mercoledì 6 luglio 2011

Si fa presto a dire democrazia

Stiamo per dare spazio a uno sfogo personale, un argomento (o tentazione che dir si voglia) di sicuro dileggio per (del resto improbabili) “lettori di vita”. Cioè, di quella sconfinata platea antropologica particolarmente vasta nella nostra stupenda Italia, di navigati, di persone che sanno “come va il mondo”, che non si stupiscono di nulla perché il mondo è sempre andato avanti così. Così, come? Ma che domanda, lettoruccio di smarrita minoranza superstite! Eccoti il come: con inganni, imbrogli, furberie, violenze di rabbia privata e di congreghe mafiose, di strutturate lobby e di segnalatori e segnalati per posti e carriere. Così il mondo antropico, dicono, è sempre andato avanti, e non c’è barba di controllo legale impersonato in tecnici di specchiata onestà e sapienza specifica che abbia potuto estirpare l’ubertosa foresta di piante carnivore in sembianze di morfologia bipede. E quindi, che scrivi a fare? Quali proteste pensi di inventare, quale esito pragmatico te ne proponi o candidamente sogni? Confessiamo: niente, nessun esito, potrei giurarlo se ne valesse la pena, se il giuramento (tanto sputtanato in basso e in alto loco) conservasse ancora uno spicchio d'innocenza spendibile in un, sia pur parziale, riscatto dall’inquinamento dilagante nella nostra società pluri-malata. "Niente" è risposta incautamente battezzata nel ridicolo? E sia come che sia: il preambolo s’è slargato abbastanza e i miei tre lettori fremono d’impazienza nell’attesa delle possibili novità, di sostanza o di stile, che si aspettano da me (bontà loro).
         Libertà, quanti delitti in tuo nome! L’antica voce di nobile protesta si è riascoltata infinite volte nella funesta carneficina non-stop chiamata storia. Definizione esagerata? Ma c’è stato mai, nell’indolenza superveloce del pianeta che ci fa nascere e morire con divina indifferenza, un solo minuto privo e vuoto di uccisioni più o meno rabescate di ingegnose torture, non importa di quale finalità e giustificazione? Ma non è di questo genere di estremismo liquidatorio (per millenni motivato dalla scoperta pratica antropofagica poi drappezzata in sonore maiuscole battezzate ideologia e filosofia) che intendiamo occuparci, sì di una pratica criminale che altrove, in un accenno laterale, abbiamo definito degli “uccisori lenti”. Chi sono? Presto detto: sono i corrotti. Di ogni statura e impostura, ma superlativamente, quelli che ingoiano bocconi a rischio di strozzatura. Il nesso con l’omicidio non si vede? Verissimo: la vita convenzionale non lo vede, miniaturizzato com’è, o coperto da legittimazioni speciose. Ma non ci vuole tanto a mettere una lente d’ingrandimento davanti all’occhio pigro della mente. O tirare via i drappi camuffanti. I grandi corrotti e corruttori manipolano milioni e miliardi (in euro), i più modesti, di gola o di coraggio, si contentano di quote meno scampananti. Questo denaro sfugge, in tutto o in parte, al controllo dello Stato, manca al fisco. Tale lacuna viene colmata da quel Leviathan hobbesiano che è lo Stato (non sempre forte con i grossi barracuda e spesso maramaldo con i deboli) infierendo su chi non può sfuggire alle fauci dell’orco tassatore: i milioni e milioni di infelici impotenti, pubblici impiegati e paria pensionati, che abbiamo la “trattenuta alla fonte”. È vero che fra questi impotenti ci sono anche fior di felici con pingui stipendi e pensioni e redditi finanziari, ma non è questa brava gente dall’ingordigia bulimica a muovere i nostri tasti verso il rispetto. Questi super manager di imprese private o di pubbliche agenzie di varia funzionalità e fantasia, per quali e quanti prelievi fiscali subiscano non sono che una componente del male radicale che stiamo “celebrando”.
