Fra le parole equivoche dal trionfo assicurato Libertà brilla come un astro beffardo: a voler semplificare, si potrebbe ripetere la vecchia massima: tot capita, tot sententiae. Se si vuole indulgere a un non peregrino realismo, basterà restringere quel tot nel concetto prossimale di gruppo: tante libertà, quanti gruppi. Il che, peraltro, non esclude i singoli, ma sottace che certi individui (di grosso calibro) fanno “gruppo” da sé. Il Catone dantesco (cui allude il titolo) si riferisce a una bene intesa libertà politica: “Libertà va cercando ch’è sì cara / come sa chi per lei vita rifiuta”. In questi strani giorni di gennaio 2011 in discesa piroetta e tuona nei cieli alciònei un concetto originale della versatile dea. Tanto originale da sprofondare in una un’assunzione viscerale della scintillante nozione. A vero dire, sono ben tre lustri che ci impigliamo ad ogni passo della vita pubblica in questo assunto libertario sui generis: in questi chiari di luna (metaforici e astronomici: dopo aver seguito fin dal suo “primo quarto” le vicende in corso, la pimpante Diana è ai primi gradini della sua discesa) vi inciampiamo ad ogni piè sospinto.
La tempesta scatenata dalla Giustizia sul cranio ripopolato del premier sciupafemmine ha scatenato a sua volta, nell’entourage del Cavaliere, una gara frenetica a chi le spara più grosse. Naturalmente, il primato spetta sempre a lui, l’inarrivabile spara-balle che ne versa fiotti continui. Ma i suoi complici saputelli, i suoi maggiordomi più e meno impresentabili, i lacchè- “comandi, patrone”, i tecnici del giure mobilitati a sua spinosa tutela, le gentili promosse politiche di tutti i livelli (dai consigli provinciali ai ministeri) si stanno prodigando a corpo morto (anzi, frenetico) per impinguare la connotazione teorica e pragmatica della divina Libertà di conferme iperboliche. Ed è uno spasso vedere e ascoltare, nei troppi talk show disseminati nel nostro tempo sempre più incalzato (la “l” non è un lapsus) da una marcia varietà di eventi, dai più comici ai più tragici, subito versati nei teleschermi.
Chi ha seguito l’affaire sa che sull’icona del Cavaliere sventola una massa di evidenze schiaccianti: tracce di versamenti, nomi di minorenni e disinibite maggiorenni, confidenze telefoniche fra protagoniste di questa “bella vita”, e via sommando. Mezzo di cattura del materiale scottante, le intercettazioni telefoniche, scattate, in parte, dall'input di fatti palesi: per esempio, l’intervento presso la questura di Roma della Minetti sciupa-letti, battezzata Nicole, nell’occasione del fermo della precoce Ruby in fuga da un Centro d’accoglienza siciliano. Le telefonate tra le frequentatrici delle feste arcoriane hanno fornito ai giudici ghiotti dettagli in quantità alluvionali. Solo un cretino potrebbe dubitare della variegata molteplicità dei fatti veicolati da quegli sfoghi sbavanti delle vogliose fanciulle così generosamente gratificate dal munifico mandrillo dal cuore tenero. Eppure di negatori dell’evidenza, inventori di scenari fantasiosi, azzeccagarbugli et similia ce n’è a iosa. A ragion veduta abbiamo scritto “negatori” e non cretini, perché chi nega, chi si arrampica sugli specchi (così scivolosi!) non può non essere un cretino doc, anche se ne assume il ruolo obtorto collo. Di solito è gente disperata per la costrizione debitrice che la impegna: come non difendere un Benefattore dalla borsa facile e dalle cariche pubbliche pure? E allora ecco lo spettacolo di clownesca abbondanza messo in campo dal deputato Stracquadanio in uno di questi talk show mattutini (Agorà). Il quale, volendo ridurre tutto quel monte di fattuali evidenze scomode a pure ipotesi e impressioni degli accusatori presenti e lontani, e sparando altre sottigliezze da causidico sofistico maldestro, provocò la sorridente e irridente replica di un giornalista del Fatto quotidiano. Fu troppo per quel candore da mammoletta, e Stracquà stracquò, guizzando fuori dalla grazia divina (o diabolica) con tale stravolgimento dei tratti fisiognomici da tradire una mal coperta brama assassina, dolente di restare inattivabile, cioè confinata a un isterico verbalismo irrisorio. Con lauto spasso di quel “provocatore” al servizio dell’evidenza (e della connessa “memoria storica”) sull’incorreggibile Primo ministro e primatista di scandali seriali. Naturalmente, il campionario potenziale di simili recite riempirebbe il palinsesto di mille tivvù, e fin troppe pagine di un volume ad hoc, mostrandone l’esilarante potenziale comico. Come, in piccolo, già si gode in format tipo Parla con me e in “Copertine”di Ballarò , vanto dell’inarrivabile Crozza.
