “coscienze” dei suoi detrattori, né in quelle dei consiglieri. E’, la sua, una pulsione genetica, cui non si resiste. Questa sua reiterazione di marachelle sessuali (o di innocue galanterie con signore istituzionali straniere) lo diverte, per così dire, a ventaglio: per il giochino in sé e per le reazioni moralesche che suscita intorno a sé. Capita anche a persone di specchiata correttezza sociale e severa morale di avvertire un moto di simpatia goliardica per questo scavezzacollo impunito e incorreggibile. Quella sua faccia tosta riesce a farsi perdonare per la sua stessa reiterata spavalderia. Una non risibile parte dell’itala gente dalle molte vite ama questo rodomonte dell’inganno e del successo economico. E non è un caso la presenza di molti personaggi del bel sesso tra i suoi collaboratori: dalle ministre alle... vivandiere. Il Bucaniere ama confessarsi in pubblico, a tal punto che soffre se deve proprio frenarsi: sa che a molti piace e che certo non dispiace alle belle donne, affascinate, se non dal suo fisico, dai suoi miliardi, segno del savoir faire che conta. Ecco un’altra pubblica confessione (questa, “allocata” a Bruxelles): “Amo la vita, amo le donne. Faccio una vita con sforzi disumani. Se ogni tanto sento il bisogno di una serata distensiva, nessuno mi potrà far cambiare il mio stile di vita, di cui sono orgoglioso.”.
Dinanzi a tanta saldezza di coerenza fra dire e fare, i suoi detrattori hanno la vita difficile. Come quel pupazzone di plastica di qualche decennio fa, don Silvio puoi piegarlo a terra per qualche secondo, ma appena lo molli ritorna dritto: si chiamava “Ercolino sempre in piedi”. Si dirà: allora non c’è niente da fare? Bisogna rassegnarsi all’attesa della sua scomparsa materiale? Ricordate quella battuta di un celebre film con il mitico Bogarth: “E’ la stampa, bellezza! E tu non puoi farci nulla.” Così è del bucaniere Berlù. Poi, diciamocela tutta: che specie di oppositori ci ritroviamo? gente pallida: di pensiero, di programma, di oratoria (assente). L’unico oppositore tosto e coerente è Di Pietro, ed è “fuggito” come la peste da certa dirigenza così detta di centrosinistra (per tacere dell’incensato Centro!). C’è anche Grillo, è vero, ma anche lui, utile e convincente, non attrae abbastanza la “gente seria”. Il duo Tonino-Beppe è troppo emotivo, sciamannato, urlante per i notai ragionatori dell’opposizione “assimilata”. Né il meno piccolo dei partiti oppositori è coeso e compatto: al contrario, linee di frattura potenziale continuano a renderne precaria la consistenza-resistenza. Per esempio, quella coabitazione fra cattolici vaticanofili e laici timidi: come può saldarsi in compatta omogeneità programmatica? Conosciamo l’obbiezione: se perdiamo i cattolici, cosa ci resta? A dirla ottimistica, mezzo partito. Risposta: meglio mezzo compatto che un intero frastagliato. Lo stesso vale per certi giovanotti sensibili alle casinerie: meglio perderli che trovarli (anche se hanno cognomi famosi!).
Tornando al Bucaniere. Dilettiamoci ancora un po’ alle castronerie dei seguaci e dei critici sprovveduti o di lui peggiori. Cicchitto, precedenza assoluta: Donde la sicurezza che ostenta sulla sorte del governo? E Perché non accettare un appoggio esterno dal Fli? Naturalmente, assolve il premier delle sue marachelle. Distinguere tra amare le donne e frequentare minorenni? E’ una parola. Meglio scivolare, sorvolare, stendere un pietoso silenzio sulla ragazzotta piacente da 5000 euro ad incontro (paterno, dice Cicchitto, pura opera di beneficenza, come sostiene il principale). Alle cicchitterie Adolfo Urso [Fli] risponde: “La battuta sui gay è da osteria, come Italia abbiamo fatto una pessima figura a livello internazionale”. Forse. Ma Silvio risponderebbe: state facendo un casino di una battuta scherzosamente provocatoria. Vi mancano argomenti più di peso? Julianne Moore: “Ha detto davvero così? Mi sembra un giudizio arcaico, idiota, infelice, imbarazzante”. Dall’interprete di un film su una relazione lesbica che altro aspettarsi?
