domenica 23 gennaio 2011

Le biografie. daniela santa(n)che?

daniela santanchè nasce daniela guarniero il 7 aprile del 1971 in quel di Cuneo. Sempre il 7 aprile di qualche anno prima Dante si era perso nella "selva oscura" per iniziare il suo viaggio nell'aldilà. Sposa il chirurgo estetico Paolo Santanchè di cui assume il cognome che manterrà anche quando "si fa sciogliere" il matrimonio dalla Sacra Rota (fulgido esempio di femminismo cattolico). Inizia l'attività politica come collaboratrice personale di ignazio la russa (e scusate se è poco!). Ecco cosa pensa(va) di berlusconi:


 "Berlusconi è ossessionato da me. Tanto non gliela do..."


"Vorrei fare un appello a tutte le donne italiane. Non date il voto a Silvio Berlusconi, perché Silvio Berlusconi ci vede solo orizzontali, non ci vede mai verticali" 


"Il voto a Silvio Berlusconi è il voto più inutile che le donne possano dare".


Il meglio di sé lo dà nelle trasmissioni politiche:


"Lei deve rimangiarsi delle verità che sono delle falsità che ha appena detto" (???!???)
AnnoZero- 21 gennaio 2011



Attualmente è sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all'Attuazione del programma di governo quindi, non avendo niente da fare, bivacca giorno e notte in tv gridando come una Erinni.

Libertà va cercando...