         Fin qui ripetiamo cose già dette in altre parole accenti e sentimenti: oggi vogliamo esprimere, invece, la sorpresa (e sia pure relativa) per la vastità estensione e localizzazione totalitaria della peste corruzione. A sfogliare quotidiani o rivedere servizi in tv e in rete si constata che sono pochi i giorni dell’anno in cui non venga scoperto un nuovo corruttore supercorrotto. Il signor Bisignani e i suoi complici attivi e passivi sono soltanto il provvisorio ultimo caso della sterminata serie-rete che attossica la pretenziosa democrazia italiana, con nomi illustri, personaggi importanti, soprattutto mai sospettati perché giudicati insospettabili. Sorpresa, perfino incredulità, quando scoppia un nuovo affaire, e salta fuori un altro nome di peso sociale o istituzionale. Sorprende, poi, come questi precettori del malaffare rispondano a tanti nomi largamente circolanti nella malatissima politica italiana. Ma la sorpresa dura poco: basta, a spegnerla, un minuetto con la memoria recente e remota. Ed ecco salire alla ribalta nomi di uomini e donne, e più di queste, in certi casi, che di quelli. Sono personaggi che hanno avuto bisogno di un Bisignani o altro ed equivalente consigliere-protettore occulto per “arrivare” e contare. Il moltiplicarsi del numero degli scoperti (benedette intercettzioni!) fa perfino sospettare che, almeno nell’ambito dell’attuale sbracata                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                  maggioranza arlecchina, quasi nessuno sfugga alla “raccomandazione assistita”, specialmente in ambito “bel sesso”. Ma anche di là dalla politica non c’è campo di azione dove girano miliardi che non sia stato ferito dalla peste corruttiva: calcio, in primis: di ogni livello, ma, con elezione ovvia, della massima serie, con annesso mondo delle scommesse, diretto motore della corruttela più spudorata e miliardaria. Corse, poi, ciclistiche, e motociclistiche, automobilistiche e nautiche. Con varia casistica. Ma resta la politica la zona operativa dove la cancrena corruttiva divora maggiormente l’innocenza della società civile. Non senza (bisogna aggiungere) il supporto di certo spudorato giornalismo ruffiano, cartaceo e televisivo, inquinato dal foraggio di un padrone industriale o (e soprattutto) di un patronato politico di ramificata esuberanza faccendiera.        Un aspetto lugubremente disgustoso del contesto evasione fiscale-repressione è la ferocia esercitata dalle agenzie di contrasto, Equitalia in testa, contro i piccoli evasori, i poveri cristi e maddalene, così spesso colpevoli soltanto di ignoranza o insolvibilità materiale o, ancora, vittime di errori commessi da impiegati e dirigenti “distratti”. Si arriva al pignoramento delle modeste dimore, al taglio di pensioni già misere e miserrime. And so on, a gloria della crudeltà e a dileggio della troppo cantata e sventolata democrazia, ben poco onorata nell’azione professionale di individui e collettività istituzionali. Una puntata del format tv Mi manda Rai Tre si è occupata, non molto tempo fa, dell’argomento: vi abbiamo visto piangere vecchiette e vecchi con pensioni tra i 500 e i 250 euro mensili, condannati a rimborsare somme incredibili percepite indebitamente (dicevano i lupi del controllo) per errori dell’ente erogatore, cioè dei suoi dipendenti. La cosa era tanto triste che il conduttore decise un minuto di silenzio in omaggio a queste vittime di un sadismo cieco e bastardo, anch’esso colorato di democrazia. E resta tanto grave che si è cercato, tra maggio e giugno, di cancellare gli aspetti più odiosi di questo diritto-scandalo che è il fisco italiano. Che paghino i lupeschi evasori, che si contrastino i paradisi fiscali, che si raffinino tecniche e impegni contro questi tirannosauri dei poveri e dei semipoveri: tutto bene. Ma cancellare debiti dovuti a errori degli erogatori, impinguare le pensioni-vergogna fino alla garanzia di un’esistenza magari povera, ma che sia anche dignitosa: tutto questo sarebbe assai meglio di un rigore cieco, e pertanto sadico. Sarebbe, cioè, degno di una democrazia di fatti e non di sole parole e turni elettorali.
