giovedì 31 marzo 2011

Feroci!

Alla Camera gli onorevoli (si fa per dire) osvaldo napoli (pdl) e massimo polledri (lega) insultano l'on. Ileana Argentin, affetta da distrofia muscolare,  perché il suo assistente applaudiva un intervento: "Ricordo all'aula che io non posso muovere le mani, ma se non posso applaudire con le mie, lo faccio con le mani di chiunque". A Lampedusa gli immigrati vengono lasciati all'addiaccio per diversi giorni, senza un posto dove dormire, senza servizi igienici e anche, per molti, senza un pasto. Altri immigrati rischiano di essere bloccati in mare aperto. Il senatore bossi dichiara "fura de ball"! Nel frattempo la camera si appresta a votare una legge che libererà dalle patrie galere stupratori, ladri, truffatori, e via dicendo.  Con essi, in buona compagnia, sarà assolto anche silvio berluisconi. I duri e puri ex (?) fascisti e leghisti non hanno niente da ridire, proni a raccattare le briciole che il padrone lascia munificamente cadere. Amen.

lunedì 28 marzo 2011

Repetita iuvant? La missione libica

Ci risiamo: come troppe altre volte, anche questa fa registrare un distacco crescente dalle (pie) intenzioni di partenza. La deliberazione del Consiglio di Sicurezza Onu prevedeva un intervento limitato a salvaguardia dei civili in rivolta minacciati, sempre più da presso, dalla reazione di Gheddafi. La quale (altro punto critico dell’impresa) è stata sottovalutata dai “Responsabili” internazionali disponibili all’impegno di quella salvaguardia. Ed ecco il genere di titoli dei giornali al sesto giorno di bombardamenti mirati sugli aeroporti, i bunker, gli aerei e i mezzi corazzati del Colonnello: Raid su Tripoli, il raìs resiste (la Repubblica). E mentre, nella Coalizione, gli inglesi si vantano: “distrutta l’aviazione di Gheddafi”, il titolo del quotidiano è costretto a fronteggiare quell’annuncio un po’ trionfalistico con un “Ma” avversativo che introduce una sorta di miracolo (data la distruzione “reclamata” dagli inglesi): “continuano le bombe su Misurata”. Del resto, ancora ieri il Raìs eccitava i suoi con questo annuncio: “Non me ne vado. E alla fine vinceremo”. Smargiassate? Possibile. Ma non è un buon segno l’avanzata dell’esercito libico verso il recupero delle città ribelli e gli altri suoi obiettivi di rivalsa: alla faccia dell’inferno di missili sganciati sui bersagli sensibili della difesa libica. Anche se raid e missili la rallentano. Ed è di qualche giorno fa l’allarme dei rivoltosi: “La difesa aerea non basta”. Che sembra un macabro scherzo, dopo quell’ “inferno” missilistico ad alta tecnologia e micidiale precisione di bersaglio scaraventato addosso al non piccolo (né obsoleto) sistema difensivo del mal conosciuto Gheddafi.
E si trattasse soltanto di questo “ritardo”! Invece abbiamo la rissosità interna alla coalizione, che fa capolino quotidiano con una novità al giorno. Fin dal primo dell’azione sul campo abbiamo potuto “ammirare” l’ambizione di francesi e inglesi di primeggiare nell’offensiva più serrata e snobbare con nonchalance la necessità della coordinazione preventiva. Alla quale vanità ha risposto l’Italia avanzando la richiesta (non trattabile?) di una coordinazione guidata dalla Nato: l’appoggio degli Usa di Barak Obama ha sciolto il nodo a vantaggio dell’Italia: la Nato assumerà il comando. Ma ora il nostro governo, tallonato dall’alleato Bossi (ostile a questa soluzione armata) chiede, o almeno suggerisce in sordina, un “cessate il fuoco” preparatorio di trattative: l’amicizia personale del premier col satrapo africano fa sentire la sua vocina. Mentre la Germania di Angela Merkel si gode lo spettacolo dal balcone della sua diserzione: poco onorevole, forse, ma comoda. Una “comodità”, peraltro, che anche da questo lato espone alla constatazione più o meno costernata la scarsa organicità della compagine sovrannazionale detta (o millantata come) Europa Unita.
Last but not least (per dirla nella lingua “planetaria”), c’è il “problema” delle vittime civili. Che i nostri mansueti “crociati” negano di avere provocato con i loro attacchi (forse un po’ troppo impazienti), ma i civili libici confermano a più voci. Comprese quelle dei gheddafiani. Si tratta di “scudi umani”, cioè di quella protezione che i fedeli del Colonnello dichiarano, e dimostrano, di voler garantire al loro (non precisamente odiato) leader carismatico? Non è così. Non ancora (sperando che non lo diventi nemmeno domani). Si tratterebbe di vittime coinvolte in quei bombardamenti che, fin dal loro incipit, si vantano di essere inoffensivi giusto per la popolazione disarmata. A chi credere? Diciamo che è difficile gettare nella spazzatura della disinformazione interessata una denuncia ripetuta e circostanziata. La quale, peraltro, comincia a non essere rigettata del tutto anche in seno alla coalizione: come escludere tassativamente (riconosce qualche voce autorevole) quella dolorosa eventualità quando si è costretti ad operare non troppo lontano da potenziali bersagli involontari? La verità (triste, e poco ostensibile) è che, in queste missioni umanitarie armate (anzi, superarmate) un tasso di vittime civili lo si mette in conto. Tacitamente. Salvo, poi, cadere dalle nuvole quando qualche voce le rivela.
Questione profughi: ecco un altro non indolore capitolo della sempre più problematica avventura: tutti i giorni sbarcano fuggiaschi libici (e non solo) da barconi motorizzati e quant’altro di galleggiante sia più o meno capace di trasportare “materiale” umano lungo quel braccio di mare che separa l’Africa magrebina dalla nostra isoletta ornata di un nome mitico, Lampedusa: la quale ne viene “coperta” fino all’insopportabilità bipartisan: quella dei residenti normali e l’altra, dei sopravvenuti in crescita numerica quasi esponenziale. Ne risulta un quadro drammatico, denunciato da vari giorni dagli scrupolosi resoconti dei media. La situazione è stata messa in cruda luce diretta dal format di Michele Santoro, Annozero, del 24 marzo, con effetti emozionali sconvolgenti. Scarsità di spazi a disposizione di una minimale sistemazione umana (e persino animale), insufficienza di cibo e di protezione contro le variazioni termiche giorno-notte, assoluta mancanza di garanzie igieniche, e via elencando. Fino al rischio incombente di complicazioni cliniche. Le voci dei rifugiati versavano nelle nostre ben protette orecchie di privilegiati lamenti denunce accuse, spesso mescolate tra loro con ingenuo stupore per tanta differenza fra sogni e risvegli, tra speranze motrici e smentite di approdo. Naturalmente, le polemiche su tanto dramma non soffrono di inedia, anzi riempiono, ben pasciute, buona parte dei notiziari, dei talk show televisivi e dei siti del Web. Lo Stato italiano sta facendo poco? Si nuove con lentezza e fiacca benevolenza verso questi infelici in cerca di salvezza? Forse. E magari certamente. Ma che dire della materna Europa, così restia alla condivisione del dramma? Quale sorta di rivendicazione (creduta legittima) soggiace al mutismo delle sue componenti e dei suoi organi istituzionali? O al loro balbettio più o meno spavaldo o impacciato, che oppongono alle sollecitazioni del nostro Paese sempre più sommerso dal quotidiano arrivo di nuovi infelici? Si legge una strana logica associativa nella pretesa che la nostra posizione geografica sbilanciata sul mare nostrum debba pagare dazio di oneri speciali e sofferenze eccessive per le nostre popolazioni. Quale cecità nasconde ai soci di tanta Ue l’evidenza del dovere di condividere agi e disagi? Neanche ci volessero far pagare con un bel po’ di ritardo le responsabilità imperiali di chi fece nostrum questo grande mare, diventato così piccolo sulla misura dei nuovi mezzi di navigazione! Insomma, siamo a un altro, non voluto ma ugualmente eclatante, show down delle sopra segnalate carenze unitarie di questa troppo lodata e discutibile Ue.