Alfonso Signorini, direttore del settimanale Chi, gay dichiarato: “Sono sicuro che è stata una boutade, ma molto infelice e quand’è così si dice.” Prende le distanze, ma non diserta: “Sono sempre dalla sua parte e lo sostengo. Abbiamo parlato più volte di omosessualità e non l’ho mai trovato prevenuto. Io stesso ne sono la prova acclarata, visto che dirigo due corazzate Mondadori come Chi e Sorrisi e canzoni”. La reazione più tranchant la dobbiamo alla bocca larga della Santanché: di cosa vi scandalizzate, razza di bacchettoni? Tutti (sottinteso, i maschi) la pensano così, anche se non hanno il coraggio di dirlo. E il botto reattivo non si fece aspettare. Però per una volta quella bocca merita plauso e non l’auspicata transferta in più gai (gai, non gay!) impegni. Ma stop a quello che ormai è più gossip che dramma.
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Al momento di licenziare questo articolo un Evento (la maiuscola non è uno scivolo di tasto) ci ferma: il trionfo (non è un lapsus calami) di Fini alla prima convention di Fli a Bastia Umbra (Perugia): un Fini inatteso, che dà l’ultimatum a Berlusconi: vattene! Questa la sostanza dura e pura dell’exploit oratorio finiano. Le parole che la contengono sono meno drastiche, ma hanno un retrogusto ambiguo, non privo di un’infiltrazioncella ironica. Eccole: “Berlusconi deve mostrare coraggio (sic!), dare un colpo d’ala: rassegni le dimissioni e avvii la discussione per una nuova agenda e un nuovo programma”. Insomma, un nuovo governo. Con gli stessi alleati, se ci stanno, ma anche con l’Udc. Un tuono di applausi dal popolo del nuovo partito, giovani in prevalenza. Ma nessuno in fronzoli nostalgici. Ce ne occuperemo, forse, a situazione maturata. Per ora registriamo la replica indiretta del Pirata in veste di San Tommaso: se non vedo (e tocco) non credo. In chiaro: “Mi sfiduci in Parlamento, se vorrà assumersi la responsabilità”. Il trono trema: Berlusconi confida di non aver perduto ancora la maggioranza alla Camera, ma le certezze hanno messo le ali e tendono a volare lontano. Il quadro politico è in piena fermentazione, mentre il contenzioso cumulato dal Pirata con i suoi azzardi vitelloneschi (e non soltanto) è tutt’altro che esaurito.
La faccenda Ruby non è chiusa, né in senso politico né in quello giudiziario. Altre rivelazioni confessioni e indagini hanno allargato il perimetro del pluralissimo caso. C’è di mezzo il favoreggiamento della prostituzione, l’abuso di minore e via celebrando. E c’è, sopratutto, il gruzzolo di critiche e di conseguenti richieste messe in conto dal lungo discorso di Fini: non si governa senza legalità, l’Italia non merita i casi Ruby e meno ancora che i suoi tesori archeologici crollino e si polverizzino da soli (casa dei gladiatori, a Pompei), che il suo territorio si sfasci sotto la furia di Giove pluvio o sopra la silenziosa pestificazione dei rifiuti tossici ammucchiati e sepolti a milioni di tonnellate senza un adeguato trattamento innocuizzante. Non merita neppure le brutte figure che la leggerezza istrionica del premiser le ha procurato all’estero.

Pasquale Licciardello