«Anticipate i vostri impegni, non lanciatevi in avventure sconsiderate e godetevi il fine settimana»: tra le ultime pagine dei giornali, o in tv, una serie di imperativi, intercalati da divieti e consigli, scandisce il nostro tempo. Eppure l’oroscopo, sebbene così presente nella comune informazione, non ha alcun fondamento scientifico. Di scientifico ha soltanto molte pretese. Pretende di poter prevedere gli eventi della vita di un individuo e di ricavarne i tratti della personalità osservando il cielo e la posizione degli astri al momento della sua nascita.
Non importa che poi, passato il giorno o l’anno predetto, le previsioni vengano puntualmente smentite: gli astrologi continueranno a sostenere la scientificità e la correttezza dei loro metodi. Ma dove la smentita si fa eclatante è nelle predizioni che non interessano più un individuo qualunque ma colpiscono personaggi noti, un’intera nazione, se non addirittura i destini del mondo. A dire il vero, se non ci fosse il paziente lavoro del Cicap (Comitato italiano per il controllo sulle affermazioni del paranormale), molti clamorosi abbagli potrebbero passare sotto completo silenzio. [...]
L’insuccesso delle predizioni è però solo l’aspetto più immediato ed evidente della non scientificità dell’astrologia. In genere, infatti, accade esattamente l’opposto: le previsioni sono talmente vaghe che è difficile che non si riesca in qualche modo a rabberciare un’ancora più vaga conferma. La maggior parte di esse è pensata e costruita in modo tale da sottrarsi a qualsiasi confutazione. Un oroscopo elaborato a proposito dei mondiali ’98 è paradigmatico: «L’Italia», sentenziava l’astrologo Branko a «Unomattina», «riserverà delle sorprese». Una frase così ambigua e imprecisa non può che essere al contempo – e a seconda dei casi – confermata e invalidata. In questo senso, si può citare anche l’esempio classico della famosa sentenza dell’oracolo riferita dalla Cronaca di fra Alberico (XIII secolo): «ibis redibis non morieris in bello», dove basta spostare una virgola per ottenere una predizione comunque esatta («andrai, ritornerai, non morirai in guerra» e «andrai, non ritornerai, morirai in guerra»).
Sulla scia di Popper direi, dunque, che l’astrologia essendo infalsificabile non può essere annoverata tra le scienze. Ma questo è solo uno dei motivi che inducono a negare alla divinazione degli astri un qualsiasi appiglio o contenuto scientifico. È infatti la stessa scienza a smontare con le sue conclusioni, basate sulle «sensate esperienze e certe dimostrazioni», il perno attorno cui ruota l’astrologia, e cioè la rete di influssi che legano gli uomini alle stelle.
Oggi conosciamo le distanze che separano la Terra dalle stelle dello Zodiaco e siamo anche in grado di misurare la quantità di radiazione che da esse ci arriva. Sulla base di questi dati è semplice dimostrare che gli astri non possono avere alcun effetto sugli esseri umani. Le distanze, infatti, sono talmente grandi – dell’ordine di molte decine di migliaia di miliardi di chilometri anche per le stelle più vicine – che gli effetti fisici di fenomeni quali la gravitazione e la radiazione sono, rispetto alla Terra, del tutto trascurabili. Gli unici corpi celesti che influiscono realmente sul nostro pianeta sono il Sole e la Luna, molto meno distanti da noi che non le costellazioni dello Zodiaco. Penso alla radiazione solare che permette la vita sulla Terra o, ancora, alla forza gravitazionale della Luna che produce il fenomeno delle maree.
L’astrologia poteva avere una giustificazione secoli fa quando non si sapeva assolutamente nulla del cielo, e, delle stelle, si ignorava cosa fossero e a che distanza si trovassero. Era, allora, lecito pensare che tutti gli astri, senza distinzione, potessero avere una qualche influenza sulla Terra, come accade nel caso del Sole e della Luna. Stelle, pianeti, Sole e Luna, non erano soltanto indispensabili, per creare un calendario e per orientarsi, ma erano anche temuti: un’eclisse, una cometa facevano spavento dato che non si capiva con precisione né la loro natura, né la loro causa.