Fra le parole equivoche dal trionfo assicurato Libertà brilla come un astro beffardo: a voler semplificare, si potrebbe ripetere la vecchia massima: tot capita, tot sententiae. Se si vuole indulgere a un non peregrino realismo, basterà restringere quel tot nel concetto prossimale di gruppo: tante libertà, quanti gruppi. Il che, peraltro, non esclude i singoli, ma sottace che certi individui (di grosso calibro) fanno “gruppo” da sé. Il Catone dantesco (cui allude il titolo) si riferisce a una bene intesa libertà politica: “Libertà va cercando ch’è sì cara / come sa chi per lei vita rifiuta”. In questi strani giorni di gennaio 2011 in discesa piroetta e tuona nei cieli alciònei un concetto originale della versatile dea. Tanto originale da sprofondare in una un’assunzione viscerale della scintillante nozione. A vero dire, sono ben tre lustri che ci impigliamo ad ogni passo della vita pubblica in questo assunto libertario sui generis: in questi chiari di luna (metaforici e astronomici: dopo aver seguito fin dal suo “primo quarto” le vicende in corso, la pimpante Diana è ai primi gradini della sua discesa) vi inciampiamo ad ogni piè sospinto.
La tempesta scatenata dalla Giustizia sul cranio ripopolato del premier sciupafemmine ha scatenato a sua volta, nell’entourage del Cavaliere, una gara frenetica a chi le spara più grosse. Naturalmente, il primato spetta sempre a lui, l’inarrivabile spara-balle che ne versa fiotti continui. Ma i suoi complici saputelli, i suoi maggiordomi più e meno impresentabili, i lacchè- “comandi, patrone”, i tecnici del giure mobilitati a sua spinosa tutela, le gentili promosse politiche di tutti i livelli (dai consigli provinciali ai ministeri) si stanno prodigando a corpo morto (anzi, frenetico) per impinguare la connotazione teorica e pragmatica della divina Libertà di conferme iperboliche. Ed è uno spasso vedere e ascoltare, nei troppi talk show disseminati nel nostro tempo sempre più incalzato (la “l” non è un lapsus) da una marcia varietà di eventi, dai più comici ai più tragici, subito versati nei teleschermi.
Chi ha seguito l’affaire sa che sull’icona del Cavaliere sventola una massa di evidenze schiaccianti: tracce di versamenti, nomi di minorenni e disinibite maggiorenni, confidenze telefoniche fra protagoniste di questa “bella vita”, e via sommando. Mezzo di cattura del materiale scottante, le intercettazioni telefoniche, scattate, in parte, dall'input di fatti palesi: per esempio, l’intervento presso la questura di Roma della Minetti sciupa-letti, battezzata Nicole, nell’occasione del fermo della precoce Ruby in fuga da un Centro d’accoglienza siciliano. Le telefonate tra le frequentatrici delle feste arcoriane hanno fornito ai giudici ghiotti dettagli in quantità alluvionali. Solo un cretino potrebbe dubitare della variegata molteplicità dei fatti veicolati da quegli sfoghi sbavanti delle vogliose fanciulle così generosamente gratificate dal munifico mandrillo dal cuore tenero. Eppure di negatori dell’evidenza, inventori di scenari fantasiosi, azzeccagarbugli et similia ce n’è a iosa. A ragion veduta abbiamo scritto “negatori” e non cretini, perché chi nega, chi si arrampica sugli specchi (così scivolosi!) non può non essere un cretino doc, anche se ne assume il ruolo obtorto collo. Di solito è gente disperata per la costrizione debitrice che la impegna: come non difendere un Benefattore dalla borsa facile e dalle cariche pubbliche pure? E allora ecco lo spettacolo di clownesca abbondanza messo in campo dal deputato Stracquadanio in uno di questi talk show mattutini (Agorà). Il quale, volendo ridurre tutto quel monte di fattuali evidenze scomode a pure ipotesi e impressioni degli accusatori presenti e lontani, e sparando altre sottigliezze da causidico sofistico maldestro, provocò la sorridente e irridente replica di un giornalista del Fatto quotidiano. Fu troppo per quel candore da mammoletta, e Stracquà stracquò, guizzando fuori dalla grazia divina (o diabolica) con tale stravolgimento dei tratti fisiognomici da tradire una mal coperta brama assassina, dolente di restare inattivabile, cioè confinata a un isterico verbalismo irrisorio. Con lauto spasso di quel “provocatore” al servizio dell’evidenza (e della connessa “memoria storica”) sull’incorreggibile Primo ministro e primatista di scandali seriali. Naturalmente, il campionario potenziale di simili recite riempirebbe il palinsesto di mille tivvù, e fin troppe pagine di un volume ad hoc, mostrandone l’esilarante potenziale comico. Come, in piccolo, già si gode in format tipo Parla con me e in “Copertine”di Ballarò , vanto dell’inarrivabile Crozza.
Il modello per questi zelatori allo sbaraglio è sempre, s’intende, il padrone e patron silvestre. Il quale, negando ogni addebito criminale, rivendica il pieno diritto alla più ispirata privacy e, come logica coda polemica auto-difensiva, attacca la solita Magistratura persecutrice, che stavolta avrebbe superato ogni limite e cautela, e starebbe cercando di distruggerlo politicamente (ma non soltanto): una musica vecchia di tre lustri, com’è largamente noto in tutto lo Stivale, anzi in tutto l’orbe politico planetario. Dove non manca, anzi ondeggia davanti alle facce dei pm milanesi al soffio dell’indignazione meglio recitata, la sub-accusa di attacco alle istituzioni, e dunque di sacrilegio eversivo. E qui erompe il suo originale concetto di libertà: fare tutto quello che mi pare e piace, senza limiti, senza finti pudori morali e politici. E senza che nessuno, giudici in primis, me ne rompa le scatole (e qualche altro annesso e connesso). Così il Gruppo targato Berlusconi denuncia, insieme alla trilustre persecuzione del piccolo zar in pectore e patron dal cuore d’oro, un crimine politico-istituzionale, una minaccia alla democrazia.
Si può evitare, a questo punto, un florilegio delle dichiarazioni ed esternazioni sgorgate e che continuano a sgorgare dalle feraci bocche del loquacissimo gruppo? Non si può. Eccone, dunque, un ristretto campionario in ordine sparso, cominciando dal Capo. Ai vari Casini ed avversari meno rigorosi che gli consigliano le dimissioni, il Berlù, reduce da un incontro in Quirinale, risponde, quasi allegro, con “un sorriso degno di un consumato attore”: “Sono sereno, assolutamente, mi sto divertendo. Dimettermi? Ma siete matti?”. E aggiunge, in potenziale versione porno: “meglio che non faccio un gestaccio in pubblico!”