Altre riflessioni, però, impone il caso Lampedusa. Prima: quale disponibilità stanno mostrando le altre regioni italiane verso la condivisione del dramma in corso? Soltanto qualcuna s’è dichiarata disponibile a quella doverosa condivisione. E’ ancora poco. Troppo poco. Né si può sventolare l’argomento “terrorismo”, e cioè l’impossibilità di escludere che fra i “clandestini” (che poi tali non sono, vista la quasi completa identificabilità dei singoli approdati) ci siano dei terroristi venuti su preciso mandato e pronti a colpire, magari come kamikaze. Se questo rischio ci fosse perché dovrebbe assorbirlo solo l’isolattea sfortunata o la Sicilia tutta, e niente rischi per le altre regioni sorelle di tanta famiglia? La festa del 150o dell’Unità deve restare solo enfasi di iniziative e retorica di bei discorsi?
La puntata di Annozero sopra citata ospitava anche Gino Strada, il medico-chirurgo leader dei pacifisti assoluti, dei “senza se e senza ma”. L’ho visto in difficoltà: non è facile, infatti, rispondere a una domandina semplice: se io, Stato, io Paese-Nazione, sono aggredito, e non riesco a fermare l’aggressore con proposte esortazioni e altre sostituzioni della risposta violenta, come posso rinunciare all’uso delle armi? Potrò tentare di evitare risposte eccessive al mio aggressore, non prendermi la responsabilità di aprirgli le porte, e mettere a sua disposizione vita e beni dei miei “figli” in concretezza di carne e sangue. Che poi si possa predicare la pace, sta bene. Quello che si può aggiungere al generico predicare è l’analisi stretta dei moventi più o meno universali delle aggressioni belliche. E allora non è difficile scoperchiare gli altarini dell’aggressore: basta conoscerne popolazione e strutturazione economica. Si illuminerà, nel caso, la spinta primaria e più o meno nascosta di ogni aggressione: l’ingordigia. Comunque mascherata da nobili ideali e sonanti valori. Una causa che non sembra interessare il caso Libia, mentre ne costituisce la molla segreta e di lunga maturazione. Le ricchezze accumulate dal Raìs da quel dono sfacciato di madre Natura che si chiama petrolio e gas in quantità “esagerata” sono la causa remota e di lunga maturazione del suo dispotismo (mascherato di retorica populista-organicistica) e della rivolta attuale: per quale divino decreto dobbiamo sopportare ancora che un prepotente e famiglia facciano la parte del leone nel godimento di quei beni, difesi da complici ben foraggiati e da candidi devoti illusi? Stessa logica nella fedeltà tenace di parti del popolo e dei militari; e nella facilità di ingaggiare mercenari (se ci sono). La rivolta sventola la bandiera Libertà, e non è il caso di sbeffeggiarla troppo, perché una parte dei rivoltosi ci crede. Ma la verità terragna pretende la diagnosi spregiudicata. Che, naturalmente, non sfugge ai commentatori realisti: vedi Piero Ostellino, Gli interessi nazionali e le ipocrisie (Corsera, 22 marzo). E anche Franco Venturini, Incertezze e dubbi fuori tempo, ivi.
Giusto quel tipo di analisi che lo stesso ulteriore sviluppo degli eventi in corso costringe anche la nostra modestia a un ulteriore cenno al momento di licenziare questa riflessione. Si scalda di nuovi soffi la querelle Italia-Francia. Questa riscopre la tentazione della grandeur e, mal sopportando la “gestione” plurale della crisi in atto, spinge per garantirsi in ogni caso un ruolo di preminenza operativa. Il come fa capolino da questo grosso titolo del Corsera del 26 scorso: Iniziativa francese: “La soluzione sia diplomatica”. Proposta che sarà presentata ai ministri europei martedì 29 marzo, nella “conferenza” dedicata alla definizione del comando Nato. In questa svolta, “Parigi punta ad associare la Germania”. Berlusconi, che si fregia della lunga e ben coltivata amicizia personale con Gheddafi, naturalmente sente pesarsi sulle parti basse l’intraprendente Sarkozy. E scatena i suoi mastini della carta stampata contro l’odiato bersaglio. Il quale offre il fianco a quelle zanne per certe situazioni personali sfruttabili in chiave di insinuazioni malevole. E’noto che il presidente francese è stato sollecitato all’intervento libico dal filosofo Bernard-Hanri Lévy, un amico fin troppo “di casa”, insomma assai in confidenza con madame Carla Bruni, sposa del Presidente. I guastatori arcoriani cuociono la circostanza con allusioni pruriginose su questa confidenza Lévy-Carla, e il povero Nicolas viene “dipinto come uno spirito debole, succube di una duplice nefasta influenza”: di Carla e del filosofo. Costui sarebbe “l’anima nera, il Rasputin interventista che avrebbe contagiato l’Eliseo con il suo fatuo umanitarismo”. E pure “l’ubiquo filosofo che si è autoproclamato Malraux”. Non basta: il settimanale Panorama aggiunge al piatto avvelenato una copertina con “l’immagine dello sconsiderato presidente francese accompagnata da questo titolo beneaugurante: Sarkofago, l’‘icona tangibile’, nientemeno che ‘dell’irresistibile e sfrenato bisogno di mostrare i muscoli”. Quanto ai legami di Carlà col filosofo, li infiora questa non-carezza: Lévy viene definito “il maestro del pensiero in maniche di camicia bianca legato alla signora Bruni […] da complicati intrecci familiar-sentimental-filosofici”. Insomma, siamo all’ennesima carognata degli ascari di corte targati Berlù. Ma anche all’ennesima verifica del vecchio detto: non c’è dramma che prima o poi non mostri un suo lato grottesco. Di questo lato fa parte anche l’agitazione del nostro premier e dei suoi ministri. E mentre il Gran Capo da una parte si dice “addolorato” per la sorte dell’amico Gheddafi, dall’altra ne constata la tenacia auto-difensiva e “garantisce” che non si arrenderà, che terrà duro fino a, che cosa? La vittoria? Il sacrificio supremo? Non è un’idea chiara nella mente del munifico ospite. Che, intanto, “espone” il suo ministro degli Esteri. Il quale, “rispondendo” agli annunci di Sarkozy sull’ipotesi di iniziative diplomatiche e relativo piano francese (o franco-inglese), fieramente proclama: “Anche noi abbiamo idee”. E ricorda quel “Vengo anch’io” della vecchia canzone di Iannacci. Nella quale una sadica voce rispondeva “No, tu no”. E quando, dopo la terza ripetizione, l’escluso domandava “ma perché?”, la voce del prepotente rispondeva, tagliente “Perché no!”. Purtroppo, non siamo al gioco di una canzonetta spassosa: ma ad un altro “numero” del “grottesco nel dramma”, forse sì. Tanto vero che l’arguto Giannelli ci sollazza con la sua vignetta del Corsera di oggi, 27 marzo dove si gode uno scontro in campo tra Berlusconi e Sarkozy, in cui il primo batte il secondo con una testata allo stomaco. “Didascalia”: “Per il titolo mondiale”. Sotto la vignetta questa frase: “Cinque anni dopo”. Nell’altra vignetta, del 22 scorso, Berlusconi e Sarkozy sono dentro un aereo in volo, e un Silvio digrignante dice “O molli la guida o scendo!”
Il dramma continua con i suoi modesti alti e bassi in un senso o nell’altro, enfatizzati dai giornali con titoloni, come questo del Corsera di oggi, 27 marzo, che corre da un estremo all’altro della pagina 5: Gli insorti avanzano,gheddafiani in fuga. I ribelli riconquistano Ajdabiya e puntano a est con l’aiuto dei caccia); con le polemiche interne nei Paesi coinvolti, come da noi, dove si registrano “dure reazioni all’ipotesi di pagare 1500 euro per ogni straniero rimpatriato”. E non solo da parte delle opposizioni, infatti c’è anche “il no di Bossi”, mentre Maroni e Frattini cercano di tamponare precisando che i “rimpatri assistiti saranno attivati solo in presenza di un finanziamento integrale da parte dell’Unione europea”.
A chiusura l’evidenza dei fatti ci impone di concludere che, ancora una volta, a dominare la scena è l’incertezza del finale (e del relativo prezzo di sangue e sofferenze) di questa ennesima tragedia di homo phagicus necans, che ama mascherarsi nello spocchioso titolo al quadrato di sapiens sapiens. Senza sospettare che proprio quel cervello eccezionale potrebbe spingerlo verso il baratro dell’auto-estinzione per eccesso di ingordigia. Meditare sul Giappone targato 2011. E richiamare la memoria, oltre a Fukushima, anche a Chernobil.
Pasquale Licciardello