Il modello per questi zelatori allo sbaraglio è sempre, s’intende, il padrone e patron silvestre. Il quale, negando ogni addebito criminale, rivendica il pieno diritto alla più ispirata privacy e, come logica coda polemica auto-difensiva, attacca la solita Magistratura persecutrice, che stavolta avrebbe superato ogni limite e cautela, e starebbe cercando di distruggerlo politicamente (ma non soltanto): una musica vecchia di tre lustri, com’è largamente noto in tutto lo Stivale, anzi in tutto l’orbe politico planetario. Dove non manca, anzi ondeggia davanti alle facce dei pm milanesi al soffio dell’indignazione meglio recitata, la sub-accusa di attacco alle istituzioni, e dunque di sacrilegio eversivo. E qui erompe il suo originale concetto di libertà: fare tutto quello che mi pare e piace, senza limiti, senza finti pudori morali e politici. E senza che nessuno, giudici in primis, me ne rompa le scatole (e qualche altro annesso e connesso). Così il Gruppo targato Berlusconi denuncia, insieme alla trilustre persecuzione del piccolo zar in pectore e patron dal cuore d’oro, un crimine politico-istituzionale, una minaccia alla democrazia.
Si può evitare, a questo punto, un florilegio delle dichiarazioni ed esternazioni sgorgate e che continuano a sgorgare dalle feraci bocche del loquacissimo gruppo? Non si può. Eccone, dunque, un ristretto campionario in ordine sparso, cominciando dal Capo. Ai vari Casini ed avversari meno rigorosi che gli consigliano le dimissioni, il Berlù, reduce da un incontro in Quirinale, risponde, quasi allegro, con “un sorriso degno di un consumato attore”: “Sono sereno, assolutamente, mi sto divertendo. Dimettermi? Ma siete matti?”. E aggiunge, in potenziale versione porno: “meglio che non faccio un gestaccio in pubblico!”. Quel covone di accuse documentate (concussione, istigazione alla prostituzione di minorenne, eccetera)? Il Cavaliere glissa di gesti e rassicura i trepidanti “commessi” e soci politici: “Si tratta di un processo mediatico e politico. Non ho commesso nessun reato. Quello che sta accadendo è uno scandalo, una costruzione mediatica, si tratta di uno spionaggio continuo”. Tanto più grave in quanto ha “tallonato” anche i suoi incontri politici, per esempio,“spiando” la sua casa “mentre c’era un vertice internazionale, mentre ospitavo Putin”. Forse hanno intercettato anche lui in persona, “in modo illegale”. E dunque, siamo di fronte ad “una offesa alla democrazia”. Chi può negare che ci siano state “gravissime violazioni di legge e dei principi costituzionali” a carico di quei persecutori maniacali che disonorano (sottinteso) la “Procura di Milano. Che non ha assolutamente la competenza su questo caso, che è un caso che più che giudiziario è mediatico”. Neanche dopo questa gragnuola cacofonica di “che” pronome relativo si placa la loquacità spavalda del Cavaliere-tutto dire. Che alterna il piglio serio elle battute, mimando un buonumore da palcoscenico: “Se avessi fatto festini con 24 ragazze sarei meglio di Superman”. E non gli si parli di donne mercenarie: lui non ha “mai pagato per prestazioni sessuali”. E quelle ragazze ospiti sono soltanto delle beneficate: “ho solo dato disponibilità a chi aveva grande bisogno”: pieno uso di alloggi e danaro, spassi e buontempo. Che c’è di male? Un cuore d’oro, un distillato di altruistico disinteresse da beatificazione. Concussione? “Il reato di concussione è inesistente dal momento che non c’è “concusso” (allusione al funzionario di polizia che ha negato di sentirsi “concusso”). Ancora con questo ritornello delle dimissioni? Si suggerisca a “qualcun altro. Io sono la persona offesa, con me si offende la democrazia”. L’identificazione sottesa con la Democrazia è, forse, la migliore scampanata a cantare il largo concetto di libertà che riscalda il cuore del versatile premier.
Al trascorrere dei giorni, l’ira “scenografica” del Berlù, lungi dal placarsi, svampa vieppiù, e si fa temeraria: se tre giorni fa (18. O1) s’accontentava di frasi come quelle riportate sopra, ieri l’altro (19. 01) minacciava punizioni per i pm felloni. Ecco qualche scampolo del suo video-messaggio ai fedeli collaboratori (ed elettori), e di altre occasioni esternanti: “Vi debbo raccontare delle incredibili, impressionanti e gravissime violazioni commesse dai magistrati di Milano, che hanno calpestato le leggi per fini politici”. Hanno sottoposto la mia casa “a un continuo monitoraggio dal gennaio 2010 per controllare tutte le persone che entravano e uscivano”; per colmo, usando tecniche sofisticate “come contro la mafia o la camorra”. E qui, la voce dal sen fuggita del Cavaliere sveglia la nostra memoria sulle rivelazioni dei pentiti (da Spatuzza a Massimo Ciancimino e ai nuovi acquisti) che legano il Cavaliere e la sua “anima nera”, senatore Dell’Utri (due condanne per mafia), a Cosa Nostra siciliana degli anni di piombo stragista, 1992.93. Imperterrito, rincalza l’insigne Offeso: lui in quella sua casa ha fatto politica: “da sempre svolgo funzioni di governo e di parlamentare”. Dunque, quei persecutori dei pm hanno commesso reiterata “violazione contro elementari principi costituzionali”. Violazione legata anche al silenzio sulle indagini in corso dal gennaio 2010, contro la norma di legge e costituzionale, che obbligherebbe gli indagatori a informare il Tribunale dei ministri “entro 15 giorni dall’inizio delle indagini”. Conclusione, “occorre punire” questi pm arruffoni. Magari (in mancanza di un meglio in pectore non pronunciabile) con una forte reazione della coesa maggioranza nel provare tutti i mezzi di contrasto disponibili a norma di legge. Intanto incassa la vittoria alla Camera sulla Giustizia col maggioritario ok sulla relazione proposta dal suo fedele ministro riconoscente, Angelino Alfano.
