giovedì 25 agosto 2011

Cronache di regime

1. Terremoto dell'Aquila. Gli abruzzesi ancora aspettano i soldi per la ricostruzione ma qualcuno pensa bene di stornare 20mila euro dei fondi ricostruzione per erigere, a memoria imperitura, un busto a guido letta, prefetto fascista e zio del sottosegretario. Come se non bastasse al fascista letta viene dedicata "Piazza Risorgimento" che, forse per festeggiare in modo originale il 150° anniversario dell'Unita d'Italia, ora si chiamerà "Piazza gianni letta".
2. Sempre sui fondi del terremoto. Ecco come la Regione Abruzzo ha speso i fondi terremoto: convegno sul federalismo (20mila euro), campionato del mondo di hockey a Roccaraso (50mila euro), spese di "comunicazione istituzionale" (50mila euro), eventi del cartellone estivo (70mila euro), premio cinematografico intitolato alla memoria di Pietro Taricone (30mila euro). 
3. Non ti scordar di me. Ricordate l'ex. ministro brancher costretto alle dimissioni e poi condannato con sentenza definitiva a due anni? Ebbene, come pubblica l'Espresso,  il governo lo ha nominato presidente con pieni poteri di un nuovo ricchissimo ente l' "Odi" ("Organismo di indirizzo"). E' il primo caso al mondo di un pregiudicato a cui viene affidata la gestione di un ente pubblico.
4. mariastella gelmini la ministra dell'istruzione, meglio nota per avere conseguito l'abilitazione di avvocatessa in quel di Reggio Calabria, ha pensato bene di dire la sua sull'inettitudine dei popoli del sud: "I meridionali sono scrocconi, si fanno mantenere dagli altri. La Lombardia paga per chi vive al di sopra delle proprie possibilità".

Liberate Francesco!

A 11 giorni dal rapimento di Francesco Azzarà, logista del Centro pediatrico di Emergency a Nyala, ancora non sono pervenute rivendicazioni né richieste di riscatto.
Stiamo lavorando per portare a casa Francesco il prima possibile; le indagini proseguono con la piena collaborazione del governo sudanese e del ministero degli Affari Esteri italiano.
Ringraziamo tutti i cittadini che in questi giorni hanno manifestato la loro vicinanza e solidarietà.
Ringraziamo anche le numerose istituzioni che hanno espresso il loro sostegno attraverso il proprio sito web o esponendo la fotografia di Francesco. Invitiamo Comuni, Province e Regioni a chiedere con noi la liberazione di Francesco.
www.emergency.it