. Quel covone di accuse documentate (concussione, istigazione alla prostituzione di minorenne, eccetera)? Il Cavaliere glissa di gesti e rassicura i trepidanti “commessi” e soci politici: “Si tratta di un processo mediatico e politico. Non ho commesso nessun reato. Quello che sta accadendo è uno scandalo, una costruzione mediatica, si tratta di uno spionaggio continuo”. Tanto più grave in quanto ha “tallonato” anche i suoi incontri politici, per esempio,“spiando” la sua casa “mentre c’era un vertice internazionale, mentre ospitavo Putin”. Forse hanno intercettato anche lui in persona, “in modo illegale”. E dunque, siamo di fronte ad “una offesa alla democrazia”. Chi può negare che ci siano state “gravissime violazioni di legge e dei principi costituzionali” a carico di quei persecutori maniacali che disonorano (sottinteso) la “Procura di Milano. Che non ha assolutamente la competenza su questo caso, che è un caso che più che giudiziario è mediatico”. Neanche dopo questa gragnuola cacofonica di “che” pronome relativo si placa la loquacità spavalda del Cavaliere-tutto dire. Che alterna il piglio serio elle battute, mimando un buonumore da palcoscenico: “Se avessi fatto festini con 24 ragazze sarei meglio di Superman”. E non gli si parli di donne mercenarie: lui non ha “mai pagato per prestazioni sessuali”. E quelle ragazze ospiti sono soltanto delle beneficate: “ho solo dato disponibilità a chi aveva grande bisogno”: pieno uso di alloggi e danaro, spassi e buontempo. Che c’è di male? Un cuore d’oro, un distillato di altruistico disinteresse da beatificazione. Concussione? “Il reato di concussione è inesistente dal momento che non c’è “concusso” (allusione al funzionario di polizia che ha negato di sentirsi “concusso”). Ancora con questo ritornello delle dimissioni? Si suggerisca a “qualcun altro. Io sono la persona offesa, con me si offende la democrazia”. L’identificazione sottesa con la Democrazia è, forse, la migliore scampanata a cantare il largo concetto di libertà che riscalda il cuore del versatile premier.
Al trascorrere dei giorni, l’ira “scenografica” del Berlù, lungi dal placarsi, svampa vieppiù, e si fa temeraria: se tre giorni fa (18. O1) s’accontentava di frasi come quelle riportate sopra, ieri l’altro (19. 01) minacciava punizioni per i pm felloni. Ecco qualche scampolo del suo video-messaggio ai fedeli collaboratori (ed elettori), e di altre occasioni esternanti: “Vi debbo raccontare delle incredibili, impressionanti e gravissime violazioni commesse dai magistrati di Milano, che hanno calpestato le leggi per fini politici”. Hanno sottoposto la mia casa “a un continuo monitoraggio dal gennaio 2010 per controllare tutte le persone che entravano e uscivano”; per colmo, usando tecniche sofisticate “come contro la mafia o la camorra”. E qui, la voce dal sen fuggita del Cavaliere sveglia la nostra memoria sulle rivelazioni dei pentiti (da Spatuzza a Massimo Ciancimino e ai nuovi acquisti) che legano il Cavaliere e la sua “anima nera”, senatore Dell’Utri (due condanne per mafia), a Cosa Nostra siciliana degli anni di piombo stragista, 1992.93. Imperterrito, rincalza l’insigne Offeso: lui in quella sua casa ha fatto politica: “da sempre svolgo funzioni di governo e di parlamentare”. Dunque, quei persecutori dei pm hanno commesso reiterata “violazione contro elementari principi costituzionali”. Violazione legata anche al silenzio sulle indagini in corso dal gennaio 2010, contro la norma di legge e costituzionale, che obbligherebbe gli indagatori a informare il Tribunale dei ministri “entro 15 giorni dall’inizio delle indagini”. Conclusione, “occorre punire” questi pm arruffoni. Magari (in mancanza di un meglio in pectore non pronunciabile) con una forte reazione della coesa maggioranza nel provare tutti i mezzi di contrasto disponibili a norma di legge. Intanto incassa la vittoria alla Camera sulla Giustizia col maggioritario ok sulla relazione proposta dal suo fedele ministro riconoscente, Angelino Alfano.
Non vorrebbe, il premier, essere frainteso: lui smania dalla voglia di presentarsi ai giudici, a godere lo sfarinamento delle loro balorde accuse. Ma come fa, un galantuomo, a presentarsi davanti a personaggi abusivi, ignoranti fino al punto da non capire la loro incompetenza territoriale e politica? Se la godrebbe, lui, la faccia allibita dei suoi carnefici, alla lettura delle auto-smentite rubyane (da Ruby rubacuori, ex minorenne, ben unta da olio santo in euro 5000 contanti) dei presunti rapporti carnali con nonno Silvio, che, in realtà e verità, non l’ha “mai toccata”! Smentite raccolte da un gentiluomo taroccato, il serafico Signorini Alfonso, per Canale 5 (che per questa storica impresa s’è guadagnato, a condimento della riconoscenza pelosa del Padrone, una beffarda stroncatura di Aldo Grasso, sul Corsera di oggi, 21 gennaio). Ritrattazioni disseminate ai quattro venti mediatici dal plotone arcoriano che controlla l’ex minorenne, convertita alla menzogna auto-denigratoria dal suo nuovo zelo scagionante: “Mi sono inventata una doppia vita” . Più arduo l’assalto alle telefoniche esternazioni delle maggiorenni più o meno escort, ripresentate ad Annozero (20, 01) senza risparmio di sequenze e confidenze su fatti sorprendenti persino per le loro sensibilità rotte a voluttà variamente disinibite. Il premier che tocca il nudo delle girls nelle parti intime, il Cavaliere che si offre come lo fece mammisa agli sguardi stupiti delle femminili presenze generosamente pagate, il numero Uno dell’Esecutivo che passa “alla stanzetta” del bunga bunga a consumarvi cinque pasti consecutivi (non ne occorrono 20, Cavaliere, per promuoversi a Superman), e via salendo verso le impegnative vette dei primati invidiabili. A proposito: la bella fanciulla che confidava queste meraviglie all’amica s’è dimenticata di precisare gli intervalli di fisiologico riposo tra un pasto e l’altro. O forse era sottinteso che il Casanova ignaro di stress non ha avuto bisogno di quelle pause? C’è, forse, puzza (anzi, odore) di viagra? Piccoli misteri che accompagneranno i nostri sogni di vecchi esclusi da tanto bene.
Il quale (bene) ha trasformato la devota Santanché in un’ossessa aggressiva, che ha sfidato Santoro con incessanti e puntuali incursioni sugli interventi altrui, e infine lo ha elogiato con questo complimento sparatogli faccia a faccia a brevissima distanza di pelli: “Questa trasmissione, non voglio usare un termine pesante, fa schifo”. Testuale. Alla faccia della leggerezza. Sui comportamenti dei fedelissimi arcoriani bisognerà divertirsi in un discorso a parte. Per ora ci basti la sorpresa per la pazienza francescana di Michele. Troppa, per un conduttore che avrebbe il potere e il dovere di fermare le continue sovrapposizioni consumate dalla Daniela furens, da perfetta Civitota in pretura (e peggio) sugli interventi altrui, si trattasse di giornalisti del Corsera o di Repubblica, di Ruotolo o della graziosa biondina che intervista persone fra il pubblico presente. Per tacere dell’onesto Travaglio, bestia nera dei Belpietro come delle Santanché. Un brutto spettacolo, questa puntata, che ha lasciato la bocca amara per questa remissività santoriana. Bocca che s’è raddolcita con le sempre deliziose vignette di Vauro, che non sbaglia un tiro di freccia nei suoi bersagli. Quanto alla signora qui onorata, bisogna aggiungere che, intervenuta, in smagliante eleganza, anche nella trasmissione Agorà, ha ripreso la recita dell’intolleranza scattante di ieri sera. Ma qui ha trovato pane per i suoi denti nella deputata Pd, che ne spezzava con grinta le petulanze cafonesche. Capita l’aria che tirava, la signora ha tolto il disturbo assai presto. S’intende, dopo avere gratificato quest’altro conduttore di un altro sonoro insulto. E meno male. Ci bastava già il solito Mughini con la sua enfasi corporale (larghe braccia e lunghe gambe in moto perpetuo) a integrazione spaziale di quella orale (che non scherza). A onor del vero, però, critico schietto e severo verso la sottosegretaria-peste fuggente.
Pasquale Licciardello