Oggi si sa che le stelle sono fatte degli stessi elementi presenti sul nostro pianeta, è possibile misurarne la temperatura e la densità, se ne conosce l’evoluzione e la trasformazione nel tempo e si è in grado di comprendere che tipo di reazioni nucleari avvengano al loro interno. Si tratta di conoscenze relativamente tarde: le prime misurazioni delle distanze stellari risalgono all’inizio dell’Ottocento. In seguito, nel corso dello stesso secolo, si sono trovati metodi per determinare la temperatura e alcune caratteristiche fisiche delle stelle. Al principio del Novecento si è sviluppata la fisica dei gas che ha permesso di interpretare la radiazione emessa dalle stelle, di comprenderne la struttura e la composizione chimica, di determinare meglio le distanze o di precisare valori quali la temperatura e la densità. Come è evidente, è solo nel corso degli ultimi due secoli che sono state acquisite quelle conoscenze atte a rendere totalmente insensate le pretese dell’astrologia. Il che non implica che prima di allora astronomia e astrologia fossero tutt’uno e che tra loro non esistesse alcuna distinzione. Solo nell’antichità le parole astronomia e astrologia erano intercambiabili. Nate dalla comune pratica dell’osservazione del cielo, si sono in seguito separate: gli astronomi continuavano a guardare in alto per capire i meccanismi e le ragioni dei moti delle stelle o perché i pianeti si spostassero in maniera più complessa sulla volta celeste; gli astrologi, invece, persistevano a inseguire i segni del futuro e a rintracciare in ciò che vedevano i mille indizi degli influssi celesti.
Questo processo di separazione, riassunto qui in poche righe, è in realtà molto complesso. Inizia ben prima della rivoluzione scientifica, sebbene ancora nel XVI secolo la distinzione non fosse così netta come oggi e si presentassero casi in cui le due diverse attività erano svolte dalla medesima persona. È noto, ad esempio, che Keplero, accolto alla corte di Praga, elaborasse oroscopi e predizioni per Rodolfo II. Quanto e se poi ci credesse davvero, non lo sappiamo. Probabilmente lo faceva per soldi o più semplicemente per compiacere il suo imperatore. D’altra parte l’arte divinatoria è una pratica antichissima, che non si limitava all’osservazione degli astri ma esaminava anche il volo degli uccelli e le viscere degli animali. Questo però non ha impedito che anche in passato siano esistiti degli scettici al riguardo. Un passo del De natura deorum di Cicerone, per esempio, esprime in estrema sintesi l’inconsistenza della divinazione, affermando che gli aruspici tra loro non possono che ridere delle loro stesse pratiche.
Ciò che più sorprende è che la consapevolezza della fallibilità delle previsioni astrologiche o magiche non si sia ancora radicata del tutto, nonostante la nostra sia una società tecnologica e a un discreto livello di istruzione. Anzi, secondo alcune statistiche l’astrologia è il culto religioso più diffuso sul nostro pianeta.
Pensare che quando i pianeti sono in una data costellazione possano avere un certo effetto piuttosto che un altro non ha alcun senso, dal momento che le stesse costellazioni sono qualcosa di completamente artificiale. Normalmente invece delle stelle vediamo dei puntini luminosi che tentiamo, poi, di collegare con dei segmenti. Gli allineamenti così tracciati sembrano disegnare delle figure di animali che corrispondono a quegli insiemi di stelle chiamati appunto costellazioni (con l’espressione zodiakòs i greci intendevano letteralmente «circolo degli animali»). In realtà, spesso, gli astri collegati da questo intreccio di linee sono a distanze enormi l’uno dall’altro, anche se dalla nostra visuale li vediamo proiettati sulla volta celeste abbastanza vicini e tutti sullo stesso piano.
Le costellazioni non solo sono immaginarie e senza alcun significato fisico, ma hanno anche perduto la corrispondenza che un tempo avevano con i segni zodiacali. Attualmente, per esempio, nell’equinozio di primavera il Sole non è più nel segno dell’Ariete, ma si trova in quello che lo precede e cioè nella costellazione dei Pesci. Lo sfasamento è un effetto dovuto alla precessione degli equinozi, fenomeno connesso al moto della Terra, per cui vediamo spostarsi le stelle lungo l’eclittica. In duemila anni e più – lo Zodiaco risale all’incirca al VI sec. a.C. – l’effetto di precessione si fa sentire.