martedì 23 agosto 2011

The end


Tempesta continua

Aspettiamo il sereno, e continua la tempesta. Ad ogni segnale di meteo in evoluzione pietosa si accende la fiammella della speranza, ma non si fa in tempo a sospirare un “finalmente” che la bufera riappare, grintosa più di prima. Quello che non cambia (se non per minimali dettagli retorici) è il coro dei commenti mediatici, l’orchestra dei distinguo, dei pareri tecnici, nella gara a chi pretende di offrire migliori farmaci per la sempre più costernante patologia del cosiddetto sistema.
Ecco alcuni titoli del quotidiano di opposizione più coriaceo e costante, La Repubblica, versione on line (10/8/2011,ore 19,30): “Wall Street in caduta, Milano chiude a -6,6%. Timori sul debito francese, affondano le banche. Borse europee a picco, Parigi annuncia piano antideficit”, eccetera. Assaggini di testo. “La giornata. Perdite pesanti su tutti i mercati. Piazza Affari crolla con i titoli finanziari”. Consob, “Vendite allo scoperto nei limiti”. “I rumours sul possibile down grade della Francia scatenano il panico. In rialzo spread Btp-Bund.” In tanto sfracello, qua e là s’insinua un pigolio di speranza, quasi tirato per la coda:.“Bene l’asta dei Bot”. “La Fed non alzerà i tassi fino al 2013”. Naturalmente affiora anche il capino dell’esperto che ci spiega Chi allontana gli investitori. Ecco in campo Carlo Clericetti: “Gli Investitori disertano piazza Affari” La colpa? E’ “dell’immagine italiana all’estero. Le troppe incertezze sul futuro del Paese e sulle decisioni del governo tengono lontani gli acquirenti dal mercato azionario” E butta giù un’accusa al vetriolo: siamo “Commissariati”. Addirittura! Ora, non è che la metafora catastrofica sia del tutto sfasata con la sostanza del dramma reale, ma non si può obliterare la circostanza che siamo dentro gli incontrollabili vortici di una bufera generale, estesa dagli Usa a tutta l’Europa. In tale ampiezza di contesto come si potrebbe legittimare un restringimento polemico siffatto? Lo sappiamo: homini sumus, nihil humani a me alienum puto: a cominciare dalla tentazione di accusare sempre il nemico per i nostri guai. Non bastano le sue responsabilità reali?
Tremonti, il ministro-mago, ha una ghiotta occasione di sfogare la sua sempre meno mascherabile vena sadica. A stento frena il ghigno dei suoi diktat: dobbiamo, sentenzia, “ristrutturare la manovra”. La quale, non essendo il candidato a tanta ristrutturazione, un vecchio casale, ma il destino matematico della nostra carne, costerà lacrime e sangue. Un sanguigno politico della c.d. Prima Repubblica definiva la politica un coktail di sangue e cacca (ma lui chiamava la cacca col nome proprio). Tremonti non è meno immaginoso, anzi il suo Titanic egalitario è già stato promosso a parabola storica, ma predilige immagini meno plebee. Lacrime e sangue, dunque. Si potrebbe impetrare dagli Oscuri (timida immagine personale della dismessa Provvidenza) un tasso di rassegnazione patriottica, quanto penitenziale. Ma, ahinoi, a tanta virtù cristiana si oppone la malignità subdola dei manovranti. La manovra, infatti, onora un vecchio codice truffaldino: “paghiamo tutti, per pagare meno”, la cui lettura corretta suona questa fregatura: paghiamo tutti perché paghino, in realtà, solo i poveri. Non che i ricchi non siano costretti a disturbare il pingue portafoglio, ma il loro “obolo” non gli sposta un capello dal cranio, mentre quel pagare dei poveri (dai piccoli borghesi, che pareggiano al limite il bilancio, ai miserabili che non hanno alcun bilancio) rade fino al cuoio capelluto. Per non dire di un fenomeno di recente evoluzione: tentare di far pagare due volte chi ha già pagato, per esempio, la bolletta dell’acqua, chiedendo la ricevuta vecchia perfino di 10-15 anni! Caso accaduto, ripetutamente, in un ramo della parentela, e insomma in questa Sicilia dai primati storici così spesso negativi fino al paradosso. Ancora più raffinata, in chiave di sadismo amministrativo, è la pretesa di far pagare a chi non ha soldi bastanti a garantirsi ogni giorno colazione e cena gli errori contabili dei funzionari delle Agenzie del Welfare. Quando, poi, la Lega s’intigna con la sua recitata indignazione -tipo: “Esclusa ogni patrimoniale”- non si vede il volto popolare di quel no paseran, considerato che una patrimoniale sui beni dei miliardari dell’Italia liberista e carogna non sarebbe che un doveroso, quanto opportuno, atto di probità. Mentre tassare di più le rendite sul Debito sovrano livellando pescecani e poveri diavoli al di sotto dei 200.mila euro di capitale raccolto a briciole sarebbe (sarà?) l’ennesima vigliaccata temeraria di questa classe politica pletorica, bugiarda, ciarlona, incollata al suo particulare. E sia detto, ovviamente, con rispetto delle minoranze (non proprio affollate) degli onesti e capaci, militanti nelle file delle opposizioni più marcate e decisamente popolari (al di là delle ufficiali qualifiche e nomenclature).
Nell’ottica di quel rispetto, si comprende bene perché la Camusso, segretaria della Cgil, attacca (ma quasi con delicatezza) il recente incontro governo-parti sociali come “non all’altezza”. Il premier annuncia un consiglio dei ministri. con obiettivo “Pareggio di Bilancio entro il 2013 e nella Costituzione”. Una furbata (direbbe Di Pietro), quella coppia, data-Costituzione, per giocare la solita partita truccata dei grandi annunci seguiti da zero fatti o micro-iniziative. Ma ora c’è lo smottamento generale, cui fa drammatica eco la serietà di Gianni Letta, sottosegretario e consigliere del principe: “Scelte rapide, è precipitato tutto”. A ridosso del consolante annuncio, ai sindacati non resta che lo sforzo minimale di un auspicio-monito:“Ci vuole equità”. Più diretto e deciso, il pur alleato Bossi, a nome dell’intero Carroccio, si dichiara “contrario a interventi contro pensionati e realtà produttive”. Certo, dal dire al fare, poi, c’è di mezzo il proverbiale mare. Attendiamo. Sperando in qualche spiraglio.
Che arriva, “scampanato”, da titoli come i seguenti della Repubblica on line (11/08/2011, ore 19): “Borse, l’Europa riprende a correre, Milano vola con le banche, più 4,1%”. Ma lo spiraglio, che respira corto, non previene l’inevitabile “scontro su Tremonti” e le sue ricette tossiche: “Tasse su rendite, libertà di licenziare”. Così il tremendo superministro, dritto e affilato dietro una maschera malriuscita di emotività solidale. E se si volesse ricordargli la drammatica realtà sociale tradotta in cifre sul Corsera dello scorso 16 luglio, lui farebbe spallucce, infastidito del doversi ripetere: “è forse colpa mia? Sono forse il custode di mia sorella Società in sofferenza di povertà?” Ché di questo si tratta, come canta in lacrime già il titolo: “Povertà per 8 milioni di italiani. La soglia critica dei 990 euro. Con l’occhiello che dettaglia queste lacrime:“I più poveri tra i poveri”sono tre milioni. Cifre dell’Istat. Recita il testo, correggendo in parte il titolo in augendum: “Ci sono quelli che l’Istat chiama i ‘più poveri tra i poveri’, e sono oltre tre milioni di italiani, un milione e 156 mila famiglie, il 5,2 per cento della popolazione e il 4,6 per cento delle famiglie. Sono quelli che vivono in condizioni di povertà assoluta, quelli che […] non riescono a procurarsi ‘l’insieme di beni e servizi considerato essenziale per uno standard di vita minimamente accettabile” Ebbene, cosa inventa Tremonti per sanare questa violenza disumana non dichiarata (forse perché, da parte delle vittime, non ci sono ancora grida e spari)? La supermanovra da 45 miliardi e mezzo distesa sul letto di un triennio, con tutti gli abusi su “i soliti noti” destinati a pagare sempre, per dirla con Scalfari. Il quale, nel suo editoriale della domenica, definisce la manovra “una schifezza”, illustrandone le storture, le furbizie, le reticenze a vantaggio dei Paperoni e a scorno dei pulcini del ceto medio--popolare. E chiede pure, il vampiro di Transilvania GiulioTremonti, l’una tantum di solidarietà ai percettori di redditi superiori ai 90 mila euro lordi l’anno. Non si stenta a capirlo, visto che appartiene alla categoria dei paperoni. Lo si capisce pure quando del suo monumentale reddito si serve per pronunciare la sua (pretesa) inattaccabilità dal virus dell’ingordigia border-line, o palesemente (fiscalmente) scorretta. Ecco sue storiche esternazioni:“Ho guadagnato molto, ero il primo contribuente della Camera. Ma ho sempre mantenuto uno stile di vita sobrio, e non ho mai avuto bisogno di favori”. Per sì luminosa evidenza, dunque, con la vicenda incardinata sul dinamico signor Milanese lui non c’entra niente (ripete), ma i fatti dissero (e van ripetendo) il contrario. Non risparmia neppure le iperboli ricattatorie, il Riccioluto: “Chi mi attacca danneggia il Paese”. Il quale, già di suo, si scopre bersaglio elettivo di chiare manovre speculative. Dati i mal nascosti sfrigolii tra lui e il premier, non sembra un eccesso di ostilità moralistica intravedere in quella “precisazione” sul Paese minacciato una chiamata di correità antipatriottica per don Silvio. Ma vediamo alcuni punti della supermanovra. “Tassa straordinaria sugli assegni d’oro e minore indicizzazione al costo della vita. Sulle pensioni più ricche scatta, dal 10  agosto 2011 e fino al 31 dicembre 2014 un prelievo straordinario del 5% sugli importi superiori a 90 mila euro lordi l’anno e fino a 150 mila euro, del 10% per la parte eventualmente eccedente. A formare l’importo concorrono anche i trattamenti di pensioni complementari. Inoltre si riduce per il 2012 e il 2013 l’adeguamento degli assegni all’inflazione” Et altro non ci appulcro, diremo con padre Dante.
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Interrotta lo scorso11 agosto, riprendiamo oggi, 20, la stesura di questo sfogo anti-nevrosi, constatando la non auspicata conferma al suo titolo poco allegro. Da quella data non è passato giorno senza titoli, e annunci mediatici di schietto allarme in crescendo, e altrettanto drammatici resoconti commenti analisi tecniche e proposte pedagogiche per una lotta vincente alla deriva drammatica delle economie europee. Ma invece di segnali incoraggianti (che non fossero fuochi fatui) si è avuta una specie di fatalità dell’inarrestabile. Che sembra prevista da un titolo del Corsera del 4 agosto: Niente tregua, Borse e Bpt giù .Ma il primo allarme del presente “aggiornamento” grida da questi titoli della torinese Stampa del 19 agosto. Titolone di taglio centrale, caratteri “ciclopici”: Borse, panico da recessione [titolo in senso stretto]. ‘Morgan Stanley taglia le stime della crescita mondiale. Male bancari e industriali. Petrolio a picco, l’oro su valori record’ [occhiello]. “L’Europa brucia 300 miliardi, è il peggior crollo dal 2009. Milano maglia nera” [catenaccio]. Gian Enrico Rusconi, nell’editoriale cupo già nel titolo, Governare senza crescita, fin dal primo capoverso suona le annunciate campane a lutto:“Come si governa una società senza più crescita? Una società che verosimilmente non avrà più crescita nel senso e nella misura in cui gli economisti e i politici l’hanno intesa sino a ieri? La classe politica dirigente europea non sembra essere in grado di rispondere a questa domanda cruciale”. “Europea”: dunque nemmeno la tedesca? Nemmeno “lei”. La famosa Angela Merkel, cancelliere dei miracoli, già vacilla, incalzata da certo nervosismo dei suoi elettori e del partito, allarmati, gli uni e l’altro, dalla crisi non meno degli altri soggetti europei, a dispetto del vantaggioso confronto delle rispettive economie. Insomma, la bufera minaccia anche la roccaforte tedesca. Del resto, la visione politica che l’ha ispirata rimane angustamente limitata, cioè “schiettamente conservatrice, sia pure nel senso nobile della tradizionale democrazia cristiana tedesca”