         Ma gustiamoci, a conclusione, qualche scampolo di citazioni testuali divertenti. Ecco Luigi Bisignani che gioca la carta della diminutio  davanti al magistrato: “Io sono una persona perbene, do solo consigli”. Consigli tanto robusti da decidere la sorte di politici e manager pubblici e privati. Ma il maneggione non rinuncia al suo understatement: purtroppo, svestito dalle sue testuali dichiarazioni catturate dalle registrazioni. Proponiamo  alcuni pareri (raramente sballati, e forse quasi mai) su personaggi pubblici. Ecco il Michele Santoro in versione Bisignani: “Santoro è il più grande regalo che Berlusconi ha perché ogni volta non sposta niente, anzi. E’ un errore clamoroso mandarlo via”. Aveva torto? Non sbaglia neanche su Masi, ex direttore generale della Rai: “A Berlusconi l’ho detto: presidente fa un errore a mettere Masi, Competente nelle istituzioni, sapevo che lì avrebbe fatto un disastro”. Previsione avverata. Un signor Papa sogna i nobili banchi di Montecitorio e chiede a don Luigi di parlare a chi di dovere. Bisignani alza il telefono: “Io parlai con Verdini. Lui, come tutti, mi disse che avvocati e magistrati ben vengano”. Detto, fatto. L’inchiesta su Bisignani nasce quando un imprenditore di sistemi frenanti, socio dello stesso Bisignani, decide di denunciare l’a.d. di Trenitalia Mauro Moretti che non lo fa lavorare, ma viene bloccato da Alfonso Papa, ormai deputato del Pdl, “che in questo modo voleva acquisire meriti con il manager.” Moretti “è accusato di corruzione, concussione ed estorsione” dai pm Woodcock e Curcio, che ne chiedono l’arresto alla Camera. Bisignani e Papa sono anche sospettati di far parte di un gruppo di potere occulto”, una nuova P2, a cui, però, dopo la replica targata P3, tocca il numero 4. Gruppo, ovviamente, “diretto a interferire sull’esercizio di funzioni di organi costituzionali, amministrazioni ed enti pubblici” In violazione della legge del 1982 (diretta filiazione dello scandalo “Loggia P2”) che vieta le associazioni segrete. Come in cento casi simili, il solito Berlù, premier per grazia dei soliti “pargoli” poco evangelici e molto avidi, dichiara: “è un’indagine sul nulla”. Mentre il Corsera (18 giugno) dedica al caso un’intera pagina densa di dati, nomi, grafici e quant’altro.
L’intreccio criminale ruotante sull’asse Bisignani è tanto folto da escludere ogni velleità di completezza da questa “testimonianza”. Altri argomenti premono: di prevalente peso e attualità, come l’evento Tav nel folto dei suoi diversi aspetti e implicazioni. Tra quelli e queste spicca l’ostilità della Val di Susa al magno business straccia-natura: quei valligiani difendono l’ambiente dall’ingordigia cieca che bada soltanto alla carne di Mammona. Tra i contestatori, come in altre occasioni altrettanto “pesanti”, si sono inseriti i cosiddetti black bloc, nemici della globalizzazione e difensori dell’ambiente, ma per i giornali “dabbene”, che li assimilano a delinquenti tout court, sono soltanto dei violenti fuori della storia e del progresso. Un titolone del Corsera (4 luglio) suona la campana moderata di sempre: Assalto alla Tav, 188 agenti feriti. I black bloc contro il cantiere. Napolitano: violenza eversiva. E via su questo tono. Il presupposto tacito e ovvio è il solito: violenza è soltanto la reazione dei contestatori, dei nemici dello scempio, che tirano sassi e resistono agli agenti inviati a bloccarne gli ardori. Sintomatico, fino all’ingenuità autolesionista, quel panciuto numero di agenti feriti, e nessun manifestante leso fosse pure di un’unghia. Non vale che me li segnali il testo quando si sbandiera quel numerone magnetico. Napolitano definisce violenza eversiva la protesta, e va bene così: il ruolo ha certi costi. Ai quali non è sottoposto, però, un Bersani, che avrebbe potuto sfumare e circostanziare la sua frettolosa condanna. Quanto alle “polemiche nella sinistra radicale”, uomini siamo, non dèi. E per quanto ci riguarda, stiamo con Grillo, che promuove a eroi quei generosi contestatori di una bastarda concezione dell’esistenza umana.         Questa sorta di pandemia che fa strage di quegli stessi valori che le democrazie vanno celebrando nei sermoni politici,  cavandosela, nei fatti, con fettine di welfare più o meno vicine alla disperazione. E sia detto con memoria delle differenze fra nazione e nazione, in Europa e nel vasto Occidente dogmaticamente liberista e globalizzato, tutto mercato e concorrenza, crescita e pil, agenzie di rating  ed equilibrismi destinati a colpire le prede più facili, operai, pensionati (come sta accadendo in questi giorni), mentre l’immoralità più spudorata continua a elargire milioni a categorie blindate nel privilegio, il tutto secondo “regole” inventate dagli stessi privilegiati. E poi i violenti sono i black bloc.
         Pasquale  Licciardello

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