Oltre alla discordanza tra i segni e le costellazioni e al di là dell’inconsistenza delle immagini stellari, vi è la questione del loro numero effettivo. Le costellazioni dello Zodiaco non sono affatto dodici, come presume l’astrologia: sono tredici, considerando la costellazione dell’Ofiuco, e forse quattordici, dato che anche la costellazione della Balena rientra in parte nella fascia zodiacale. Sarebbe inutile, comunque, continuare a parlare di numeri e corrispondenze di qualcosa che non è altro che un mero riferimento per l’osservazione del cielo.
L’illusorietà delle immagini che noi vediamo dalla nostra prospettiva offre il destro per mostrare un’ulteriore differenza – di vedute, qui è proprio il caso di dirlo – tra astronomia e astrologia. È come se gli astrologi rimanessero attaccati alla propria visuale terrestre senza romperla o metterla in discussione: tutto l’opposto di ciò che avviene nella scienza. Quando si pensa che un dato moto delle stelle o dei pianeti possa influire sulla nostra vita e sul nostro carattere, si asseconda in un certo senso – per usare un concetto mutuato dalla psicologia evolutiva – la naturale tendenza all’egocentrismo che porta a credere che tutto ciò che esiste, la natura o il cosmo, esista per noi. La scienza, al contrario, spesso procede andando contro ciò che per noi è più immediato e naturale, mettendo in discussione ciò che in prima istanza suggerisce il senso comune. La stessa ipotesi geocentrica, che come sappiamo, anteriormente alla rivoluzione scientifica, era la più accreditata, era dettata direttamente dai nostri sensi: sono loro, infatti, a farci credere che siamo al centro dell’universo e che siano le stelle e il Sole a girare attorno a noi. Quando guardiamo gli astri abbiamo la sensazione che non sia la Terra a muoversi ma che sia il cielo a spostarsi da est a ovest. Sulla percezione immediata si sovrapponeva, poi, la ferma convinzione che l’uomo occupasse un posto centrale nell’universo e che il mondo, essendo stato creato da Dio per l’uomo, non poteva che essere al centro.
Ci sono voluti secoli per capire che in realtà era la Terra che ruotava da ovest a est. Non è stato facile riuscire a ricostruire dalle osservazioni quelli che in realtà sono i veri moti della Terra e dei pianeti. Occorreva non solo capovolgere la visuale più immediata e naturale, ma anche rivedere e sottoporre a critica pregiudizi e teorie preconcette. Prendiamo il caso dell’idea di perfezione. La convinzione che solo il cerchio fosse una figura perfetta era talmente radicata che si pensava che ogni cosa celeste, comprese quindi le orbite dei pianeti, dovessero essere circolari. Fu così che Copernico, quando intuì le giuste posizioni del sistema solare, mantenendo l’idea delle circolarità delle orbite, non poté non trovare delle discrepanze tra osservazioni e teoria. Piuttosto che ammettere che le orbite non fossero circolari, preferì ricorrere ancora una volta, come era stato fatto in passato, a circoli ed epicicli, complicando – per salvare la teoria della circolarità delle orbite – quello che era un modello semplice. Soltanto Keplero, utilizzando le osservazioni di Tycho Brahe, riuscì a dimostrare definitivamente che le orbite non sono circolari ma leggermente ellittiche.
Con Keplero e Galileo comincia ad attuarsi il vero metodo scientifico moderno, basato sull’osservazione e sull’esperimento. Prima, generalmente, si pretendeva di adattare l’osservazione alla teoria, facendo spesso valere sulla prima l’autorità della seconda. Il nuovo metodo teorico-sperimentale, e le sue scoperte, smantellarono un edificio vecchio di secoli, basato sulla religione e sul senso comune (di allora). E d’altronde la maniera galileiana e poi newtoniana di fare scienza era talmente superiore alla precedente per razionalità e risultati che era impossibile impedire il crollo della vecchia struttura, astrologia compresa. Del resto, quale astrologo avrebbe saputo anticipare, come fece Halley, il ritorno della cometa che porta il suo nome?