A sua volta il Corsera del 20 rinnova l’allarme: “Un’altra giornata pesante per i mercati. Piazza Affari in coda: perso quasi il 2,5% [occhiello] Borse, Milano soffre di più [titolo] Bruxelles rilancia gli Eurobond. No di Merkel e Sarkozy [catenaccio]. Questi due polli sapienti, galletto e faraona! Il tandem dei responsabili al di sopra delle comuni sofferenze e delle altrui limitazioni “euristiche”, pretende di tenersi fanaticamente lontano dai comuni leader politici. Recita, nei fatti, l’oraziano odi profanum vulnus et arceo? Ma, abusando del latinorum, Cui prodest tanta boria?.Incipit e primo capoverso del testo corseriano: “Borsa ancora in caduta in tutta Europa. Milano chiude con il risultato peggiore. I mercati finanziari scontano i timori di una nuova recessione che potrebbe partire dagli Stati Uniti”. Questo pantano emozionale ingrassa i beni rifugio, e principalmente il coriaceo oro: la quotazione del quale “ieri ha raggiunto il nuovo massimo storico: 1877 dollari all’oncia”. L’“analisi di una storia” ci propone un giudizio stagionato di Massimo Gaggi, Lehaman e noi. Una crisi in quattro anni. Gustiamone un assaggio: “Da Ben Bernanche a Umberto Bossi. Quattro anni di una crisi estenuante che pochi hanno capito nella sua dinamica e nelle conseguenze –una crisi che purtroppo non ci lascerà tanto presto —possono essere raccontati anche così, ponendo ai suoi estremi due facce assai diverse”. Ma siccome il nostro discorso si è gonfiato troppo, rinunciamo a ri-degustare qui la ghiottoneria gaggese lasciando spazio alla disperazione del nostro Stato maltrattato, che pensa quanto annunciato dal seguente titolo: Vendere uffici e caserme. Il piano per fare cassa. Testo-sommario: “Le dismissioni del patrimonio immobiliare dello Stato e la revisione del contributo di solidarietà per tener conto della composizione del nucleo familiare sono le ultime proposte per risanare i conti pubblici”.
Intanto, la Chiesa, generosa com’è, sul filo del Vangelo, ci dà una mano con la voce del cardinale Bagnasco che definisce “impressionante” l’evasione fiscale italiana. Ed è stata l’accensione del proverbiale fiammifero dentro un pagliaio: i blog gli hanno ricordato che santa madre Chiesa non paga tasse al nostro Stato, sprecone e lecchino, per un bel gruzzolone di miliardi. Infuria, intanto, la fiera delle esternazioni sulle ipotesi di novità nella manovra in cantiere, mobilizzando la platea politica maggiore e minore, dal Parlamento alle salette dei piccoli comuni. E la proposta di dimezzare l’operosa legione dei parlamentari “scuote il Palazzo”. Dietro la “scossa” crepita una realtà pelosa (di egoismo brado): “Metà dei parlamentari ha il doppio incarico e diserta l’Aula”. Non bastassero le rogne serie, si mobilitano anche le città della Lega a rompere l’anima ai signori governanti e al non più invulnerabile Bossi. Dice il Corsera citato: “Parte dal Veneto la rivolta dei sindaci del Carroccio”. Ed è un “classico”: appena si accenna a parlare di risparmi con tagli, enti e prebende minacciati intonano il canto della lacrimante e minacciante Protesta. Sì, è la solita, classica, monotona storia: “Non nel mio cortile!”.Intanto don Peppino De Rita ci regala uno dei suoi pungenti editoriali per lamentare l’implicito del titolo: Parti sociali, timide idee . Ovvero: “Più tavole che proposte”. Ne riportiamo soltanto il rombo dell’incipit: “Nel recente convulso accavallarsi di annunci, fenomeni e disinneschi della crisi finanziaria, non tutti i soggetti collettivi, politici come socio-economici, sono riusciti a capire e difendere le proprie filosofie di sviluppo e al limite i propri interessi. / In particolare, un soggetto è apparso in grande difficoltà: il mondo che chiamiamo ‘forze sociali’, quell’insieme cioè delle organizzazioni che rappresentano i diversi interessi imprenditoriali, sindacali, categoriali. Non si è vista traccia di una loro idea, iniziativa, proposta, mentre il governo era obbligato a inventare e correggere una molteplicità di ipotesi e interventi. Eppure erano state le forze sociali a segnalare l’urgenza di muoversi; era stato il presidente dell’Abi, Mussari, a redigere un drammatico documento” sul rischio che correvano (e corrono) le banche: di essere travolte dal caos dei mercati di titoli. E perfino quello di essere svendute. Il benemerito Mussari ha raccolto un bel bouquet di firme autorevoli per la sua meritori difesa. Sia lode al merito. Cosa che non si può dire della maggioranza politica al governo, incapace di sposare .“l’idea di ripetere l’indimenticato, mitico 1992-93”
Un attacco assai più demolitore ai nostri governanti (un nostri allargato all’intero Occidente!) viene dall’editoriale, non insolitamente furioso, di Ernesto Galli della Loggia, su “La debolezza delle leadership”, dal titolo sonante, anzi scampanante: Governanti del nulla Ne riportiamo l’incipit, che poi è un lungo capoverso: “Nonostante gli sforzi di Merkel e Sarkozy per apparire due veri statisti, o l’impegno di Obama per apparire un presidente capace di tenere tutto sotto controllo, le opinioni pubbliche occidentali si rendono sempre più conto che in realtà, oggi, nessuno dei propri governanti tiene sotto controllo un bel nulla. E tanto meno riesce a immaginare una qualche via d’uscita da una crisi che ormai sembra avviarsi ad essere di sistema. Proprio nel momento peggiore della sua Storia postbellica l’Occidente, insomma, scopre di essere nelle mani di leader privi di temperamento, di coraggio e soprattutto di visione.”.Giudizio duro, dunque, ma anche ponderato, equanime, realistico? Non è questo il luogo per una dissezione anatomica tignosa, ma, a volo di uccello (speriamo, della pace!) diremmo che lo si può condividere all’80-90%. Una motivazione? Le differenze tra l’una e l’altra personalità non scavano solchi profondi.
Intanto, la tempesta continua a rombare già dai titoli. Eccone alcuni dal Corsera del 21. Manovra, i punti di Berlusconi  Occhiello: Unioncamere: 88 mila posti persi nel 2011. Allarme per le giovani famiglie indebitate (occhiello). Pensioni, prelievo, Iva: “Niente rigidità, decida il Parlamento”. Questo “catenaccio” veicola la voglia-necessità del premier di apparire liberale, democratico, istituzionale. E’ la sua solita tattica: quando non può ottenere il totale, il Berlù si accontenta del parziale: L’importante è “regnare”. Ecco un sommarietto dell’articolo: “Ipotesi Iva su di un punto e pressing su Bossi per le pensioni. Così il premier Silvio Berlusconi [ce n’è forse un altro?] intende cambiare il decreto. Palazzo Chigi avvisa: niente rigidità, decida il Parlamento. Intanto la crisi stringe sempre più le giovani famiglie: solo 3 su 10 risparmiano. E per il lavoro si annuncia una ripresa difficile. Unioncamere infatti lancia un nuovo allarme: nel 2011 previsti 88 mila posti in meno”. Alleluia!
Pasquale Licciardello

lunedì 15 agosto 2011

Rapito operatore Emergency


Ieri 14 agosto, alle ore 17.00 locali, un operatore di EMERGENCY e' stato prelevato a Nyala, capitale del sud Darfur, mentre si trovava in auto diretto verso l'aeroporto della città.
Francesco Azzara', 34 anni, è alla sua seconda missione a Nyala come logista del Centro pediatrico che EMERGENCY ha aperto in città nel luglio del 2010.
EMERGENCY  ha  immediatamente  attivato in Darfur e a Khartoum tutti i contatti a sua disposizione ed ha altresì informato il Ministero degli Affari Esteri italiano.
Un  team  di EMERGENCY sta seguendo gli sviluppi della situazione ed è in  costante  contatto  con la famiglia, le autorità sudanesi e quelle italiane.
 