giovedì 20 gennaio 2011

Dimissioni!

1. Dimissioni
Chiediamo a Silvio Berlusconi di dimettersi immediatamente.
In nessun altro paese democratico un Primo ministro, indagato per così gravi capi di accusa, rimarrebbe in carica. Tutti i cittadini italiani, di qualsiasi credo politico, devono essere consapevoli che l’immagine del loro paese sarà profondamente danneggiata se Berlusconi rimarrà al suo posto.
2. Presenza in aula
Chiediamo a Silvio Berlusconi di non utilizzare la televisione per difendersi e screditare i magistrati grazie al suo considerevole potere mediatico, bensì di presentarsi ai giudici come farebbe ogni cittadino. In tribunale, Berlusconi potrà comunque giovarsi dall’avere ingaggiato gli avvocati più pagati del paese. Speriamo vivamente per lui e per l’Italia che sia in grado di dimostrare la propria innocenza. Visto che Berlusconi e i suoi sostenitori affermano che i giudici sono irrimediabilmente prevenuti nei suoi confronti, ricordiamo che in più di un’occasione gli è stato garantito il beneficio del dubbio. Nel caso Mondadori, ad esempio, la corte giudicò, nel novembre 2001, la posizione di capo del Governo una “circostanza attenuante” che, unicamente nel suo caso, fece cadere in prescrizione l’accusa.
3. Il ruolo del Presidente della Repubblica
In una situazione in cui due dei principali poteri dello Stato – la magistratura e l’esecutivo – si affrontano in uno scontro estremamente pericoloso per il futuro della Repubblica, chiediamo al Presidente Napolitano di valutare la situazione e di intervenire tempestivamente, entro i limiti previsti dalla Costituzione.
4. I partiti di opposizione
Chiediamo a tutti i partiti di opposizione di mettere da parte le loro divergenze e di abbandonare qualsiasi desiderio di primeggiare, chiedendo invece con una sola voce le dimissioni del Premier.
5. Società civile
Invitiamo le numerose associazioni e le centinaia di migliaia di cittadini che si riconoscono nella società civile a concentrare le loro forze e a unirsi in una linea d’azione comune. Chiediamo soprattutto al mondo cattolico di esortare il Vaticano a pronunciarsi su una questione di etica pubblica così rilevante.
6. Gli amici dell’Italia nel mondo
Abbiamo scritto questo appello sia in inglese che in italiano per mandare un messaggio a tutti coloro che all’estero amano la nostra democrazia e le sorti del nostro Paese. Non perdete la fiducia nell’Italia! Abbiamo bisogno della vostra solidarietà e del vostro aiuto.
Gustavo Zagrebelsky, Paul Ginsborg e Sandra Bonsanti per tutta Libertà e Giustizia

Cronache dal basso impero

"E poi Arcore è un luogo aperto e accogliente, possono entrare in tanti..."
"... collaboro con Berlusconi dal ’94, ho frequentato molto spesso Arcore..."
"...Nessuno mai fa il conto di quanto è costato allo Stato questo sforzo giudiziario che magari poteva essere impiegato per trovare una ragazza come Yara , di cui ancora non si hanno tracce.”
maria stella gelmini, ministro dell'Istruzione.
Italia 17,Gennaoio 2011. "porta a porta".