Di fronte a questa vera e propria rivoluzione, la figura dell’astrologo fa venire in mente l’immagine di Simplicio descritta da Galileo nel suo Dialogo sopra i massimi sistemi. L’astrologo oggi sembra un po’ ricordare questa figura caricaturale dell’aristotelico, specie quando alle varie obiezioni che possono essergli mosse risponde semplicemente con un «è così». Di fronte a delle tesi che si presentano come vere ma che non sono, come direbbe sempre Galileo, «né dimostrate né dimostrabili», non ci può essere nessuna forma di discussione razionale. Escludere il dialogo significa immediatamente porsi al di fuori della scienza.
La scienza, ovviamente, non nega all’astrologia l’esistenza di interazioni tra i vari corpi dell’universo. La gravitazione, le radiazioni corpuscolari ed elettromagnetiche provenienti dalle stelle esistono, siano rilevabili o no. Ma questi corpi sono talmente distanti da esercitare un’influenza minima sugli esseri umani: la rivista che state leggendo esercita su di voi un’influenza maggiore delle posizioni del Sole, della Luna e dei vari pianeti; e il medico che assiste ad un parto esercita sul neonato un’attrazione gravitazionale superiore al pianeta Marte, e una forza di marea migliaia di miliardi di volte più intensa. Eppure – penso che qui addirittura gli astrologi saranno d’accordo – un dottore, nonostante sia più vicino al bambino, possiede una massa inferiore a quella di un pianeta.
Gli astrologi sostengono inoltre di elaborare gli oroscopi con metodi scientifici, utilizzando il computer per conoscere e calcolare la posizione degli astri. Innanzitutto questi maghi non sono d’accordo neanche sulla definizione stessa dell’astrologia, salvata la balzana etichetta di «scientifica». Poi, i metodi che usano non sono universali, e anche qualora usino uno stesso metodo i risultati cui giungono non sono concordi. Naturalmente si tratta di un problema di interpretazione, e allora l’astrologia, non contenta di essere una scienza e basta, diventa pura arte, e le discordanze dei risultati, inevitabile conseguenza delle differenze di temperamento, tipiche degli artisti. Pure ammettendo la correttezza delle modalità, e corretti i metodi per determinare le posizioni dei pianeti ad una data epoca, il risultato comunque non cambia. Ciò che si ottiene non ha nulla di scientifico, computer o non computer. Per dirla più brutalmente: se in un calcolatore immettiamo spazzatura, non può che restituirci spazzatura.
Capire, poi, perché dei prodotti così confezionati abbiano largo seguito, è un’altra questione. Per prima cosa vi è un diffusissimo analfabetismo scientifico e l’ignoranza delle comuni nozioni di astronomia è quasi la regola. I dati pubblicati dalla National science foundation degli Stati Uniti nel rapporto ’98 sono a dir poco incredibili: una notevole percentuale di persone non sa che il moto di rivoluzione della Terra intorno al Sole è pari a un anno, essendo addirittura ancora convinta che sia il Sole a girare attorno alla Terra. A questo analfabetismo si somma l’inadeguatezza culturale degli astrologi. In un testo «ufficiale», pedagogicamente intitolato L’alfabeto delle stelle, firmato nientepopodimeno che dal presidente del Centro italiano di astrologia, si passa da una balordaggine all’altra, confondendo la rotazione della Terra intorno al proprio asse col moto di rivoluzione intorno al Sole, le ore con i gradi, il tempo siderale col tempo solare vero, si definisce lo zenit come la perpendicolare al piano dell’eclittica, scambiando quindi l’eclittica con l’orizzonte. E potrei continuare. Ma se mettete gli astrologi di fronte ai loro sbagli, all’inconsistenza scientifica delle loro pretese, questi maghi del confusionismo si rifugiano nelle paludi della simbologia o, tirando in ballo Jung, in quelle della psicanalisi. D’altronde la misura dell’astrologia è proprio l’ambiguità, la non verificabilità dei risultati. Il che è contrario all’essenza del metodo scientifico, che crede nella possibilità che una teoria possa venir abbattuta per essere sostituita da una migliore, in un processo di miglioramento continuo. L’astrologia è, scientificamente, un disastro: attributo di derivazione astrologica, dal greco dys-astèr, «cattiva stella».