EMERGENCY chiede la liberazione immediata di Francesco Azzarà ed auspica piena collaborazione di tutti coloro che possano aiutare ad arrivare a un esito positivo di questa vicenda.

giovedì 11 agosto 2011

Il trota e il cepu

Non solo gli asini al cepu ma anche le trote (che poi gli asini siano più intelligenti delle trote sembra appurato). Il trota, alias al secolo bossi junior, noto per i suoi trascorsi scolastici (sembra che in Italia sia l'unico che si sia fatto bocciare per due anni consecutivi all'esame di stato in una scuola privata), ha deciso di proseguire gli studi, in Economia e Commercio, magari con l'intenzione non tanto nascosta di sostituire l'ineffabile ministro tremonti al dicastero economico (tanto peggio di così....). Ma il bossi non ha tempo (voglia, intelligenza?) di studiare ed allora si rivolge al cepu. Detto fatto. Dal cepu arrivano a casa di bossi gli insegnanti, a domicilio e tutto gratis! Prima di lui solo tre "olgettine": Iris Berardi, Aris Espinosa e Ioana Visan avevano avuto un trattamento gratuito (ma queste avevano altri meriti). 

Pauper ubique jacet


"Il povero è a terra in qualsiasi luogo ": così Ovidio. La sentenza latina ne attrae un’altra, “connazionale”, e non meno stentorea: Quid non mortalia pectora cogis, auri sacra fames? Questo è Virgilio. Che tradotto liberamente suona: "Cosa non costringi gli uomini a fare, o esecranda fame dell’oro?" Iniziare così un articolo politico non è una gran trovata, ma qui non si propone un distillato di politica. Tanto meno di economia. O di etica pubblica. Magari una vaga sintesi delle tre specialità. Più corretto ancora sarebbe parlare di personalissimo sfogo di rabbia a stento repressa. O mal controllata.
         Tema-imput dell’occasione, il tanto atteso discorso del premier in Parlamento sul tema “crisi finanziaria”. Deludente, al punto da ispirare una sorprendente sorpresa in un navigato commentatore politico come Sergio Rizzo. Il quale, in un editoriale del Corsera  del 4 scorso (Le attese deluse) confessa fin dal titolo di avere sperato in una specie di miracolo: che il Barzellettiere impunito mettesse la testa a posto e (oh miracolo!) fosse diventato capace di onorare fatti ed evidenze, per brutte che fossero (e a maggior ragione essendo tali). Homo credulus, allora, l’ottimo Rizzo? Diciamo  scusabilmente speranzoso, in forza di circostanze eccezionali. Invece, il famoso messaggio alle Camere del premier millanta, ut semper, e l’onesto osservatore da “rizzo” diventa “riccio”, si chiude, cioè, secondo quel modulo metaforico. Lamenta, infatti, drammatico (e immaginoso): “Dunque la casa continua a bruciare senza che nessuno metta mano all’estintore. Dal discorso in Parlamento del presidente del Consiglio era lecito aspettarsi di più. La decisione di parlare solo dopo la chiusura dei mercati poteva far supporre perfino qualche clamorosa sorpresa. Invece niente. Neppure una timida ammissione, verso un Paese che arranca nel pantano della crisi bombardato da quelli che chiamano speculatori, di avere sbagliato qualcosa. Semmai il contrario: i guai sono del mondo intero, a cominciare dai più bravi (gli Usa). L’Italia è solida, le sue banche sono solide, i conti pubblici stanno meglio di quelli altrui, il nostro sistema pensionistico è invidiato da tutti. Dulcis in fundo il governo resterà al suo posto fino al 2013”. E scusate se è poco. Ma ora, en passant, diciamoci una piccola verità: un attore simile non suscita pure uno sgorgo di ilare ammirazione? Applausi, bis, eccetera. Il Paese (dicono i soloni di merito e quelli d’intrallazzo) è mezzo liquido e sempre più si scioglie, e lui, il prim’attore, impavido, ti spiaccica in faccia (quando ci vuole, anche la cacofonia suona giusta) la selenica pretesa che esso-lui è solido, solidissimo. Tutto qui il messaggio d’incoraggiamento al Mercato? Con culmine “in quel hic manebimus optime ? Che ha tutta l’aria di un improbabile conforto: niente paura, ci sono qua io, il mago delle soluzioni.difficili. Ghe pensi mi.
Niente maghi, con il presidente Napolitano, personalità forte ed onesta, capace di dare segnali chiari in gesti e sollecitazioni sobrie, rispettose dell’evidenza. Ma quanti hanno dato la risposta pratica, oltre che verbale, alla sua esortazione per un’azione di coesione nazionale all’altezza della crisi che ci azzanna? E che sembra avviata ad allargarsi e incrudelire, specialmente verso i Paesi deboli. Era soltanto una minaccia, ieri, oggi è già una realtà. Precisamente, una realtà in progress, che sta seminando panico e sconforto a varie latitudini, facendo invecchiare drasticamente i consigli di De Bortoli (editoriale del 3 scorso): “Il minimo che si possa attendere oggi è l’indicazione di un percorso concreto. L’ascolto delle richieste delle parti sociali. L’assunzione di alcuni impegni precisi che non si potranno disattendere. E se ciò accadesse, allora sarebbe opportuno che il premier ne traesse le doverose conclusioni dimettendosi”. Un consiglio surreale, naturalmente, quell’invito a dimissioni che Berlusconi non darebbe neanche sotto tortura. Né ci possono stupire le fantasie verbali del suo complice (e neosegretario del partito) Angelino Alfano, condannato a dargli sempre ragione. Lecito stupirsi, peraltro, di quella panacea che si tira in ballo ad ogni soffio di ipotesi cliniche per madama l’economia malata: le privatizzazioni: “privatizzare e liberalizzare con decisione”, suona De Bortoli. E subito dopo un altro consiglio, questo, sacrosanto, (e più vicino all’auspicato passe-partout, anche se difficile, fino all’irrealtà): “ridurre drasticamente il costo della burocrazia e della politica”. Come dire a politici e burocrati, insaziabili roditori: accogliete il sottinteso imput virgiliano e dimostrate di non essere succubi del mostro aureo. Da lustri e decenni si sventola il problema dell’eccessiva presenza e costo di burocrazia e politica scaglionate su vari livelli (due fatalità coriacee, burocrazia e politica, che ostentano, spocchiosamente irridenti, la validità perenne di quell’antico esclamativo). “L’adozione di misure eccezionali, anche se dovesse comportare sacrifici per imprese e famiglie”, che sarebbero accettati, scommette De Bortoli, “a fronte di una ripresa degli investimenti e di prospettive meno incerte sul versante della crescita”. E qui spunta il solito motivetto: “interventi più incisivi sul mercato del lavoro e sul sistema previdenziale”, compensati dai solidi investimenti e occasioni di lavoro “per i giovani”. Insomma, sacrifici per chi vuole lavorare, ma profitti garantiti per le sante imprese: il ricattino è trasparente, e il motto ovidiano sugge l’ennesima conferma. Leggiamo la conclusione del’editoriale “E si ascoltino le parole del presidente Napolitano, unica fiaccola nel buio estivo della nostra politica”. Non si avvertite un certo stridore? Napolitano ha restituito allo Stato un bel gruzzolo di milioni rinunciando a certi regolati incrementi del suo stipendio: quanti politici e pezzi grossi hanno seguito il suo esempio? E se taluno concede rinunce, fa ridere Gian Antonio Stella, che ne sventola la ridicola esiguità (tipo 0,3 e vicinanze!).
         Comprensibile che il lugubre Marchionne monocolore (e ricattatore dalla minaccia facile) condivida siffatta aritmetica previsionale: non rifulge, forse, l’indiscutibile esempio americano? Meno denaro nel salario, più ore di fatica-sfruttamento e meno minuti di salutare riposo-pause e un lavoraccio si trova. A rinnovata gloria virgiliana di spudorati miliardari (e, certo, anche a lecita consolazione di piccoli e medi imprenditori non bulimici). Quanto più opportuno, tuttavia, denunciare lo scandalo degli stipendi-monstre chiamandolo col nome giusto: violenza patogena sugli indifesi alla fame (o giù di lì). Intanto la crisi cresce, i titoli dei grandi e piccoli media cartacei e telematici suonano a distesa un allarme dietro l’altro: Choc sulle Borse mondiali, Milano crolla: Ecco un titolo del Corsera (venerdì 5 agosto). Se aggiungiamo occhiello e catenaccio la finestra allargata allarga l’allarme: sul primo: “Indici in tilt: Wall Street a picco. Piazza affari cede il 5,16%. Nuovo record per lo spread Btp-Bund. Trichet: l’Italia acceleri il risanamento”. Sul secondo, ahimè, solo parole in vetrina, di promesse e programmi dal futuro incerto o pencolante, come tutti quelli del premier e della sua orchestra istituzionale. “Piano del governo in 8 punti entro settembre.”, eccetera. Nei servizi si leggono frasi da massimo allarme: “Una vera e propria bufera sui mercati mondiali, Wall Street in testa. Quella di ieri è stata una giornata nerissima, che ha colpito in modo particolare l’Italia”, “Sempre più alto lo spread con il bund decennale tedesco”. L’editoriale (di Daniele Manca, titolo Obbligo di reazione) non è meno denso di ovvio allarme: “Un’America intimorita da una possibile ricaduta in recessione. L’Europa che ha risposto balbettando alla crisi greca, e ammettendo che anche un Paese dell’area della moneta unica poteva avvicinarsi al fallimento. Una Banca centrale europea che solo ieri ha deciso di attivare misure anticrisi per aiutare i Paesi in difficoltà comprando i loro titoli di Stato”.Un risveglio, non solo tardivo, ma anche incapace di evitare la divisione interna all’Eurogruppo, “con il voto contrario della Bundesbank tedesca. Vale a dire del Paese al quale sono legate le sorti dell’euro”. Pessimo esempio, che ha ingigantito “il malessere sotterraneo che da qualche settimana percorre le Borse mondiali” trasformandolo nel “crollo” di cui stiamo consumando gli amari e acerbi frutti. Situazione, dunque, che impone misure drastiche, pena la condanna “a una marginalità difficile se non impossibile da recuperare in futuro". Un indice severo della gravità della nostra posizione è il già segnalato spread, il differenziale dei tassi di interesse tra i nostri Btp (alti) e i Bund tedeschi (bassi). Con l'aggravante che la Spagna di Zapatero è riuscita ad abbassarlo "dai 54 punti del primo luglio agli 11" del 4 agosto, mentre il nostro gode ottima (e pestifera) salute. Quanto alla reazione così poco solidale della solida (lei sì) Germania della Merker, si può anche capire la riluttanza ad aiutare i nostri imprevidenti governanti (dalla parola copiosa ma di fatti magra). Capire, non  applaudire: dove se ne va, così, il senso dell’unità europea?