Non vorrebbe, il premier, essere frainteso: lui smania dalla voglia di presentarsi ai giudici, a godere lo sfarinamento delle loro balorde accuse. Ma come fa, un galantuomo, a presentarsi davanti a personaggi abusivi, ignoranti fino al punto da non capire la loro incompetenza territoriale e politica? Se la godrebbe, lui, la faccia allibita dei suoi carnefici, alla lettura delle auto-smentite rubyane (da Ruby rubacuori, ex minorenne, ben unta da olio santo in euro 5000 contanti) dei presunti rapporti carnali con nonno Silvio, che, in realtà e verità, non l’ha “mai toccata”! Smentite raccolte da un gentiluomo taroccato, il serafico Signorini Alfonso, per Canale 5 (che per questa storica impresa s’è guadagnato, a condimento della riconoscenza pelosa del Padrone, una beffarda stroncatura di Aldo Grasso, sul Corsera di oggi, 21 gennaio). Ritrattazioni disseminate ai quattro venti mediatici dal plotone arcoriano che controlla l’ex minorenne, convertita alla menzogna auto-denigratoria dal suo nuovo zelo scagionante: “Mi sono inventata una doppia vita” . Più arduo l’assalto alle telefoniche esternazioni delle maggiorenni più o meno escort, ripresentate ad Annozero (20, 01) senza risparmio di sequenze e confidenze su fatti sorprendenti persino per le loro sensibilità rotte a voluttà variamente disinibite. Il premier che tocca il nudo delle girls nelle parti intime, il Cavaliere che si offre come lo fece mammisa agli sguardi stupiti delle femminili presenze generosamente pagate, il numero Uno dell’Esecutivo che passa “alla stanzetta” del bunga bunga a consumarvi cinque pasti consecutivi (non ne occorrono 20, Cavaliere, per promuoversi a Superman), e via salendo verso le impegnative vette dei primati invidiabili. A proposito: la bella fanciulla che confidava queste meraviglie all’amica s’è dimenticata di precisare gli intervalli di fisiologico riposo tra un pasto e l’altro. O forse era sottinteso che il Casanova ignaro di stress non ha avuto bisogno di quelle pause? C’è, forse, puzza (anzi, odore) di viagra? Piccoli misteri che accompagneranno i nostri sogni di vecchi esclusi da tanto bene.
Il quale (bene) ha trasformato la devota Santanché in un’ossessa aggressiva, che ha sfidato Santoro con incessanti e puntuali incursioni sugli interventi altrui, e infine lo ha elogiato con questo complimento sparatogli faccia a faccia a brevissima distanza di pelli: “Questa trasmissione, non voglio usare un termine pesante, fa schifo”. Testuale. Alla faccia della leggerezza. Sui comportamenti dei fedelissimi arcoriani bisognerà divertirsi in un discorso a parte. Per ora ci basti la sorpresa per la pazienza francescana di Michele. Troppa, per un conduttore che avrebbe il potere e il dovere di fermare le continue sovrapposizioni consumate dalla Daniela furens, da perfetta Civitota in pretura (e peggio) sugli interventi altrui, si trattasse di giornalisti del Corsera o di Repubblica, di Ruotolo o della graziosa biondina che intervista persone fra il pubblico presente. Per tacere dell’onesto Travaglio, bestia nera dei Belpietro come delle Santanché. Un brutto spettacolo, questa puntata, che ha lasciato la bocca amara per questa remissività santoriana. Bocca che s’è raddolcita con le sempre deliziose vignette di Vauro, che non sbaglia un tiro di freccia nei suoi bersagli. Quanto alla signora qui onorata, bisogna aggiungere che, intervenuta, in smagliante eleganza, anche nella trasmissione Agorà, ha ripreso la recita dell’intolleranza scattante di ieri sera. Ma qui ha trovato pane per i suoi denti nella deputata Pd, che ne spezzava con grinta le petulanze cafonesche. Capita l’aria che tirava, la signora ha tolto il disturbo assai presto. S’intende, dopo avere gratificato quest’altro conduttore di un altro sonoro insulto. E meno male. Ci bastava già il solito Mughini con la sua enfasi corporale (larghe braccia e lunghe gambe in moto perpetuo) a integrazione spaziale di quella orale (che non scherza). A onor del vero, però, critico schietto e severo verso la sottosegretaria-peste fuggente.
Pasquale Licciardello
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