mercoledì 19 gennaio 2011

I linguaggi-truffa del liberismo tosto

Chi non ha fatto esperienza dei linguaggi truccati? Ti dicono una cosa e ne sottintendono un’altra, ti vendono un oggetto lodandone le qualità, e quando lo usi ne scopri le magagne. Accade così dappertutto: in politica, in economia, nella cultura. E non è sempre facile scoprire l’inganno. Le difficoltà crescono col crescere dell’importanza del contesto, diventano addirittura insormontabili per tanti (troppi) cervelli in tema di economia, politica, religione e relative pertinenze. Dove si può vendere stoppa invece di pane, sofferenza al posto di benessere, coazione e ricatti in luogo di libertà, illusioni e speranze insensate invece di grazie e paradisi. Naturalmente, promuovendo a chiacchiere quei surrogati truffaldini a onesti contenuti del promettere: il colmo dell’inganno.
Da mesi Sergio Marchionne minaccia gli operai della Fiom sull’esito del referendum che deciderà il destino degli accordi già firmati da Cisl e Uil: o vince il sì o la Fiat trasferirà all’estero gli investimenti previsti per Mirafiori. Ecco una sua tipica frasetta allusiva, ma chiarissima nel senso appena velato: “Se al referendum vincono i no, brindano a Detroit”. Cioè, nel già previsto (e trepidante) terminale della lunga, reiterata minaccia di “delocalizzazione”: nella grande America, si sa, gli operai sono stati “Convinti” ad accettare il dimagrimento dei loro diritti (altrimenti connotabile come ingrasso delle fatiche). Quando il nuovo segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, lo accusa di provocazione e di insulti, non solo ai lavoratori, ma addirittura all’Italia, lui risponde che vuole soltanto prendere atto del cambiamento. Ecco una parola passe-partout, un suono magico, che veicola significati maligni ma ben coperti. Dire Cambiamento (la maiuscola è tutta di merito) sottende questo trucco: la globalizzazione in atto costringe le imprese a una modifica radicale delle condizioni lavorative: se vuoi reggere la concorrenza straniera, devi essere competitivo; per esserlo, devi produrre a costi minori, per diminuire i costi, devi ridurre salari e diritti dei lavoratori: meno pause e meno lunghe, meno agio di assentarsi, e se ti ammali, che siano poche le ore di assenza, o perdi il posto. E un “eccetera” sottinteso, sul cambiamento. Ma ecco le parole intercorse nel duello a distanza fra l’ad Fiat e la Camusso. Alle minacce dell’uno, l’altra risponde che il signor Fiat “insulta ogni giorno il Paese”. Non solo, ma “tiene nascosto il piano industriale […] con la complicità di un governo che non fa il suo lavoro, ma è tifoso e promotore della riduzione dei diritti”. Parole di verità, quelle scagliate, ab irato, dalla segretaria Cgil. Parole sacrosante. Ma il bersaglio è di roccia lavica, e senz’ombra d’imbarazzo, replica (proprio dalla famigerata Detroit): “Se insulto significa introdurre un nuovo modello di lavoro in Italia, mi assumo le mie responsabilità. Ma non lo è. E non si può confondere questo con un insulto all’Italia.” Basterà questa parata sobriamente difensiva? Non siamo ingenui: Marchionne ha bisogno del belletto arrogante, dello strafare provocatorio. Come? E’ presto detto: capovolgendo la “semantica” del caso, trasformando la (sua) colpa in virtù, la penitenza imposta (agli altri) col ricatto in premio promozionale. Una cuccagna, per gli operai e per l’Italia tutta, dalle Alpi al capo Passero. Sentiamolo: insulto all’Italia? “anzi, le vogliamo più bene noi cercando di cambiarla”. Eccolo ancora lì il cambiamento, eccone l’assolutizzazione sacrale. Forse l’operaio non comprende tanta finezza? Pazienza, imparerà col tempo: non c’è pedagogia migliore che la frusta in maschera di necessità. E se il miracolo gnoseologico (o gnostico?) non dovesse accadere, poco male: c’è forse bisogno di spiegare al popolo la sottile natura dello Spirito Santo? La situazione mentale del contesto “Fiat-operai-cambiamento” è di quel tipo: un mantra religioso, un arcigno assoluto. La religione, insegnava Giordano Bruno, va bene “per li rozzi popoli che denno [devono] essere governati”. Non sono, forse, popolo (l’aggettivo va accantonato, per delicatezza pelosa) gli operai? Si potrebbe aggiungere quel che forse Marchionne sottintende, cioè questo pensierino: tant’è vero che l’hanno accettato pacificamente là dove non c’è stata sobillazione, in quel di Cisl e Uil, lande del buonsenso e del realismo. In fondo, Marchionne non ce l’ha – dice -- “né con la Camusso né con la Fiom, né con la Cgil e nemmeno con Landini. Hanno dei punti di vista che sono completamente diversi dai nostri e che non riflettono quello che vediamo noi a livello internazionale. Nessuno sta dicendo loro di cambiare punto di vista, ma questo non consente loro di accusare gli altri”. Anche le parole di rispetto verso l’avversario che “non capisce” il cambiamento, non vede la realtà internazionale, eccetera: quale compìto, rispettoso signore, questo sorridente manager di ferro! Tanto degno di ammirazione che il nostro cilicio nazionale sub specie hominis, nonché premier (per volontà della parte più bruniana dell’italo popolo dalle troppe vite), non ha perso tempo nello schierarsi al fianco del signor Fiat. Eccone le alate parole, pronunciate dal podio berlinese, un “sito” allusivamente giusto (la Merker ha convinto i suoi operai a stringere la cinghia e “modulare” denti e secrezione salivare per far crescere la Germana “solidale”): “Se vince il no al referendum, è giusto andare via”! Ma forse, dati gli spari verbali indirizzatigli addosso, domani dirà che è stato frainteso e che lui intendeva soltanto aiutare i tanti che si sforzano di frenare e convertire quegli scalmanati della Fiom. Così ha pensato chi lo segue da tre lustri. E così è stato (dettagli a parte).
In ogni caso, urge tallonare ancora il serafico numero Uno Fiat, che non si concede tregua nel definire il suo pensiero di (presunto) leale e responsabile italiano. Chi si fosse stupito che Marchionne non abbia ancora onorato l’etica, si consoli: l’ha fatto (non si può mica fare tutto in un sol colpo!). Eccolo che definisce “immorale” lo spreco (un certo spreco), e sempre dalla piazzaforte di Detroit lancia fulmini savonaroliani: “L’era degli sprechi è finita. Perdere tempo, denaro e opportunità, sperperare risorse fisiche e intellettuali non è solo antieconomico e distruttivo: è immorale”. A questo punto possiamo dire che l’autoritratto è completo: la sua tranquilla coscienza di manager combacia perfettamente col cinismo che ignora la realtà umana (come dire, psichica e corporale) dei singoli operai. E di chiunque attraversi la sua strada di generale fortunato, capace di mettere al muro (fosse solo dell’indigenza) il fantaccino o il caporale che devìa dal suo perentorio tracciato.
Marchionne, infatti, trova immorale la difesa degli operai più dignitosi e moralissimi i suoi compensi. Domenica 9 gennaio da Fabio Fazio, Nichi Vendola fece una rivelazione istruttiva sul manager Fiat: Marchionne prende quasi cinque milioni di euro l’anno (più chissà quanti e quali bonus: quella roba che il governo inglese sta permettendo alle banche di pagare ai loro manager più fortunati in business), e precisa che con tali compensi questo moralista del kappa viene a prendere ben 450 volte il salario di un operaio Fiat. E precisò, il governatore comunista della Puglia, che il capo storico della Fiat, Valletta, prendeva appena venti volte quel salario. Ecco un edificante esempio di moralità marchionnesca. Eppure Vendola sbaglia per difetto: ad Annozero (13 gennaio) abbiamo appreso che, tra stipendio, bonus, stock options e non so che altre diavolerie liberiste, il suo compenso annuo supera i venti milioni, ed assomma a 1070 volte il salario di un operaio. Come giudicare tanta impudenza? Cinismo? Ingenuità? Coerenza liberista? Un giornalista del famigerato Giornale arcoriano non ha dubbi: che c’è da criticare? Se li merita tutti i suoi euro. Ha salvato la Fiat in un momento difficile: dobbiamo essergli grati, e basta. E’ la logica, aggiornata, del vecchio mammonismo. La stessa che ispira le banche, nostre e planetarie.
Naturalmente, questo cambiamento non viene presentato nella sua nuda e oscena realtà partigiana e vessatoria, viene camuffato da menzogne anodine e persino di significato opposto: ma sì, addirittura, nel nostro caso, come incremento salariale. Non parla, Marchionne, di un aumento annuo di euro 1743? Ecco uno dei tanti trucchi: quell’aumento è più che compensato dalla crescita di fatto delle ore lavorative, conseguenza delle pause ridotte e della spietatezza dei turni.
Ma l’inganno più micidiale è la presentazione del famigerato cambiamento come evento fatale, cioè quasi divino e inevitabile. Vale a dire: non evento umano e problematico, ma necessità assoluta, evoluzione inarrestabile dei fatti che muovono la storia, con o senza il consenso degli agenti umani. Insomma, si tratterebbe di eventi fatali, para-divini, assimilabili alle misteriose intenzioni dell’Ananke greco, o del tremendo Geova biblico, sterminatore di città e primogeniti. La realtà, però, è diversa, o, almeno, presentabile diversamente. Con poco, anzi nessun vantaggio degli attori antropici. Questo innegabile cambiamento non è altro che l’ampliarsi della prassi liberistica: che è creatura affatto umana, teorizzata da economisti e filosofi di grande prestigio, e praticata sempre più largamente nel mondo contagiato dalla “civiltà occidentale”. Con buona pace delle continue smentite della sua presunta eccellenza, per gli effetti secondari della sua applicazione coerente. La prassi dei liberi mercati è senz’altro favorita dallo specifico successo economico-finanziario: vedi le recenti fortune di Cina, India, Brasile e, in piccolo, di altri Paesi emergenti. Tutto bene, dunque? Niente affatto. Quando si esaltano quei successi, si tace, di solito, il prezzo pagato dalle maggioranze: quanti saranno, in Cina, i nuovi ricchi? Cento milioni? I benestanti, duecento? E quelli che hanno migliorato, sia pur di poco, le loro condizioni? Altri duecento? Credo siano cifre esagerate, ma, anche se fossero realistiche, sarebbero comunque di minoranze. Ti dicono: il benessere verrà anche per i sacrificati di oggi. Ma l’esperienza suona: campa cavallo. Il liberismo sta bene a pattuglie aggressive e spregiudicate, le quali non usano nemmeno le parole operaio, povero, disoccupato, schiavizzato, poco assistito, eccetera. Questo rosario è ignorato dai vari Marchionne del pianeta. Il cui linguaggio conosce soltanto le parole impresa, azienda, profitto, produttività, concorrenza, crescita, Pil, e via inebriandosi sul medesimo metro. L’innocenza apparente di queste parole è la perfidia del lupo che si traveste da agnello: il loro uso nasconde la drammatica realtà della subordinazione operaia alla logica glaciale dell’aziendalismo in gara planetaria. Questa cosiddetta civiltà occidentale, liberal—democratica e cristiana è meglio definibile come mammonismo ipocrita: belle parole e fatti discutibili, e in gran parte infami. Perfino autolesionisti: il capitalismo dilagante sta ammorbando il pianeta in tutti i suoi ecosistemi, dalle terre ai mari, dai fiumi ai monti dai laghi alle foreste. E le strade, colonizzate dal motorismo brado, sono diventate l’incubo degli anziani costretti a guidare. Questa orgogliosa civiltà supertecnologica andrebbe meglio definita apoteosi dei rifiuti, Babilonia della monnezza assassina. Le catastrofi puntuali di ogni anno, (alcune in pieno e tragico svolgimento in questi giorni) sono il prezzo puntuale e tragico di questa insipiente mentalità bulimica. Ma invano ci mostrano che stiamo marciando verso l’autodistruzione inarrestabile: chi ascolta queste voci di fatti e misfatti correttamente interpretati da pochi osservatori attenti? Quel che conta è il successo economico, la monetizzazione sempre più vasta della vita sociale. Con il dilagante indotto della feroce malavita stragista del narcotraffico e dei centri commerciali pullulanti a ripulire denaro al sangue. E’ il paradosso dell’umanità: tanta intelligenza, tanta genialità, tecnologia sempre più “fine” e miracolosa, e il trionfo della stupidità omicida e, invisibilmente, suicida. Oltre le pandemie di saltuario scoop ne stiamo coltivando una radicale, lenta ma definitiva.
* * *
Tornando al tema ristretto. Siamo al giorno dei risultati del referendum Fiat. Habemus papam: il sì ha vinto, i commenti fioccano, ciascuno schieramento interpreta l’esito come una propria vittoria, malgrado quel risicato 54% (assicurato soltanto dal voto impiegatizio). Ma non mancherà il tempo dei commenti: per ora dobbiamo chiudere questo mini-cahier des doléances. Magari ammettendo che si è evitato (forse) il classico peggio. Il futuro ci dirà fino a che punto gli oppressi resisteranno ai soprusi e alle menzogne dei padroni, e fino a quale altro questi vorranno spingerli o mitigarli. I discorsi della Camusso e del Landini non sono stati di resa a discrezione, ma di fermo puntiglio sulla difesa della dignità operaia: rispettiamo l’esito referendario, ma non firmiamo gli accordi contestati. E proponiamo di aprire un tavolo per una chiara nuova trattativa a tutela di quella minacciata dignità.
Intanto si dovrebbe interrogare chi si meraviglia delle lugubri stelle a cinque punte (emblema delle Brigate Rosse) comparse a fiancheggiare le minacce all’eroico Marchionne. Che dice di non aver paura. E forse è vero. Almeno un po’: è così convinto di marciare sul sentiero della pura virtù da sentirsi protetto da qualche celeste divino tutore di ogni virtù. La sua è, in fatti, la sola che il suo tipo d’uomo conosce, la virtù zoppa (ma luccicante nella società ubriaca di fede mondana) del successo manageriale, costi quel che costi (agli altri). E quindi si sente virtuoso a pieno regime.
Ma per non chiudere con quel truce ammonimento, riportiamo un pensiero del grande John Maynard Keynes, a riprova che le sigle non sono tutto nella distinzione delle teorie economico-sociali. E che si può essere liberali in più modi (non solo alla Panebianco, Ostellino e simili chierici). Eccolo: “La transizione dall’anarchia a un regime che mira deliberatamente al controllo e alla direzione delle forze economiche nell’interesse della giustizia e della stabilità sociale presenterà difficoltà enormi, sia tecniche che politiche. Ritengo tuttavia che il vero destino del nuovo liberalismo consista nel tentare di risolverle”, accettando “il rischio dell’impopolarità e della derisione”
Pasquale Licciardello