Situazione fedelmente, quanto severamente, "recensita" dai mercati, questi mostri senz'anima e gonfi di auri sacra fames . L'auspicio del Manca è che uno scatto di resipiscenza attiva nei responsabili riesca a realizzare l'indispensabile: l'anticipo del pareggio di bilancio e l'ascolto dei "preziosi consigli forniti dalla Banca d'Italia", senza lasciar cadere gli stimoli del Presidente Napolitano. Altro che "il piano del governo in 8 punti entro settembre"! I mercati non sono pazienti samaritani, e le parti sociali a ragione pungolano: "misure subito, basta scappatoie". Né conforta, su questo terreno, il vecchio (e cinico) detto, “compagni a duolo, gran consolo”. Nel suo “confronto” (rubrica redazionale) “Noi e gli altri”, l’articolo di Alberto Alesina (Debito e tagli. Quello che l’America non dice) riassume in termini rudi la situazione: “Nel 2008 nel pieno della crisi finanziaria si diceva che ‘la politica avrebbe salvato il mondo’. Forse lo ha fatto ma sicuramente oggi la stessa ‘politica’ sta trascinando  Europa e Stati Uniti in un baratro. L’indecisione dei leader americani e europei ha trasformato una crisi fiscale partita in Grecia in una crisi sistemica. L’inadeguatezza della risposta politica in Italia ha fatto il resto per il nostro Paese. Sarà difficile convincere i mercati con annunci tardivi fatti da un leader screditato”. Questa stilettata di via Solferino al Cavaliere non è robetta di ordinaria routine, e misura meglio di lunghe analisi gli umori del Paese responsabile. Una paura che invoglia a saltare barriere di prudenza e fair play anche “in alto loco” mediatico. Perfino a rischio di gonfiare l’allarme. Dal canto suo Gian Antonio Stella sfrugulia (non insolitamente, ma qui forse con qualche punta di sarcasmo in più) i nostri non eccellenti politici (Ponti e vacanze. I record degli onorevoli): “Uffa la crisi planetaria! Travolti da un’ondata di proteste, letteracce, ironie, commenti, moccoli e invettive, i ‘furbetti del pellegrino’ hanno dovuto fare retromarcia: invece di cinque settimane e mezzo [sic] di vacanza, ne faranno ‘solo’ quattro e mezzo”. Poveracci!
         Il Corsera del 5 ospitava un'analisi di Massimo Gaggi (Quel panico mai scomparso), che comincia con questo lungo flash drammatico: "Il panico è tornato a dominare i mercati di tutto il mondo di fronte allo spettro di una devastante crisi di liquidità in Europa e la constatazione che l'America non ha più munizioni per reagire. Il film della giornata di ieri è pieno di storie di speculatori, operatori disorientati, reazioni irrazionali". Non meno in allarme rosso l'analisi del suo collega Marcello Messori, che denuncia "Il disinteresse per la crescita" e attacca senza sconti la compagine governativa: "Il governo ha manifestato attenzione alle proposte, in molti casi sensate, delle parti sociali, ma l'incontro di ieri non ha segnato quel salto di concretezza che la situazione del Paese imporrebbe. Un'azione che il presidente del Consiglio e il suo esecutivo appaiono incapaci di realizzare". Insomma, tutti gli interventi non fanno che sviluppare la presa d'atto della realtà pesante del mercato: "Una vera e propria bufera sui mercati mondiali, Wall Street in testa. Quella di ieri è stata una giornata nerissima, che ha colpito in modo particolare l'Italia".Incollato alla foto della situazione drammatica, rosseggia di fiamma viva l’immancabile giudizio critico sulla politica e l’azione scadente del governo. Con il pimento, tra l’altro, delle Scintille pubbliche tra il premier e il superministro, affidate ai tasti estrosi di Sergio Rizzo, capace, per l’occasione, di sfoggiare un divertito sadismo: “Mai si era visto Silvio Berlusconi correggere pubblicamente e perentoriamente il ‘genio’ (parole sue) Giulio Tremonti, e mai il ministro dell’Economia correggere altrettanto pubblicamente il presidente del Consiglio”. Da parte sua il Berlù non si lascia scappare l’ennesima occasione di insultare la magistratura: “Show di Berlusconi: anche le toghe frenano la crescita”. E naturalmente, respinge ogni accusa.
         Il 6 agosto sembra portare qualche sconto al pessimismo d’obbligo. Titoli del Corsera: Manovra anticipata, riapre il Parlamento. Berlusconi: pareggio di bilancio già nel 2013”. “Il governo annuncia la riforma del lavoro” E altro modesto risveglio. Che, tuttavia, non alleggerisce la situazione generale, interna ed estera: “Borse ancora giù. Nuovo record negativo dei titoli di Stato, superata la Spagna”. Mentre la Bce preme sull’Italia, il premier parla ai leader europei “per uscire dall’angolo. Da Van Rompuy a Cameron, Merkel e Sarcozy. In questo modo la crisi è internazionalizzata. ‘Nulla è da addebitare alla responsabilità di uno dei governi” (Andrea Garibaldi,I timori dell’isolamento in Europa). Una mossa di evidente rilievo dimostrativo è la lettera a quattro mani inviata a Palazzo Chigi dal presidente della Bce, Jean-Claude Trichet e dal governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi: “suggeriscono al governo le mosse da compiere per bloccare l’attacco dei mercati”. Un vibrato editoriale di Sergio Romano (Bene ma non  basta ) usa il bisturi della franchezza per misurare la gravità della situazione generale, giudicare le misure decise dal nostro Esecutivo, calibrare sull’oculato interesse immediato il comportamento dei mercati, e soprattutto non risparmia accuse precise alla nostra classe dirigente e politica. Eccone un passo: “Se la classe politica, tanto per fare qualche esempio, avesse decurtato sensibilmente i propri benefici, rinunciato all’indecorosa pretesa dei rimborsi elettorali, e messo subito le aziende municipalizzate di fronte all’obbligo morale di tagliare le prebende dei propri consiglieri, i sacrifici chiesti alla grande massa degli italiani sarebbero stati più facilmente accettati; e i mercati avrebbero capito già da qualche settimana che il rischio delle loro scommesse sarebbe stato maggiore”. Ma l’evidente inceppamento di ogni tentativo di scaricare da queste vestali della politica mammonica fosse pure soltanto una significativa porzione degli indegni privilegi, poggia sopra solidarietà rocciose. Scrive Romano: “Conosciamo la resistenza delle lobby, delle corporazioni, delle baronie, delle clientele, tutte pronte a dare battaglia per non perdere nulla di ciò che hanno indebitamente conquistato”. Ma tanta conoscenza non basta a serrare in petto una conclusione non del tutto pessimistica, anzi “spiragliata” verso un chissà legato a un filino di oscillante speranza: “Sappiamo che non vi è partito insensibile ai propri immediati interessi elettorali. E sappiamo infine che molte riforme, necessarie al nostro futuro, non sarebbero mai state fatte se non ci fossero state imposte dall’Europa. Ebbene, in questo Paese del particulare, delle rendite di posizione e dei diritti intoccabili, la crisi può diventare un’occasione straordinaria. Se affrontata con una lucida strategia politica e sostenuta da un solido accordo con le parti sociali, può servire a rimuovere i blocchi stradali che ostruiscono il cammino del merito e della concorrenza, può rendere il Paese più attraente per gli investimenti stranieri, può dare all’Italia la scossa di cui ha bisogno per ricominciare a crescere”. Lo sperare, se non alieno dalla lucidità diagnostica, non è peccato: facendo forza al nostro stagionato pessimismo, ne raccogliamo un filino.
         Domenica 7 agosto. Sul Corsera sfolgora, non allegramente, questo titolone: Bocciatura storica per l’America. “L’agenzia di rating: Paese meno affidabile a causa delle divisioni politiche. La Casa Bianca: errori di calcolo” “Declassato il debito. Schiaffo da Pechino: basta, trovate soluzioni”. L’editoriale è di Mario Monti, e ha un titolo storicheggiante, IL podestà straniero, evocazione del personaggio che veniva chiamato a dirimere questioni locali in epoca comunale e vicinanze: “Mercati, Europa e governo italiano”. L’ispirazione scampana all’incipit: “I mercati, l’Europa. Quanti strali sono stati scagliati contro i mercati e contro l’Europa da membri del governo e della classe politica italiana! ‘Europeista’è un aggettivo usato sempre meno. ‘Mercatista’, brillante neologismo, ha una connotazione spregiativa. Eppure dobbiamo ai mercati, con tutti i loro eccessi distorsivi, e soprattutto all’Europa, con tutte le sue debolezze, se il governo ha finalmente aperto gli occhi e deciso almeno alcune delle misure necessarie”. E’ dovuto alla doppia pressione dei due fattori citati il non fulmineo risveglio dell’orchestra stonata governativa. Da questa ovvia constatazione alla tentazione di cedere a quel di più di ottimismo che nessuna scienza previsionale può concedere il passo non è lungo. E Monti lo fa, pronto a cogliere ondulazioni nei due fenomeni complessi, Europa  e Mercato, lo è elettivamente di più a lodare i due complicati robot di pur vibratile carne vorace, perdonandone le non sempre prevedibili insorgenze egocentriche (un ego personale e plurale), così sovente difficile da domare e far rientrare negli alvei corretti. Nessuno scandalo, ciascuno dei mortali (per dirla in lingua classica) ha le sue preferenze e le proprie debolezze. E l’esclamazione virgiliana brilla della sua eterna fiaccola di verace sospiro.
         Al momento di licenziare questo scrittarello (8. 8. Ore 20) la situazione Usa.-Europa oscilla tra segnali negativi e positivi, ma i primi sommergono i secondi: S&P affonda Wall Street. Le Borse europee tornano al crollo verticale, Milano perde un altro 5,26%, e così via  (Cina ringhiante compresa). Riusciranno i “nostri eroi” a salvarci? Forse. Ma prima bisogna trovarli. Intanto, mentre la Somalia agonizza di fame e nel pianeta la mortalità infantile sfida vittoriosamente l’opera e l’anima dei filantropi sul campo, il motto ovidiano sta godendo l’ennesima conferma. Per esempio, gli ospedali non fanno più il Day hospital.
Pasquale  Licciardello