sabato 26 marzo 2011

La bontà di Dio

Per roberto de mattei, nominato vicepresidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) dal governo berlusconi, il terremoto del Giappone e il conseguente tsunami sono "una voce della bontà di Dio"!!!! Testuale!! C'è qualcuno in Italia che è ancora capace di indignarsi e di cacciare a pedate simili figuri?

venerdì 18 marzo 2011

Gino Strada a Catania


"Ripudiamo la violenza, il terrorismo e la guerra come strumenti per risolvere le contese tra gli uomini, i popoli e gli stati. Vogliamo un mondo basato sulla giustizia sociale, sulla solidarietà, sul rispetto reciproco, sul dialogo, su un'equa distribuzione delle risorse..."
Inizia così Il mondo che vogliamo, il manifesto di Emergency che verrà discusso nel corso di 20 incontri in tutta Italia da Gino Strada, insieme con tanti ospiti del mondo della cultura, della società civile e con tutti i cittadini che vorranno partecipare.
Vogliamo continuare così un impegno assunto fin dalla nostra fondazione: affiancare, all'attività di cura delle vittime della guerra e della povertà, la promozione di una cultura di pace e di rispetto dei diritti umani.
E tu che mondo vuoi?
Gino Strada e altri ospiti incontrano i cittadini per parlare di pace, democrazia e diritti.


Venerdì 25 marzo - CATANIA Centro fieristico "Le Ciminiere"