giovedì 13 gennaio 2011

al peggio non c'è mai fine...

- Se al referendum dovessi perdere mi troverei a festeggiare in Canada. sergio marchionne
- marchionne fa bene se va via. silvio berlusconi.
- Bisogna essere equidistanti fra la Fiat e gli operai. piero fassino.

martedì 11 gennaio 2011

Il do ut des


Questo video è stato pubblicato sul sito dell'onorevole (ma mi faccia il piacere!) scilipoti quando ancora non era passato armi e bagagli (soprattutto bagagli) con il sodale berlusconi!

I fanatici di santo Israele

Che esistano varie forme di fanatismo è un dato di fatto di immediata verificabilità: si va dal tifo sportivo al credo ideologico, dalla passione artistica ai vari vizi (alcolismo, droga, eccetera). È ovvio, pure, che in ognuna di queste forme si manifestano diversi gradi d’intensità: la quale, in certi casi, può spingersi fino all’autolesionismo e al delitto. Tra queste differenti espressioni dell’Eccesso quelle religiose e ideologiche sono le più ricche di potenzialità violente: fino al crimine efferato, fino alla cecità assoluta sulle smentite più plateali delle loro motivazioni, cioè fino alla negazione dell’assoluta evidenza fattuale.
Tra le versioni ideo-politiche del fanatismo, chi non ricorda, degli anziani (anche di minima attenzione mediatica), la febbre paranoica maoista, che infestò i giovani (e non solo) più sensibili allo scandalo delle mostruose disparità economico-sociali? Fu il momento storico della Cina rivoluzionaria, vittoriosa, sotto la guida di Mao, contro la peste terroristica del nazionalismo oligarchico di Chan Kai Shek (quel tenero generale, “signore della guerra” che faceva “bollire” vivi i prigionieri comunisti); e fu anche il tempo dell’infatuazione planetaria per quella vittoria e il suo modello vincente. Il famosoLibretto rosso, quella sorta di mini-vangelo ateo che raccoglieva iPensieri di Mao, andava a ruba, e se ne vendettero o regalarono a milioni. Il “Grande timoniere” e poeta era adorato come un dio visibile (capace perfino di miracoli). La “Grande Rivoluzione Culturale” voluta da Mao era un titanico progetto di livellamento sociale, affascinante, ma incline a un fanatismo punitivo che coinvolse nell’umiliazione ingiustificata figure professionali, politiche, culturali rispettabili, a volte invano impegnate a denunciare le conseguenze nefaste degli eccessi livellatori. La nuova Cina liberista e capitalista, ha smesso il fanatismo maoista, marcia, da un trentennio, con uno sviluppo economico a doppia cifra, ma quanto a libertà di pensiero e tolleranza del dissenso risponde con la criminale repressione di Tien an men. Cioè, con diverso fanatismo, pronto a sparare sugli studenti democratici e responsabile di un inquinamento ambientale spaventoso. Per tacere della sorte dei contadini, in massima parte ancora (o per sempre?) esclusi dal nuovo benessere, alle proteste dei quali non si reagisce certamente con carezze sorridenti.
Esiste, oggi, un fenomeno paragonabile a quello cinese di quarant’anni fa? Certamente no, ma il fanatismo ideologico, politico e religioso non dimagrisce per quest’assenza: la rimpiazza con tutta la cecità testardaggine arroganza e spudoratezza che ogni fanatismo doc comporta. Ovviamente, si sta pensando alla versione islamica, ed è inevitabile: al Qaeda è Islam, i Kamikaze stragisti sono Islam, i missili Kassam sono ancora Islam. Ma se ci si chiede, con mente sgombra da pregiudizi, perché questo Islam fanatico e assassino non esisteva quarant’anni fa, si scopre un nesso ferrigno con la presenza di Israele in Palestina. Una mente sgombra (al possibile) di pregiudizi, che abbia seguito (meglio se scrivendone) la storia della Palestina nell’ultimo sessantennio sa quale macigno di responsabilità diretta e indiretta abbia lo stato ebraico nella nascita di quel mostro. Chi scrive ha seguito quella storia per decenni, e ha maturato queste convinzioni. Israele è nato dal terrorismo di ispirazione sionista, praticato contro gli inglesi al tempo del mandato britannico, e contro gli arabi palestinesi allora e dopo il disimpegno inglese. A praticarlo furono gruppi di militanti armati, i cui capi diventarono, a volte, eminenti politici del nuovo Stato (come Begin, comandante del gruppo Irgun, poi premier nello Stato di Israele). Ai fanatici ammiratori di Israele non piace che si ricordino questi precedenti terroristici (tanto meno il suo culmine prestatale, la distruzione minata dell’Hotel King David, che massacrò qualche centinaio di ufficiali inglesi allo scopo di accelerare il processo di formazione della Stato). La guerra scoppiata contro il neonato Israele nel i948 viene letta dai suoi fanatici come immotivato attacco arabo, gesto di pura cattiveria razzistica. Era, in realtà, un tentativo di correggere l’arrogante divisione del territorio palestinese a sfacciato vantaggio della nuova entità: un capolavoro dell’Onu, questa scelta tanto faziosa quanto provocatoria. E che dire dei milioni di profughi palestinesi, espulsi dalle loro case e costretti a ramingare tra ospitalità arabe diverse e non sempre amiche? Da quel tempo, tutti i tentativi degli stati arabi di battere Israele sono stati un fallimento continuo, una sfida all’impossibile: Israele era (ed è) tabù, una realtà garantita dagli Stati Uniti, che ne assicuravano forniture militari e sostegno economico (mediati dai miliardari ebrei presenti in America). In questi rapporti di ostilità aggressiva con gli arabi il vertice estremo fu toccato con la “Guerra dei sei giorni” del 1967, quando, con un attacco a sorpresa, sotto la guida militare di Moshè Dayan e un piano strategico elaborato con geniale puntualità sincronica e territoriale, le forze armate con la stella di David strapparono agli Stati arabi un’incredibile estensione di territori (dal Golan siriano al Sinai egiziano, dalla Cisgiordania e alla Striscia di Gaza). Soltanto nella Guerra del Kippur (1973), promossa dall’Egitto di Sadat, a capo di una coalizione, Israele, colto di sorpresa, rischiò di essere sopraffatto. E qui la tutela americana mostrò la natura assolutistica della sua protezione: fino ad attivare il 2° livello di allarme atomico. Tutta la tragica vicenda dei conflitti arabo-israeliani ha visto Israele rispondere ad ogni puntura di spillo dell’avversario con scariche di bombe missili e, da ultimo, perfino di schifosissime bombe al fosforo bianco, usato nella recente guerra di Gaza, la più distruttiva e barbara degli ultimi tempi. Ora tutte queste bravate delle forze militari israeliane sono state celebrate dai suoi fans come mirabilia da elogiare e tutte giustificate con il sacro diritto all’autodifesa. Mai una condanna per gli eccessi stragisti e affamatori commessi da Israele contro popolazioni civili, direttamente (come Sharon contro il presidio di Arafat, umiliato e “facilitato” nel suo scivolone verso la tomba), e più di recente nell’appena citata Gaza (della quale abbiamo scritto a suo tempo), con sterminio di famiglie intere, bambini compresi, orrende mutilazioni “sperimentali” di innocenti creature col disonorante fosforo bianco.