venerdì 5 agosto 2011

Quei comunisti di "Le monde"!

Le problème italien ? Silvio Berlusconi.
Silvio Berlusconi a si souvent été donné pour mort sur la scène politique italienne, il a si souvent ressuscité depuis bientôt une vingtaine d'années, opposant son indestructible assurance et son inépuisable cynisme à toutes les avanies, qu'il serait imprudent de prédire la fin prématurée de son "règne".

Il reste que le "Cavaliere" doit désormais affronter une tempête autrement plus redoutable que les précédentes. Il y a six mois encore, il se targuait d'avoir su - mieux que d'autres - tenir son pays à l'écart de la crise financière européenne. Au cours des dernières semaines, il a dû constater que ce n'était pas le cas.

Après l'Irlande, la Grèce, le Portugal et l'Espagne, l'Italie est devenue le maillon faible de l'Europe et l'une des principales sources de nervosité - et de spéculation - des marchés financiers. En l'espace d'une quinzaine de jours, le coût des emprunts à dix ans de l'Etat italien a bondi à plus de 6 % (soit plus du double des taux dont bénéficie l'Allemagne) ; la Bourse de Milan a chuté à son niveau le plus bas depuis plus de deux ans.

Mercredi 3 août, après des semaines de silence, M. Berlusconi s'est efforcé de calmer cette inquiétude. Devant les deux chambres du Parlement, il a une nouvelle fois martelé que les "fondamentaux économiques" du pays sont solides. Ce n'est pas faux, à trois énormes détails près.