Il diavolo Gheddafi e l’acqua santa occidentale

6 marzo. Il Corriere della sera stamane sfoggia un Gheddafi in doppia versione: quella grafica con la vignetta di Giannelli, sempre incisiva, e il solito titolone in neretto di questi giorni al centro pagina. Giannelli presenta il ritratto a mezzo busto del Raìs in pompa magna militare con cappello e il petto, lato cuore, coperto da nove medaglie “originali”: sono nove teschietti, con tanto di cavità oculari nere su bianco. La bocca incappellata del Colonnello mostra denti-zanne, eccetera. Sopra si stende il titolo grande (Gheddafi fa avanzare i tank) con i suoi “paggetti”: Cannonate a Zawiya. “Ci sono decine di morti” Gli insorti verso Sirte (occhiello). Violento attacco alla città dei ribelli. Ma perde terreno a est (catenaccio). I servizi, da pg 2 a pg 6. Quello che prevale nella media di questi servizi è l’incertezza delle notizie dal terreno degli scontri fra insorti e lealisti. Ma una cosa è chiara, l’inasprirsi del conflitto. L’esito, invece, degli spari, di terra e dal cielo, è altalenante problematico, qua prevale la rivolta più o meno compatta, là il regime, ancora ben protetto dai fedelissimi. Ci si sbizzarrisce, anche, sul tipo di armi usate, e un intero articolo privilegia fin dal titolo quel tipo di Toyota Hillux detto in gergo pick-up, molto utilizzato nelle guerre del deserto: La strategia del Raìss e i pick-up simbolo della guerra nel deserto. Massimo Gaggi si occupa della cosiddetta “guerra parallela degli intellettuali”: che, com’è ovvio, si dividono fra gli opposti schieramenti, ma, in occidente, con massiccia prevalenza dei simpatizzanti con la rivolta o rivoluzione che si preferisca chiamarla. Invece il filosofo Bernard-Henri Lévy ha studiato Sei mosse possibili per aiutare i libici. Il servizio “filosofico” occupa l’intera 4a pagina, ornata di giga-titoli mini-titoli e gadget vari, comprese due grandi foto a colori. Il filosofo ebreo, campione di tutti i movimenti libertari (tranne quello dei palestinesi che osano disturbare l’intoccabile Israele) ci fa sapere come sia stato accolto con gratitudine dal Consiglio rivoluzionario provvisorio, fino a fargli “l’onore” di “prendervi la parola”. Alla sua domanda cruciale, sull’opportunità di un intervento militare terrestre della Comunità internazionale in loro aiuto, i ribelli rispondono concordi che non è il caso, mentre “tutti sono d’accordo su una serie di richieste semplici, chiare, alla portata delle grandi democrazie”. La “proposta in 6 punti” suona questa speranza: 1. “No-fly zone” per impedire a Gheddafi “di bombardare terminal petroliferi e civili”. 2.“Raid su scali militari” (come “Sirte e Sebha”) e “sul bunker di Gheddafi a Tripoli”. 3.“Bloccare i sistemi di trasmissione per mandare in crisi la macchina militare”. 4.“Azioni contro quegli Stati [africani] che permettono il traffico di mercenari”. 5.“Aiuti umanitari […] destinati alle città assediate”. 6.“Riconoscere come autorità in Libia il Consiglio nazionale di transizione”. Come programma non c’è male: bisogna vedere se le convinzioni sulle capacità offensive del Raìs onorano la realtà delle cose o le illusioni dei sogni “democratici”. E per non auto-accusarci di pessimismo citiamo un altro articolo (dell’inviato Lorenzo Cremonesi): Bengasi. Allo studio un Parlamento con i rappresentanti di una novantina di tribù. L’anarchia è dietro l’angolo”. Il primo capoverso snoda questa problematicità eloquente: “Si dicono certi di poter sconfiggere Gheddafi con le loro sole forze, ma nel frattempo si appellano alla protezione aerea internazionale. Garantiscono che si riuniranno a Tripoli ‘entro pochi giorni’ per celebrare la vittoria, però intanto si sono decisi a organizzare un governo ad interim nella capitale delle province orientali. Non perdono occasione per rilanciare il loro credo in uno Stato democratico moderno e tuttavia sono costretti a fare i conti con le antiche tradizioni tribali, in cui lo stesso Gheddafi è profondamente radicato”.
7 Marzo. Il Corsera odierno reca due testi di peso sulla crisi libica, un’intervista di Laurent Valdiguiè al Colonnello Gheddafi e un editoriale di Angelo Panebianco: due punti di vista ovviamente divergenti, ma perciò anche complementari. Titolo dell’intervista: Gheddafi: senza di me l’Europa sarà invasa. Nell’occhiello: “Ricco? Non ho un dinaro”. Titolo dell’editoriale: “L’Italia e il futuro della Libia” Tre scenari per una crisi.
Nell’intervista Gheddafi sfoggia tutta la sua capacità istrionico-dialettica, agitando, senza nominarle, le sue convinzioni (o illusioni ideologiche) e dando l’impressione di giocare col suo intervistatore. Quando il Raìs dice che non ha un dinaro, non intende negare le sue ricchezze, soltanto, le “trasferisce” nel Popolo. Un “soltanto” madornale? Si capisce: ma il suggerimento insito nel “madornale” è il perno dell’ideologia, cioè di questa convinzione: Io sono il Popolo. O, ugualmente, il Popolo si riconosce in me, mi sente come la sintesi della sua pluralità empirica. I beni, i denari, le ricchezze minerarie che io gestisco con, e tramite, i miei tecnici pe- troliferi e collaboratori manageriali appartengono al Popolo. E’ lo spirito della Jamairiya. La mia famiglia, i miei figli spendono e spandano somme da nababbi viziosi? La stampa occidentale esagera per calunniarci, ma anche quel tanto di esoso che può “sfuggire” ai miei familiari è speso per servire il popolo: lo svago dei miei figli è la condizione di un buon esito dei loro contatti esteri, vero motore dei loro viaggi e competente uso del lusso. Le inchieste di Gian Antonio Stella sulle ostentazioni miliardarie dei miei familiari all’estero? L’ho appena chiarito: esagerazioni maliziose, da pregiudizio ostile. Questi, o pressappoco, i pensieri inespressi e soltanto “allusi” che sembra lecito attribuire al Raìs. Insomma, siamo a un fenomeno che la Storia universale conosce da millenni: il capo carismatico che odora di sacralità intangibile.
Il Corsera odierno, 10 marzo, spiega una (presunta) mossa del Colonnello libico, che mentre i suoi “emissari trattano con l’Europa contemporaneamente bombarda i depositi di petrolio”. Forse la mossa merita piuttosto il nome “burla”. Come emergerebbe da questa precisazione: “gli inviati del Raìs si sono spostati a bordo di jet privati alimentando così le voci di una fuga di Gheddafi”(sic). “Taglia sul capo dei ribelli”: gesto scontato. Il sommarietto gonfia il pancino con quest’ultima terribile notizia: “Il Consiglio supremo di difesa riunito al Quirinale”. Clangore di armi in vista? Niente paura, la fiera decisione suona questa inerme fanfara: “L’Italia è pronta ad attuare le decisioni dell’Onu e della Nato”. Una notizia “minore” mostra questa scaglia di evidenza su homo necans, sempre pronto a usare gli artigli molati e accesi dal fanatismo religioso: “In Egitto strage di copti”. Ad maiora, gloria della Fede. Un altro articolo applica la “legge del contrappasso” a Gheddafi, che sarebbe “costretto a chiedere aiuto ai ‘fratelli arabi’ troppo a lungo umiliati, traditi, insultati” (Antonio Ferrari, I “fratelli arabi” tra silenzi e vecchi rancori. E siamo all’ennesimo scambio di vaghe dicerie con verità dimostrate.
11 marzo. Corsera odierno: un urlo paralizzerà Gheddafi? Ecco l’urlo: Sarkozy incalza la Ue: bombardare Gheddafi. Il presidente della douce france propone l’amaro esplosivo per il bieco diavolaccio africano: via alle bombe. Ma gli altri soci non mangiano di questo arrosto selvatico. Lui chiede “raid mirati sul Paese”, che “potrebbero colpire anche Gheddafi nel suo bunker”.