Insomma, Israele è una realtà sacrale per i signori idolatri dell’Israel ùber alles. Non ci si può permettere neppure un sondaggio sulle minacce alla pace, se la libera opinione decreta la prevalente responsabilità dello Stato ebraico in quella minaccia. Nel novembre del 2003 l’Onu si assunse il compito di questo sondaggio, promosso dalla Direzione generale Stampa e Comunicazione (organo della Commissione europea). Il sondaggio diede questi risultati: il 59% di 75515 cittadini europei indicò Israele come lo stato “che più minaccia la pace nel mondo scegliendolo da un elenco di 12 Paesi, tra cui Corea del Nord, Iran, Afghanistan, Iraq, Usa, Pakistan”. L’esito del sondaggio scatenò “una tempesta internazionale sulla Commissione” (e si era ancora lontani dallo scandalo di Gaza). Il Corriere della seradi quel 3 settembre dedicò un’intera pagina al caso, con questo titolone: Israele protesta, bufera sulla Commissione. Eh sì, i fanatici di quell’intoccabile sono sparsi ai quattro angoli del mondo occidentale. Il motivo di questo furore? Incredibile, ma vero, sta tutto in questa assurda accusa: il sondaggio Ue accrescerebbe l’antisemitismo già abbastanza (fin troppo, per i fanatici) diffuso nel pianeta. Il portavoce del governo israeliano suona la solita solfa sul passato che ritorna: “Proprio come nel passato gli ebrei venivano ritenuti colpevoli di tutti i mali del mondo, così oggi la società ‘illuminata’ getta le stesse accuse sullo Stato ebraico“. Indi, un sollecito per l’incauta Ue: “La Ue deve operare per arrestare la demonizzazione di Israele, prima che l’Europa torni al suo più scuro passato”. Lo stesso autore insinua che le accuse e le critiche politiche più volte correttamente rivolte allo Stato ebraico per il suo incessante dileggio delle critiche e decisioni Onu e degli appelli europei contro gli eccessi militari e le ritorsioni sui civili in tutte le “risposte” israeliane alle vecchie punzecchiature (ma da qualche tempo anche attacchi kamikaze, peraltro indotti da quegli eccessi) nascondano “puro antisemitismo”. Tacendo di altre voci del coro ebraico, vale la pena di citarne ancora una, quella del Centro Simon Wiesenthal che propone di “escludere l’Unione dai colloqui di pace per il Medio Oriente”. Motivo della brillante richiesta, il presunto “sfacciato pregiudizio’ anti--israeliano dei suoi componenti”.
In Italia la reazione all’esito, forse non prevedibile per i fanatici, toccò un acme di tutto rispetto nei due presidenti del Parlamento, Casini e Pera: il primo straparla di “improvvido sondaggio” che “metterebbe in discussione la serenità e l’obiettività dell’Europa” (non senza cantare l’amicizia e la stima del Parlamento italiano verso Israele, “Stato autenticamente democratico”); il secondo rimpolpa la dose degli elogi: Israele, “avamposto della democrazia europea in Medio Oriente”, e rincalza le critiche alla Ue per non aver “saputo trovare il consenso su una risposta di civiltà contro l’intolleranza”, esorta “singoli, gruppi e popoli” a “combattere senza cedimenti contro il rischio del ritorno del razzismo e dell’antisemitismo”. Delizioso, addirittura, Rocco Buttiglione (nomen omen!), a quel tempo ministro per le Politiche comunitarie, quando lancia la sua ugola d’ostia sacra in questo più che amletico dubbio: “Questo sondaggio è difficilmente credibile” (come dire: non prendiamo per oro colato la parola della UE). Forse perché “Se fosse vero sarebbe molto preoccupante”? Infatti, per l’ispirato testimone di Dio, “Israele è un Paese minacciato, non un Paese che minaccia”. Altra voce clamante al sommo del pentagramma è quella del compianto senatore a vita ed ex tutto, Francesco Cossiga, chiedendo, anzi intimando, al povero Prodi, capo del governo e presidente di turno della Commissione, di “convocare immediatamente una riunione straordinaria del Consiglio europeo che dia conto alla commissione esecutiva di questo inaudito comportamento e che la inviti a risponderne al Parlamento”. Bum. Dopo il superbotto sardo, un simile livello sembrerebbe insuperabile, invece no, non è così: da un ex direttore del Corsera sgorga una reazione che si mette in tasca tutte le altre, comprese le stesse reazioni delle comunità ebraiche d’Italia. Ecco, dunque, un assaggio dell’ira funesta che il fanatismo può dare in persona e parola di Piero Ostellino: “Ebbene, lo dico senza esitazione: io da questa Europa non solo non mi sento per niente rappresentato, ma non voglio nemmeno averci a che fare. Perché me ne vergogno come europeo, come italiano e come cittadino del mondo. / Che certe cose le dica un malesiano che di professione fa l’antisemita non mi sta bene, mi scandalizza, mi ripugna, ma non mi stupisce. / Che queste stesse cose le dica una istituzione europea attribuendole agli europei, quindi anche a me, beh, [il belato è tutto suo] non solo non mi sta bene, mi scandalizza e mi ripugna, ma mi fa dire forte che, come europeo, come italiano, come cittadino del mondo, mi stringo fraternamente a tutti gli ebrei ovunque si trovino: mi fa dire forte che sono più che mai vicino a Israele, che lotta per la propria sopravvivenza contro il terrorismo che uccide donne e bambini inermi; mi fa dire che condivido con loro tutto l’orrore e il dolore che provoca questa incredibile notizia”. Piccolo interludio, un elogio a Prodi, quindi la “replica” del cossighismo blindato: “Che Prodi, allora, prenda immediatamente, formalmente e fermamente le distanze da questo abominio, lo denunci per quello che è – una orrenda manifestazione di antisemitismo – e ripari al danno, che esso produce innanzitutto all’immagine dell’Europa, con una dichiarazione di principio, una presa di posizione chiara e definitiva contro ogni forma di razzismo e di antisemitismo in nome dei valori di tolleranza della nostra civiltà giudaico-cristiana. La stessa cosa faccia l’Italia che presiede in questo momento l’Unione Europea. E che Dio perdoni coloro i quali non sanno quello che fanno”
Commento a tanto scialo di oratoria sacra? A questi acuti da vecchio profeta biblico? Non è facile resistere alla tentazione di “sbuffare” un “ma vaffa….”. Una pausa, forse, ci restituirà un briciolo di sorridente disponibilità al mite sadismo ludico: il testo ne offre tutti gli appigli possibili. Un uomo che non perde occasione di recitare il suo credo demo-liberale; un ex direttore di giornale di alta diffusione e di buon livello, un intellettuale attento ai sacri testi dei diritti di libertà (di azione, di pensiero, di parola) nega a un’istituzione come la Ue il diritto di sondare l’opinione pubblica su un tema così delicato e di perenne attualità. Un tale predicatore di libera iniziativa degrada l’esito di una liberissima indagine a pregiudizio razzistico: non è il colmo della comicità involontaria? Un’iniziativa impeccabile, che dovrebbe, sì allarmare, nei suoi esiti, ma giusto e soltanto per quella maggioranza allarmante. Ad essere coerenti, si dovrebbe lodare questa iniziativa da medico che cerca i sintomi di una malattia non certo per compiacersene, ma, semmai, per sbarrarle il passo nei possibili modi della prevenzione. Il linguaggio esaltato, le scomposte reazioni isteriche montano soltanto la goffaggine delle teste blindate.
Qui, se c’è un movente remoto (e nascosto) della vicenda “santo Israele”, lo si deve cercare nell’orrore della Shoah: quella maledetta infamia manda ancora in giro certi suoi effetti. Gli Europei se ne sentono corresponsabili (in varia misura) per non averla impedita. E i superstiti di quei campi infernali, che hanno chiesto e ottenuto risarcimenti ponderosi in denaro, dagli spalti del santo Israele ne pretendono altri: di simpatia incondizionata, di complicità, di immunità per qualunque loro prepotenza e pretesa. E non parliamo, qui, degli ortodossi biblici, che sognano ancora la “Terra promessa”, strappandola, ai legittimi occupanti arabi. Ma su questo conviene rinviare l’eventuale riflessione.
PASQUALE LICCIARDELLO