Tout d'abord, si son déficit bugétaire reste maîtrisé, l'Italie traîne une dette colossale de près de 2 000 milliards d'euros, soit 120 % de son produit inérieur brut. Ensuite, et cela hypothèque évidemment sa capacité à rembourser, l'économie italienne est dangereusement stagnante, avec 0,8 % de croissance prévu en 2011, et ses perspectives restent atones.

Enfin, et surtout, la défiance des marchés se nourrit des doutes bien compréhensibles sur l'autorité politique et la capacité à agir de Silvio Berlusconi, de son gouvernement et de sa majorité. Au point que, en Italie et en Europe, on considère désormais que le "problème italien", c'est le "Cavaliere" lui-même.

A bientôt 75 ans, il n'est pas seulement discrédité par ses ahurissantes frasques sexuelles qui lui valent un procès pour incitation de mineure à la prostitution. Il n'est pas seulement rattrappé par d'autres procès pour fraude et corruption, comme celui qui a condamné, le 9 juillet, son groupe Fininvest à une amende de 560 millions d'euros.

Il est aujourd'hui gravement affaibli par les cuisantes défaites électorales qu'il a enregistrées fin mai aux municipales et à la mi-juin lors du vote sur trois référendums législatifs. A la tête d'une majorité brinquebalante et d'un gouvernement divisé, M. Berlusconi ne paraît plus en mesure de répondre efficacement à la défiance des opérateurs financiers. En témoigne l'absence de toute proposition vigoureuse dans son discours, pourtant très attendu, du 3 août.

Le "Cavaliere" semble consacrer son énergie à tenir jusqu'à la fin de son mandat en 2013, sans se soucier du risque qu'il fait courir à l'Europe. Car il est probable que les marchés n'auront pas à son égard la patience des Italiens.

Article paru dans l'édition du 05.08.11

http://www.lemonde.fr/idees/article/2011/08/04/le-probleme-italien-silvio-berlusconi_1556043_3232.html