12 marzo. I quotidiani di oggi, ovviamente, dedicano il primato informativo all’orrore dello spropositato tsunami che ha distrutto mezzo Giappone: molte pagine del Corsera sono piene di servizi su quegli effetti disastrosi e stragisti, compresi i guasti alla centrale nucleare che stanno diffondendo radiazioni nell’etere. Ma la tragedia libica occupa pur sempre varie pagine, per il corretto secondo livello di attenzione massmediatica. E poiché resta l’argomento monotematico di questi appunti, eccoci a prelevare le notizie più brucianti del contesto. Notizie che, purtroppo, confortano le nostre previsioni sul Gheddafi osso duro: in sintesi, aerei e truppe governativi hanno liberate varie zone più o meno importanti e costretti a fughe più o meno precipitose le milizie “democratiche” delle aree “liberate”. Qualche passo dei servizi alle pagine 12-14 basterà a dare il polso della situazione. La prima, incoronata di titoloni minacciosi, documenta la perdurante inerzia loquace degli organi sovrannazionali e dei leader dell’Occidente virtuoso e democratico, nonché fratello zelante, in verbis, dei popoli in difficoltà che, a rischio vita, “libertà van cercando”. Titolo: L’Europa insiste: “Cacciare Gheddafi”. Un’insistenza che sa di burla involontaria, non meno delle trovate gheddafiane (ma queste ben volontarie). Infatti: la Germania “resta scettica” sui raid. L’Italia ripete la sua disponibilità a seguire gli alleati europei, ma non spinge. Tuona, da Washington, il presidente Usa Barak Obama, ma pateticamente lontano dai fatti: “Il mondo ha l’obbligo di assicurarsi che non si ripetano in Libia i massacri del Ruanda e della Bosnia. Stiamo lentamente stringendo il cappio intorno al colonnello, nessuna opzione è esclusa”. Che bel tuono di parole forti! Ma un cappio verbale non ha mai soffocato nessuno. A quando l’azione? Forse in attesa che si ripetano, magari in edizione ridotta, quei massacri così fieramente (ed eticamente) condannati? Altro leader di gran peso (teorico?), José Manuel Barroso, presidente della Commissione europea, grida da Bruxelles: “Il problema ha un nome: Muammar Gheddafi. E Gheddafi deve andarsene”. Ben detto, signor presidente, ma a questi chiari di luna quel trasloco si rattrappisce in pio desiderio. Terza voce clamante (in deserto?), Herman Van Rompuy, “presidente stabile dell’Unione Europea: “Gheddafi ceda il potere senza indugio”. Ma come fa a non indugiare quel tosto di un Raìs, se le vostre pie intenzioni sono state un solo e prolungato indugio fattuale e un ciarliero spreco di fiato parlante? Aggiunge, il presidente, sempre più terribile in flatus vocis: “Siamo pronti a considerare tutte le opzioni necessarie per proteggere la popolazione civile”. Ancora ben detto, specie se precisa: “sempre che abbiano una base legale”. Che viene ad essere il busillus più coriaceo sulla via dei fatti, viste le perplessità tedesche e il veto già annunciato da Cina e Russia alle scelte militari del Consiglio di Sicurezza Onu. Non solo: ma se occorre (sempre nelle parole di Van Rompuy) anche “una necessità dimostrabile” la matassa s’imbroglia ancora: a quale livello di stragi si considererebbe dimostrata la famosa necessità? Infine, occorre anche “il sostegno delle popolazioni della regione”. Quest’ultima precisazione stampa il sigillo dell’insignificanza alle frondose ciarle degli emeriti tutori dei destini del mondo. Intanto Gheddafi vien riconquistando varie zone già in mano ai rivoluzionari. L’unico gesto significativo, ma pur sempre derisorio, è in queste parole-sommario dell’articolo citato: “L’Europa nega a Gheddafi ogni legittimità e ritiene invece ‘un interlocutore politico credibile’ il Consiglio nazionale di transizione di Bengasi”. Si fermasse a questo punto, la dichiarazione avrebbe un pur minimo senso, sia pur teorico; ma il periodo si allunga in questa coda che ne dimezza il peso politico: “senza tuttavia riconoscerlo come governo”. Ed eccoci al “derisorio”.
14 marzo. Passano i giorni e la situazione degli insorti non fa che peggiorare: ecco dei titoli del Corsera odierno fin troppo eloquenti: Gheddafi si riprende le città della Libia. Avanzata di Gheddafi, assedio a Bengasi (titolo). Le truppe governative punterebbero su Tobruk per isolare la città simbolo della rivolta. Scontri a Brega. (occhiello) Insorti in rotta a bordo di camioncini. Il governo della Cirenaica:“Abbiamo bisogno di aiuto” Una notizia fuori testo del capo della polizia di Bengasi aggiunge un sinistro flash ai titoli: “Gheddafi dispone di 120 caccia con piloti stranieri pronti a bombardare i civili”. Trascriviamo le prime rivelazioni del rassegnato e malinconico servizio di Lorenzo Cremonesi:”Ora dopo ora, chilometro dopo chilometro, quella che fino a due giorni fa il governo provvisorio di Bengasi definiva ‘ritirata strategica’ si rivela per quello che è: una tragica sconfitta, con conseguenze potenzialmente drammatiche per gli oppositori che hanno osato alzare la testa. Ieri appena dopo mezzogiorno è arrivata la notizia della caduta del polo petrolifero di Brega. Un’altra delle città riconquistate dagli uomini fedeli a Gheddafi”. Non occorre riferire sul resto dell’articolo per concludere che l’ottimismo iniziale dei soliti Democratici responsabili dell’ Occidente senza macchia ha mancato l’ennesima occasione per dimostrare un livello accettabile di solidarietà operativa con i popoli in rivolta contro dispotismi più o meno feudali. Come riconoscono, tacitamente, altri testi del giornale, registrando i contrasti fra gli alleati euro-atlantici. Come in quest’altro titolo: No-fly zone, Parigi preme. Ma potrebbe essere inutile. Anche negli Usa cresce il partito “prudente”, impelagato nella “necessità di concordare preventivamente l’intervento con le principali capitali mondiali”. Necessità, per così dire, dimezzata dal “via libera dato sabato dalla Lega Araba”
15 marzo. Gheddafi progredisce nel recupero cruento delle posizioni perdute (città minori e quant’altro), il “concerto delle Democrazie” continua a spruzzare derisori fiotti di acqua benedetta verbale sul diavolo che si gode quelle riconquiste indifferente al loro costo di sangue (o, più probabilmente, godendone). Chiudiamo questa “puntata” con un ultimo assaggio di titoli. Il G8 rinvia la no-fly zone alle Nazioni Unite (titolone, lunghezza pagina). Tedeschi e russi contrari alla proposta di francesi e inglesi. Il ministro degli Esteri italiano: “Coinvolgere la Lega Araba” (occhiello) Frattini: “Sulla Libia, posizioni differenti. Ora tocca al Consiglio di sicurezza” (catenaccio). Frattini, more solito, con i suoi interventi amministra il superfluo. E quando azzarda un suo pensierino timido, riecheggia altre voci. Ma il clou dell’originalità ridicola viene da un campione inarrivabile di fede cattolica e servilità vaticana, al quale il Vangelo suggerisce strani primati di realismo politico del tutto indifferente alle stragi di quegli infedeli senza Cristo. Stiamo pennellando sulla figura di Roberto Formigoni, un’intervista del quale il Corsera riassume in questo titolo: “Gli interventisti vogliono togliere al nostro Paese la sua influenza”. Capite? La splendida influenza guadagnata dal fasto ospitale e dal baciamano del suo (e nostro, purtroppo) premier fornicatore! E dire che il foglio trasmette questo grido dei ribelli in rotta: Bengasi teme la vendetta. “Massacro se passa Gheddafi”. Il Robertone ostiafago bada più a quest’altro titolo: L’Italia non esclude di dover affrontare un Gheddafi redivivo ”(“La Nota” di Massimo Franco). Forse lui e il suo Patron politico stanno studiando la nuova accoglienza in pompa magna. Tuttavia, onestà vuole che gli si riconosca un punto di forza in questo pensiero-timore: “Io metto in guardia contro i rischi di un intervenendo diretto […] Stiamo parlando del mondo arabo, dove il pericolo di buttare un cerino in un deposito di benzina è altissimo. Un intervento armato potrebbe essere preso a pretesto dagli estremisti, dalla stessa Al Qaeda per gridare alla guerra santa”. Purché si riconosca che la “forza” dell’argomento è un macigno di puro egoismo. Forse il governatore della (ormai supercattolica) Lombardia è più sensibile alla reboante minaccia di Saif, secondogenito del Raìs, che ha ispirato questo titolo al Corriere del 12 marzo: E Saif minaccia l’Italia:” Traditori, reagiremo”(titolo). “Se perdiamo, sarete voi le prime vittime” (catenaccio)
Intanto le minacce di “invasione” dei Paesi europei (specie se rivieraschi) da parte dei disperati libici in fuga (e non solo) si stanno avverando. Quando il Colonnello le brandiva, con divertito sadismo, più di una “Testa pensante” del Gotha politico europeo ci rideva sopra come su smargiassate di un gradasso ciarliero, ma ecco un titolo dello scorso Corsera: Dalla Libia arrivano anche 21 barconi (occhiello) Il giallo della nave con 1.800 a bordo. Roma ordina l’alt (titolo). Prime righe del testo. “Cinque sbarchi in mattinata. Nove barconi approdati in serata. E altri in arrivo”. Un altro in quello di oggi: Una nave dalla Libia Allarme del Viminale “Pericolo terroristi”. “Il catenaccio” precisa: 1800 passeggeri, quasi tutti marocchini.
Sospendiamo qui il “Diario” con il seguente mini-aggiornamento al 16 marzo: (ancora titoli del Corsera) Così Gheddafi ha messo i ribelli in rotta. La controffensiva è arrivata a Bengasi mentre l’Occidente discute. Morale della favola triste: l’egoismo cieco (ma illuso di chiaroveggenza) e bieco (ma lontano dal supporre tale qualifica) muove la politica globale. Ogni dirigenza nazionale (o di alleanza) interroga i propri interessi, e agisce di conseguenza. A volte sbagliando anche in quella difesa di non lungo sguardo. E così il diavolo può ridere in faccia agli spruzzatori di acqua santa.