domenica 9 gennaio 2011

Premio cafone dell'anno 2010

Dobbiamo ricrederci! Non è affatto vero che berlusconi non goda di immensa fama fuori dai confini italiani. Non ci riferiamo, è ovvio, ai poster che infestano la Libia e che lo vedono abbracciato all'amico gheddafi, ma ad un paese libero e democratico come la Finlandia dove il nostro (vostro, loro, di chi!!??) ha ottenuto un ambito premio sbaragliando tutti gli altri concorrenti. I lettori del principale quotidiano finlandese, ”Helsingin Sanomat”, lo hanno infatti eletto "Cafone dell'anno 2010". Ad maiora!

martedì 4 gennaio 2011

L'uovo di Colombo


E' inutile negarlo la mente di berlusconi ha un qualcosa di sorprendente! Ha provato di tutto per fermare i processi a suo carico: leggi ad personam, indulti, amnistie ed amnesie, lodi di vario tipo, "avvicinamenti" di testimoni ma ... c'era sempre un giudice a Berlino (e a volte anche a Milano) che, con sprezzo del pericolo, sfuggiva al controllo. Allora che fare? Semplice bastava mettere i tribunali in condizione di non operare! Riduzione degli organici e dei finanziamenti! Ma anche questo non sempre aveva apportato i risultati voluti ed allora...


"Portategli il discorso su argomenti,
che richiedano acume e sottigliezza,
vi saprà sciogliere il nodo gordiano
di tutto, come la (sua?) giarrettiera"
(William Shakespeare, Enrico V, Atto primo, scena prima. 45-47)


La soluzione:


Dal primo gennaio è stata interrotta l'assistenza tecnica informatica agli uffici giudiziari. Niente computer, niente processi. Elementary, my dear Watson!