Le baruffe chiozzotte della politica

L’Inimitabile per eccellenza della politica nostrana, nonché premier coriaceo, dichiara che teme per la sua vita e quella dei figli perché l’ex amicissimo Gheddafi, il raìs dello storico baciamano (chiarimento per i ragazzi: è stato il Cavaliere a baciare la mano del “tiranno” libico) ha decretato e gridato vendetta tremenda vendetta a giusta (anzi soltanto perfida) ritorsione contro il tradimento dell’amico italiano, tante volte fastoso ospite nel Belpaese e poi,.con vile, e ingiustificato, voltafaccia, componente attiva nella “sporca guerra” della malconsigliata Nato contro un legittimo signore e saggio statista e il suo popolo. Le prove di tanta minaccia? Tutte da scoprire: per ora ci dobbiamo accontentare della parola del premier, cioè di un campione europeo di frottole a tutt’oggi insuperato nella pur lunghissima e frastagliata storia nazionale. Al massimo della fiducia consentita dal soggetto, possiamo soltanto immaginare una certa ansia, (più o meno alimentata da bocche interessate al brivido mediatico), scaturita dalla sua fellonia spinta, appunto, fino alla partecipazione attiva all’aggressione Nato.
         Tremonti, l’inattaccabile monumento vivente dell’onore italiano in fatto di ministri e ministeri, l’uomo delle competenze tranquille e delle severità inflessibili, nonché delle dotte citazioni (e dei favolosi guadagni) anche lui è finito nel tritacarne del pettegolezzo e delle scorrettezze. Lo prende di petto nientemeno che Sergio Romano, colonna del Corriere della sera, autore di limpidi elzeviri e titolare della corrispondenza con i lettori. Uomo di coerenza e decisione, Romano non si dice soddisfatto (placato, dirà in cuor suo Tremonti) dalla prima risposta del superministro, e lo incalza. Tremonti dice che ha cambiato alloggio (dalla caserma della Finanza alle comodità di un’ospitale dimora privata dell’amico Marco Milanese) perché nel primo si sentiva spiato. Spiato dalla Guardia di Finanza? Incalza Romano. Scherziamo? Precisi, il signor ministro, chiarisca, entri nei dettagli, il caso ha troppo peso per lasciarlo sospeso (a semplici cenni in veloce fuga). La Finanza che spia il suo capo e ministro è un bel rebus, degno di ogni approfondimento, si accomodi, o si scomodi, l’Eccellenza e dia numeri meno vaghi. e reticenti: per esempio, se il signor ministro era sicuro di questa irrituale attenzione spionistica ha fatto la sacrosanta denuncia alla magistratura? E così via. Il ministro ripete, aggiungendo un flebile mea culpa, assistito da istruzioni per il corretto uso: posso avere sbagliato (oppure, manzonianamente, “posso aver fallato”) commesso una leggerezza, “comunque nessun nero e nessuna irregolarità” . “Ho commesso illeciti? No. Errori? Sì”, compreso quello di non aver lasciato prima la casa:“L’avessi fatto, avrei evitato tante speculazioni” (così in una lettera al Corsera). E, ad abundantiam, aggiunge una spiegazione non precisamente signorile: perché avrei dovuto incantarmi alle sirene del pubblico denaro quando, di mio, sto più che bene? Non sanno, lor signori, che le mie dichiarazioni dei redditi sono milionarie ed erano miliardarie quando regnava la vetusta regina Lira? E ripiega sull’errore, la leggerezza. Si attendono ulteriori sviluppi. Che arrivano, puntuali come i tornado ai Tropici, mentre la talpa giudiziaria scava nuovi buchi e gallerie in ripresa di “colloqui” col ministro testimone. La cui posizione, di conseguenza, si rannuvola sempre più, tra menzognucce, reticenze, mezze verità sulla famigerata casa, il cui affitto il ministro pagava solo in parte. Stralciamo un passo dalla confessione del Di Lerna ai giudici: “Lorenzo Cola (consulente di Finmeccanica che lo aveva coinvolto nel giro degli appalti, anche lui ancora agli arresti domiciliari) mi disse che Proietti era il soggetto che Milanese gli aveva descritto come ‘il tipo che mi dà 10.000 euro al mese per pagare l’affitto a Tremonti’”. A sua volta Milanese ha dichiarato, a gioia di un regolare verbale, che “Tremonti gli dava 1000 euro a settimana, così raggiungendo metà dell’affitto fissato in 8.000 euro mensili”. E la storia si complica: Proietti si vanta di essere stato lui “a far avere a Milanese un appartamento del Pio Sodalizio dei Piceni”, al quale costui aggiunse “quello di via Campo Marzio”, la cui ristrutturazione, valutata, in prima stima 200.000 euro, costò, in realtà, 50.000 euro. E siccome il birbante Proietti era riuscito ad ottenere che la prima enfatica somma fosse scalata “dal canone”, il risultato fu che la ristrutturazione la fece “a titolo gratuito”. Deduzione logica della Sarzanini: “Tenendo conto che il canone annuale è di complessivi 96 mila euro, se Proietti dice il vero, per due anni quell’appartamento non è costato a Milanese e a Tremonti neanche un centesimo”. Ancora rogne e fango, dunque. E passiamo al “ricatto” che Cola avrebbe fatto a Tremonti, secondo il loquace Di Lernia: “Gli disse che se non confermava Guarguaglini alla presidenza di Finmeccanica avrebbe svelato le sue porcate e quelle del suo consigliere”. E scusate se è poco. Lo è tanto…poco, che amici e consiglieri (anche non gallonati) scendono in campo a soffiare (o gridare) consigli e suggerimenti, mentre la magistratura s’impiccia delle dichiarazioni tremontine sul presunto spionaggio (addirittura con pedinamenti!). Intanto il meteo politico va a burrasca sopra il capo del ministro, e il governo non gode di migliore salute: tra spine della speculazione a bersaglio Italia, malumori e baruffe più o meno chiozzotte all’interno della compagine (stavo per distrarmi dai tasti che volevano scrivere compagnia!), sospetti e ardori spenti tra Pdl e Lega, e altro malocchio che tacere è bello, la precarietà sembra la cifra più adatta a leggere il futuro del governo. Con buona pace del premier che annuncia un messaggio (o un più modesto discorso di circostanza) alle Camere.
Tornando al sempre caldo caso Tremonti, l’amico Berlusconi, come la prende questa disavventura del suo ministro e già amico? Pubblicamente esibisce parca e tacita (troppo tacita) solidarietà, in cuor suo è probabile che ne goda: è stato così rompiscatole, l’amico, con la sua serietà-severità! Fino ad accendere baruffe con lui, invano eminente numero uno della compagine esecutiva. Forse il ministro conserva un po’del moralismo di quand’era deputato del Patto Segni – avrà pensato don Silvio. Certo è che pare difficile dissentire dalla “raffigurazione” umoristica di Giannelli. Vignetta di ieri, primo agosto: un Berlusconi al ristorante, un Alfano in cravattino (entrambi a mezzo busto) che domanda (nel titolo) “Il signore desidera?”, e il Berlù che ordina un “Tremonti alla milanese, impanato e fritto”, due Tremonti a figura intera su due piani verticali, il primo sopra un letto, il secondo dentro un padellone sul fuoco, avvolti nella classica nube del desiderio figurato.
A proposito di consigli (non richiesti), il moralista Giuliano Elefantino Ferrara, in un’intervista al Corriere, si dice sorpreso del comportamento di Tremonti (evidente l’idealizzazione precedente la sorpresa!), e, generoso com’è, distribuisce pareri e consigli: ha peccato di “ingenuità e sciatteria, ora è necessario che si scusi”, anzi che “dia le dimissioni”, ma altrettanto conveniente è che “Silvio le rifiuti!”. Infatti, “questa vicenda non fa comodo a Berlusconi. La corrosione del ministro dell’Economia non conviene al governo”. Ipse dizit. Ma intanto il caso è tutt’altro che chiuso o avviato a chiusura. Il citato Corsera ostenta un Tremonti grande tra due titoloni poco idilliaci: Tremonti e il caso Capaldo, io completamente estraneo (estraneità non ancora dimostrata), il secondo: “Milanese si accordò per gonfiare i lavori fino a 400 mila euro”. I pm. Patto in cambio di appalti. Baruffe più fragorose coinvolgono altri nomi e personaggi raccolti attorno alle vicende di mazze e mazzette sugli appalti Enav e Finmeccanica. Il sommario del Corsera citato condensa l’ampio servizio di Fiorenza Sarzanini (pg. 3) in queste righe gonfie di palpiti: Nei verbali accuse a cinque politici (titolo). “Tommaso Di Lernia, il costruttore agli arresti per aver pagato la barca a Milanese in cambio di appalti, accusa altri tre politici di centrodestra e uno dell’Udc di aver preso tangenti per l’assegnazione delle commesse di Enav e Selex. Uno di loro è Aldo Brancher. Gli altri nomi sono ancora secretati. Di Lernia parla anche del ministro dei Trasporti Altero Matteoli come ‘politico di riferimento per le aziende che operano a Venezia’”. Ulteriori espansioni dei casi aperti rompono gli ultimi freni e le baruffe inveleniscono ben al di là delle goldoniane chiozzotte, liberando malumori e risentimenti che sciolgono lingue svelte e perfino biforcute: un vero gioco al massacro delle reputazioni meno sospettabili. Ne piovono ancora per Tremonti. Un titolo del Corsera (2 agosto) recita: Critiche e nuove difficoltà. L’isolamento del super ministro: Sopra il titolo, un occhiello-allarme: “Fronti aperti” [in rosso] “Il cavaliere non esclude la possibilità di assumere l’interim dell’Economia”
         Dopo, e dietro, le piogge a grandine sulle teste della florida Destra, troppo inclini al gusto del denaro facile e al disprezzo delle noiose regole, ecco un rovescio anche sopra una testa di sinistra, sopra un Penati di lunga e (alla pacifica apparenza) limpida carriera, che pesa sul groppone del “commilitone” e segretario Bersani. Tangenti, regalini, concessioni e licenze per lavori pubblici ben compensate in varietà di doni e finanziamenti al Partito un tempo comunista, oggi, di gradino in gradino, disceso al semplificato Partito democratico (en passant, nomen banale e di cattivo gusto: imita lo Straniero e offende gli altri partiti: che, non siamo democratici noi?) con trucchi, “triangolazioni” e finzioni varie. E qui si scatena un coriaceo moralista di fresco conio, e ispirazione, che non la perdona neanche ai santi, non accoglie attenuanti e chiarimenti, va giù a testa dritta e corna di toro, livellando al peggio ogni trasgressione, anche minima e di problematica conferma documentale. Specialmente quella dei suoi ex compagni: stiamo schizzando il profilo legnoso di Antonio Polito, un Savonarola inflessibile. Che, come tale, non si dichiara soddisfatto da nessuna ammissione e chiarificazione di Pier Luigi Bersani, da nessuna -per dettagliata che sia-, spiegazione e correttezza comportamentale. Un test di cotanta vocazione può essere il suo editoriale sul Corsera del 27 luglio, tema “Il Pd e la questione morale”. Titolo: Quel che Bersani non ha scritto. Scritto, dove? In una lettera sul Corsera, in cui il segretario Pd enuncia a chiare lettere che la presunta “diversità genetica” del Pd, ed ex Pci  “non esiste più”, e viene sostituita da una auspicata “diversità politica” affidata a regole rigorose “contro la tentazione di rubare” (che servirebbe per tutti i politici, a prescindere dalla diversità di militanza). A cominciare da una legge sulla “responsabilità oggettiva: chi sgarra perde i soldi pubblici” Per un lettore non prevenuto contro questi peccatori si accontenterebbe di questa pacata essenzialità, ma non Polito. Che, tignoso, attacca: “Detto questo, Bersani si ferma ben al di qua di ciò che servirebbe per restituire al Pd l’onore politico compromesso dai casi Penati, Pronzato e Tedesco. Nella sua lettera manca infatti ogni accenno autocritico”. Ma una lettera non può dare fondo all’intero universo comunicativo. E “accenno autocritico” può benissimo “presenziare” restando implicito e sottinteso. Quanto ai suggerimenti di Polito sull’esclusione dei politici da cariche aziendali in enti pubblici, be’, se ne può’convenire, ma perché avrebbe dovuto occuparsene Bersani in una lettera circoscritta a temi ben delimitati? Quanto alla domanda retorica seguente, niente da obiettare: “E non sono forse migliaia gli enti e le aziende pubbliche i cui cda esistono al solo scopo di assicurare poltrone e affari ai partiti?” Niente, salvo sottolineare in negativo l’enfasi di quel migliaia e di quel “solo scopo”. Articolo di spalla sulla “questione morale” (Corsera del 29 luglio), clamante fin dal titolo perentorio, Quel che non torna nella difesa di Bersani. Non tornerebbe la sua presentazione, da ministro, dell’imprenditore Gavio al compagno Penati, nel 2004 presidente della provincia di Milano. Striderebbe, a suo pignolesco dire, questa autodifesa: “Il ministro delle attività produttive conosce tutti i principali imprenditori italiani. Li conosce, non li sceglie”. Manco avesse consumato un omicidio! Era obbligato a prevedere la dubbia correttezza del Penati? Bé, non ha imparato ancora a essere indovino.
         Pasquale Licciardello