Pasquale Licciardello

giovedì 10 marzo 2011

Cuique suum

Atto primo.gheddafi accusa la lega di avere contattato la Libia per ricevere armi per la liberazione del "popolo padano". Farneticazioni di un dittatore pazzo, direte. Ma sentite la risposta di bossi.
Atto secondo. bossi: "Ma vi pare. Per fortuna abbiamo tantissimi uomini e le armi si fanno in Lombardia".
Delle due una: o si tratta di un povero mentecatto in crisi etilica da curare con cortese sollecitudine o ci aspetterebbe una risposta indignata di tutti (maggioranza compresa) e un'inchiesta della magistratura. Ma in Italia ormai ci si abitua a tutto, tutto tace, tutto.

Seguito del diario sulla Libia in fiamme

25 febbraio Le convinzioni affrettate sono appiccicose, non è facile rimuoverle; tanto meno se sono anche (come capita alla fretta) euforiche. Quelle sbandierate sulla “rivoluzione” libica come precoce “risveglio di primavera” tutto splendore di libertà democrazia valori e altro dolciume ce ne ha messo di tempo per prendere atto di una realtà assai diversa e molto più complessa del nudo dualismo Tiranno-popolo, con tifo obbligato per il Popolo che tornava ad essere (o almeno a volere essere) sovrano. Tre giorni fa si era così convinti (intendo, lo era la maggioranza degli osservatori e dei semplici orecchianti di commenti altrui: in basso e in alto loco) che ci si preparava alle proverbiali giravolte per salvare capra e cavoli: affari privati e convenienze pubbliche. Tanti, quelli privati, sul territorio libico, a cominciare dal prezioso amico Berlusconi per finire a decine di nomi più o meno importanti. Ma già aziende pubbliche di vario peso (nessuno risibile) hanno dovuto sbaraccare. Duole che al malinconico ritorno al paesello siano stati costretti anche molti lavoratori che sulle imprese d’oltremare puntavano per camparci.
Ma ecco alcuni titoli del Corsera odierno. Prima pagina. Tripoli alla battaglia finale. I combattimenti si avvicinano. Gheddafi accusa Al Qaeda. Giornalisti italiani malmenati Seconda pagina: Guerra civile in Libia La battaglia Furiosi scontri attorno a Tripoli E Gheddafi accusa Bin Laden. Eccola là, la parola esorcizzata nei primissimi giorni della rivolta: ritorna (purtroppo) imbandierata del peggio: guerra civile. Cioè, incivile, barbarica, stragistica. Il Raìs, sorpreso e impermalito, sta mostrando il lato peggiore della sua personalità complessa. Certe sue espressioni sono indicative di uno stato d’animo da res sacra svegliata da una grossa bestemmia. I giornali parlano di mercenari, e ci saranno, ma “sfilano”, bene armati, anche i fedelissimi delle forze militari, pronti a rischiare la vita per un capo carismatico, certamente non odioso al loro sguardo di pretoriani ben pagati. Eccoli, i pretoriani, anche nei nuovi titoli: Un’armata di pretoriani per schiacciare i ribelli. E nel “catenaccio”: I figli del raìs guidano brigate di ex soldati, guerriglieri e disperati, con armi anche italiane. A proposito delle armi, tutte le potenze democratiche (più o meno) ne hanno vendute di ogni sorta al Colonnello, che oggi si respinge come l’appestato di turno. Come scintilla da questo semplice passo dell’articolo: “Tripoli, in questi ultimi due anni, ha riempito i depositi. La sola Unione Europea ha esportato armi per oltre 473 milioni di euro. Forniture che hanno interessato anche l’Italia: fucili, pistole, equipaggiamento per disturbare apparati elettronici, munizioni. Un affare da 79 milioni di euro che – secondo la Rete disarmo -- è avvenuto senza le necessarie autorizzazioni.” E qui cade opportuno un evviva! per le democrazie senza macchia le quali armano un tiranno tutto macchie e un bel giorno recitano il vade retrum come davanti a un invasato da esorcizzare, non smascherato prima perché drappeggiato di loquaci apparenze virtuose. Queste pulzelle che tentano di ricucire una verginità da troppo tempo perduta (in omaggio al dio Mammona) ricordano quelle escort di fama mediatica, e qualche minorenne di frequentazioni largamente note, alle quali si offrono non faticati milioni di euro perché neghino l’accaduto conclamato nelle non sospette conversazioni intercettate. Ghiotta occasione in dono a qualche giornalista curioso per un ennesimo sfoggio di critica bipartisan. Ecco Pierluigi Battista bacchettare, in uno dei suoi “Contromano” (piccato, forse più del solito), gli ipocriti di turno che voltano faccia (e tasca) al Raìs. Titolo grande, parola pesante: Da Londra al Palazzo di Vetro L’ipocrisia degli amici diventati “ex”.
27 febbraio. A proposito di schiumeggiate nel laghetto del ridicolo, non è male un titolone del pontificale Corsera (l’insolito aggettivo guarda, sì, al peso editoriale del quotidiano, ma non dimentica nemmeno la devozione, sì poco laica, a santa madre Chiesa, con l’annesso cestino per lettere di lettori che la criticano e quel non plus ultra di laicismo capovolto che lampeggia come un faro, dalla pagina domenicale riservata al cardinale Martini). Eccolo, il giga-titolo che assume il “candore” di Obama per tutta la lunghezza della pagina 5, col suo “Primo Piano” dedicato alla finalmente scoperta “Guerra civile in Nord Africa”: Obama intima a Gheddafi:“Vattene subito” con “catenaccio” che aggiunge queste difficoltà: Intesa all’Onu sulle sanzioni, dubbi di Cina e Russia sul deferimento alla Corte penale. Dove si può ammirare un resistente senso del ridicolo in due grandi potenze. Qualità che sembra mancare al ministro degli Esteri tedesco, Guido Westerwelle, di cui si riporta questo giudizio nella striscetta azzurro pallido che sovrasta titoli e titoloni: “Una dinastia che conduce una guerra così brutale contro il suo popolo è finita”. E noi pensavamo che soltanto gli italiani avessimo un Frattini! E, meglio ancora, un Berlusconi amicissimo e baciamani di Gheddafi: circostanza che fa crescere il peso politico contingente del nostro premier nel “concerto delle nazioni”. Telefonate, a non finire dai pezzi grossi della Polis occidentale con l’illusione che il nostro super-Girella sappia fornire lumi originali sul Proteo libico e il suo “futuro e libertà”.