In secondo luogo alla base delle credenze astrologiche vi è il desiderio di essere guidati, di ricevere dall’alto un aiuto che esorcizzi le inquietudini del futuro: tutte esigenze a cui una volta rispondeva la religione. Oggi che questa è in ribasso, ci si affida alle varie superstizioni disponibili sul mercato, dalla lettura delle carte all’interpretazione degli astri. Rivolgersi alle stelle, ed avere con questo l’illusione di ricevere un aiuto per risolvere i propri problemi, è sintomo di una profonda debolezza e di una ricerca di dipendenza da qualcosa che sia altro da sé. Il filo che unisce debolezze e bisogni personali alle credenze astrologiche è stato analizzato già negli anni Cinquanta da Adorno nel corso di uno studio condotto su giornali americani. L’immagine del destinatario che emerge dalle analisi delle rubriche corrisponde a un individuo incapace di decidere da sé e profondamente convinto che altri – siano persone o entità – sappiano più di quanto non sappia lui stesso ciò che deve o non deve fare. L’inchiesta si sofferma ad esaminare tutti i trucchetti che permettono all’astrologo di ottenere qualcosa di simile alla «quadratura del cerchio». Il problema è dato dalla necessità di rispondere nello stesso tempo ad una mescolanza di bisogni, desideri e consapevolezze tra loro contrastanti. Il lettore richiede da un lato di essere rassicurato e sollevato da ogni responsabilità, dall’altro di essere esaltato in un’immagine forte che nasconda questa debolezza di fondo. Con un po’ di esagerazione e forse con un po’ di ironia Adorno ritrova nell’immagine del vicepresidente l’ideale punto di equilibrio tra queste esigenze contraddittorie: da una parte riscatta il desiderio di autonomia, dall’altra non perde di vista il bisogno concreto di dipendenza, dal momento che si tratta sempre di un vice. Proprio per questa sua capacità conciliativa, il ruolo di vicepresidente è la figura ideale in cui i lettori potrebbero identificarsi, assecondati in pieno dagli astrologi.
Un altro espediente consiste nel saper abilmente sfruttare le astuzie del linguaggio. L’obiettivo in questo caso potrebbe essere il far credere ai lettori di conoscere la loro vita e i loro problemi, senza addentrarsi però in nulla di specifico ed evitando così il rischio di un clamoroso insuccesso. Per far ciò si ricorre spesso a un’espressione che allude ad una sorta di «pseudo-individualità»: «incontrate quella particolare persona», «lasciatevi guidare da quella vostra particolare intuizione» o «ricordatevi di quella particolare serata». Tutti trascorrono delle serate, chi in un modo e chi in un altro, e a tutti capita, bene o male, di avere delle idee o delle persone accanto. Leggendo quei decreti qualcuno può pensare che «quel particolare» si riferisca proprio alla sua idea o ad una persona che lui conosce e che per un qualsiasi motivo considera particolare.
Insistendo sulla non scientificità dell’astrologia non voglio sostenere che si tratti di un’arte del tutto priva di qualsiasi tipo di legittimità. Se rimane nell’ambito della storia della cultura e delle religioni senza addentrarsi in previsioni fasulle e pseudoscientifiche, non ci può essere alcun fondato motivo per contrastarla. Anzi, al contrario, le antiche credenze astrologiche sono spesso necessarie per comprendere simboli e allegorie nella storia dell’arte e della letteratura. Questi versi ne sono un esempio eminente: «Temp’era dal principio del mattino, / e ’l sol montava ’n sú con quelle stelle/ ch’eran con lui quando l’amor divino / mosse di prima quelle cose belle» (Inferno, I, 37-40).
Le stelle a cui Dante si riferisce sono quelle della costellazione dell’Ariete. È nell’Ariete, infatti, che secondo una credenza di origine pagana, Dio avrebbe creato il cielo e la Terra. L’idea deriva dalla tradizione astrologica secondo cui il Sole, quando è nel segno dell’Ariete, trovandosi nella stagione della primavera e della rinascita, plasma benevolmente la materia, infondendole moto e vita.>>
Margherita Hack