Primi giorni di marzo. Il mese breve tramonta, entra in ribalta il “mese verde”, terzo del rosario calendariale, e sfilano un po’ meno rapidi i giorni della tragedia libica, meno propizi alle scampanate trionfali degli ottimisti al balcone della Democrazia con la maiuscola: il raìs picchia duro, il famoso popolo tutto febbre di libertà tenta in gran parte di scappare dalla micidiale festa democratica, mercenari e militari di Stato stanno, nella quasi totalità, dentro i convinti ranghi del presunto demonio non stretto di borsa, aerei e carri armati piovono missili e provano armi viepiù micidiali sulla carne dei nuovi “martiri della Libertà”, l’euforia degli scalmanati che vendevano la pelle dell’orso ancora vivo e più che mai aggressivo, malinconicamente si spegne. E non lascia che il ridicolo di certe sentenze sommarie e la conferma di un’antica verità, che homo sapiens politicus non impara nulla, o quasi, dal passato, e resta, contro ogni evidenza, esposto alle ridenti illusioni non disinteressate. I titoli di stamattina, 5 marzo, da un estremo all’altro dello Stivale, sembrano soffrire di quel ridicolo o della recente blefarite lacrimosa “Gheddafi wanded”, gridava La Sicilia, completando il titolone con una modesta rassegnazione: Ma lui non cede. Il “re dei giornali”, insomma, il Corsera, ripiega su una frusta metafora, ma il senso è lo stesso: Il pugno di Gheddafi sulle città. Sotto il titolo, in senso tecnico, scorre il cosiddetto “catenaccio”, più livido che mai: Campagna di terrore contro gli oppositori. Violenze a Tripoli. Sotto il titolone, un titolino pallido coniuga i due (presunti) opposti più stridenti: Preghiera in moschea e poi la battaglia. Il sommarietto del primo articolo dice: “Venerdì di guerra e di preghiera in Libia. Il pugno di Gheddafi si è abbattuto sulle città della rivolta. Scontri a Tripoli. Il premier Berlusconi propone un piano da 10 miliardi per il Maghreb e resta prudente sul blocco dei beni libici”. Quello del secondo articolo (di Fabrizio Caccia) ventila questo soffio di speranza avvolto nel grido dei rivoltosi: “Via Gheddafi, basta, il popolo vuole cambiare!” Il Popolo! l’inamovibile di ogni insurrezione, brilla di speranza nella dolorosa fatica degli insorti. Continua il sommarietto: “Non era mai successo prima, a Tripoli. Nessuno, mai, ha avuto il coraggio di pronunciare quelle parole. La rivolta, ieri, è arrivata a destinazione. Adesso può solo crescere o morire”. Strana “destinazione”, codesta, che si dondola tra due opposti. Ma tant’è. Gli sviluppi dei due testi citati non estraggono nulla di più significativo da una situazione che ha sorpreso (curiosamente, peraltro) la grande maggioranza degli osservatori professionali, politici di ogni livello dei Paesi occidentali, culmini politici del resto del globo. Il volenteroso Obama è dovuto scendere dal picco dell’altro giorno, ossia una esplicita minaccia di intervento armato, a più modesti moniti e movimenti: passeggiate della Sesta Flotta nel Mediterraneo, telefonate con Angela Merkel, gita di Hillary Clinton a Ginevra per “discutere del Caso Libia davanti al Consiglio Onu per i Diritti umani e con alcuni partner europei, come il ministro italiano Franco Fortini” (sempre pronto a scattare sull’attenti davanti al grande Alleato-padrone) e robetta simile. Un po’ patetico, anche lui: stretto fra falchi avventati (i neocon in fase di rigurgito imperiale) e realismo da guai giganti in corso (le guerre “impossibili” di Iraq e Afghanistan, la concorrenza industriale, mercantile e monetaria di Cina, India, Brasile..) non gli resta granché da fare oltre le sonorità delle minacce spuntate. O, in extremis, un’azione limitata, concordata con gli alleati, non ché legittimata dall’Onu.
Certo, quanto al ridicolo di alcune sortite oratorie l’Italia ha un primato inespugnabile in persone e personcine come l’appena “convocato” Frattini, l’inutile Gasparri, il focoso La Russa, il chierico Quagliarello (al quale non è quagliato il cervello: memorabile il suo grido-sintomo in Aula: “Eluana non è morta, è stata assassinata!”), Giuliano Ferrara (gli dèi ce lo conservino! Chi ci darebbe, come l’uomo elefante, lezioni di nuova immoralità fornicatrice quale medicina contro il moralismo bacchettone di noi poveri critici del sommo Silvio consumatore di escort e utente di minorenni?), i mastini delle inchieste taroccate, (Belpietro, Sallustri, Feltri, Porro..: ci mancherebbero i loro latrati di guardiani del tesoro certosino). Quando aprono la bocca Gasparri La Russa e Frattini sono cavolate fresche di orto ben irrorato. L’ultima sortita frattiniana mette in guardia contro le incognite di un eventuale intervento armato contro il Mostro libico (fino a ieri amabile amico del suo Patron e dunque di esso lui, Frattini in persona): qui il ridicolo sta nell’assoluta inutilità del suo intervento. Ben altre le teste che quel “rischio” hanno calcolato. Anche per un’iniziativa “leggera”, come un’eventuale no fly zone. Si ripiega sulle sanzioni economiche e non militari in genere. Il governo italiano, come suole, va a rimorchio: segue la Ue, seguirà l’Onu. Berlusconi è passato, com’è noto, dal “Non lo chiamo, non lo disturbo” dei primi giorni al rifiuto (obtorto collo) delle violenze ai civili.
Tra il comico e il drammatico sta l’incapacità di previsione dei “tecnici del prevedere”: grossi politici in servizio permanente e totalizzante, storici capaci di autorevoli volumi sui fatti avvenuti, specialisti delle inchieste giornalistiche, e filosofi della Storia con la maiuscola. Il Corriere del 27 scorso (che leggiamo oggi) dedica all’argomento un ampio servizio della sezione “La cultura”(pgg. 34-5) con un intervento di Edoardo Segantini ricco di titoloni e sommari, finestre e medagliette con foto (una sorta di svago sulla tragedia: ma c’est la vie e non è serio recriminare). Eccone un veloce cenno: Le sorprese della storia. Dal 1989 all’Africa: impreparati al futuro. La caduta del Muro, l’attacco alle Torri gemelle, la crisi dei mutui subprime, le insurrezioni lungo il Mediterraneo. A fronte di una mole di informazioni incredibilmente abbondante la capacità di leggerle e decodificarle sembra rimanere molto modesta. Per lo storico Piero Melograni le difficoltà previsionali dipendono dal fatto che “l’evoluzione tecnologica ed economica, mentre risolve un problema, ne crea subito un altro di superiore complessità". L’autore del fortunato saggio La modernità e i suoi nemici (Mondadori, 1996) cita, nel suo libro, un passo del Principe di Machiavelli (un vero intenditore di res humanae) che avverte: “in tutte le cose umane si vede questo, chi le esaminerà bene: che non si può cancellare uno inconveniente, che non ne surga un altro”.
Pasquale Licciardello

domenica 6 marzo 2011

Una storia edificante

In un precedente blog avevo segnalato i poteri taumaturgici di berlusconi quando aveva promesso di sconfiggere il cancro in due anni ed avevo paventato il rischio che, credendoci davvero, il governo potesse tagliare i fondi alla ricerca. Detto, fatto. Premessa. La comunità europea impone ai produttori di latte delle quote. Quasi tutti i produttori di latte italiani si adeguano meno alcuni leghisti veneti duri e puri. Arrivano le sanzioni europee. I vaccari veneti si rifiutano di pagare, mica sono fessi loro! E chi paga allora? Ma gli italiani onesti, ovvio! Con quali soldi? Semplice con i soldi per la ricerca sul cancro!!! Tanto per sconfiggere il cancro non serve la ricerca quanto piuttosto le pozioni e le cialtronerie dei vanna marchi della politica.

venerdì 4 marzo 2011

AAA cercasi brava maestra scuola pubblica

berlusconi: "Nella scuola pubblica gli insegnanti inculcano principi diversi da quelli delle famiglie".
maria stella gelmini : "non c'è stato nessun attacco alla scuola pubblica".
La ministra ovviamente non ha frequentato la scuola pubblica e, quindi, dimostra grave difficoltà nel comprendere anche allocuzioni semplici. Una buona maestra di una buona scuola pubblica potrebbe aiutarla.