6 marzo. Il Corriere della sera stamane sfoggia un Gheddafi in doppia versione: quella grafica con la vignetta di Giannelli, sempre incisiva, e il solito titolone in neretto di questi giorni al centro pagina. Giannelli presenta il ritratto a mezzo busto del Raìs in pompa magna militare con cappello e il petto, lato cuore, coperto da nove medaglie “originali”: sono nove teschietti, con tanto di cavità oculari nere su bianco. La bocca incappellata del Colonnello mostra denti-zanne, eccetera. Sopra si stende il titolo grande (Gheddafi fa avanzare i tank) con i suoi “paggetti”: Cannonate a Zawiya. “Ci sono decine di morti” Gli insorti verso Sirte (occhiello). Violento attacco alla città dei ribelli. Ma perde terreno a est (catenaccio). I servizi, da pg 2 a pg 6. Quello che prevale nella media di questi servizi è l’incertezza delle notizie dal terreno degli scontri fra insorti e lealisti. Ma una cosa è chiara, l’inasprirsi del conflitto. L’esito, invece, degli spari, di terra e dal cielo, è altalenante problematico, qua prevale la rivolta più o meno compatta, là il regime, ancora ben protetto dai fedelissimi. Ci si sbizzarrisce, anche, sul tipo di armi usate, e un intero articolo privilegia fin dal titolo quel tipo di Toyota Hillux detto in gergo pick-up, molto utilizzato nelle guerre del deserto: La strategia del Raìss e i pick-up simbolo della guerra nel deserto. Massimo Gaggi si occupa della cosiddetta “guerra parallela degli intellettuali”: che, com’è ovvio, si dividono fra gli opposti schieramenti, ma, in occidente, con massiccia prevalenza dei simpatizzanti con la rivolta o rivoluzione che si preferisca chiamarla. Invece il filosofo Bernard-Henri Lévy ha studiato Sei mosse possibili per aiutare i libici. Il servizio “filosofico” occupa l’intera 4a pagina, ornata di giga-titoli mini-titoli e gadget vari, comprese due grandi foto a colori. Il filosofo ebreo, campione di tutti i movimenti libertari (tranne quello dei palestinesi che osano disturbare l’intoccabile Israele) ci fa sapere come sia stato accolto con gratitudine dal Consiglio rivoluzionario provvisorio, fino a fargli “l’onore” di “prendervi la parola”. Alla sua domanda cruciale, sull’opportunità di un intervento militare terrestre della Comunità internazionale in loro aiuto, i ribelli rispondono concordi che non è il caso, mentre “tutti sono d’accordo su una serie di richieste semplici, chiare, alla portata delle grandi democrazie”. La “proposta in 6 punti” suona questa speranza: 1. “No-fly zone” per impedire a Gheddafi “di bombardare terminal petroliferi e civili”. 2.“Raid su scali militari” (come “Sirte e Sebha”) e “sul bunker di Gheddafi a Tripoli”. 3.“Bloccare i sistemi di trasmissione per mandare in crisi la macchina militare”. 4.“Azioni contro quegli Stati [africani] che permettono il traffico di mercenari”. 5.“Aiuti umanitari […] destinati alle città assediate”. 6.“Riconoscere come autorità in Libia il Consiglio nazionale di transizione”. Come programma non c’è male: bisogna vedere se le convinzioni sulle capacità offensive del Raìs onorano la realtà delle cose o le illusioni dei sogni “democratici”. E per non auto-accusarci di pessimismo citiamo un altro articolo (dell’inviato Lorenzo Cremonesi): Bengasi. Allo studio un Parlamento con i rappresentanti di una novantina di tribù. “L’anarchia è dietro l’angolo”. Il primo capoverso snoda questa problematicità eloquente: “Si dicono certi di poter sconfiggere Gheddafi con le loro sole forze, ma nel frattempo si appellano alla protezione aerea internazionale. Garantiscono che si riuniranno a Tripoli ‘entro pochi giorni’ per celebrare la vittoria, però intanto si sono decisi a organizzare un governo ad interim nella capitale delle province orientali. Non perdono occasione per rilanciare il loro credo in uno Stato democratico moderno e tuttavia sono costretti a fare i conti con le antiche tradizioni tribali, in cui lo stesso Gheddafi è profondamente radicato”.
7 Marzo. Il Corsera odierno reca due testi di peso sulla crisi libica, un’intervista di Laurent Valdiguiè al Colonnello Gheddafi e un editoriale di Angelo Panebianco: due punti di vista ovviamente divergenti, ma perciò anche complementari. Titolo dell’intervista: Gheddafi: senza di me l’Europa sarà invasa. Nell’occhiello: “Ricco? Non ho un dinaro”. Titolo dell’editoriale: “L’Italia e il futuro della Libia” Tre scenari per una crisi.
Nell’intervista Gheddafi sfoggia tutta la sua capacità istrionico-dialettica, agitando, senza nominarle, le sue convinzioni (o illusioni ideologiche) e dando l’impressione di giocare col suo intervistatore. Quando il Raìs dice che non ha un dinaro, non intende negare le sue ricchezze, soltanto, le “trasferisce” nel Popolo. Un “soltanto” madornale? Si capisce: ma il suggerimento insito nel “madornale” è il perno dell’ideologia, cioè di questa convinzione: Io sono il Popolo. O, ugualmente, il Popolo si riconosce in me, mi sente come la sintesi della sua pluralità empirica. I beni, i denari, le ricchezze minerarie che io gestisco con, e tramite, i miei tecnici pe- troliferi e collaboratori manageriali appartengono al Popolo. E’ lo spirito della Jamairiya. La mia famiglia, i miei figli spendono e spandano somme da nababbi viziosi? La stampa occidentale esagera per calunniarci, ma anche quel tanto di esoso che può “sfuggire” ai miei familiari è speso per servire il popolo: lo svago dei miei figli è la condizione di un buon esito dei loro contatti esteri, vero motore dei loro viaggi e competente uso del lusso. Le inchieste di Gian Antonio Stella sulle ostentazioni miliardarie dei miei familiari all’estero? L’ho appena chiarito: esagerazioni maliziose, da pregiudizio ostile. Questi, o pressappoco, i pensieri inespressi e soltanto “allusi” che sembra lecito attribuire al Raìs. Insomma, siamo a un fenomeno che la Storia universale conosce da millenni: il capo carismatico che odora di sacralità intangibile.
Il Corsera odierno, 10 marzo, spiega una (presunta) mossa del Colonnello libico, che mentre i suoi “emissari trattano con l’Europa contemporaneamente bombarda i depositi di petrolio”. Forse la mossa merita piuttosto il nome “burla”. Come emergerebbe da questa precisazione: “gli inviati del Raìs si sono spostati a bordo di jet privati alimentando così le voci di una fuga di Gheddafi”(sic). “Taglia sul capo dei ribelli”: gesto scontato. Il sommarietto gonfia il pancino con quest’ultima terribile notizia: “Il Consiglio supremo di difesa riunito al Quirinale”. Clangore di armi in vista? Niente paura, la fiera decisione suona questa inerme fanfara: “L’Italia è pronta ad attuare le decisioni dell’Onu e della Nato”. Una notizia “minore” mostra questa scaglia di evidenza su homo necans, sempre pronto a usare gli artigli molati e accesi dal fanatismo religioso: “In Egitto strage di copti”. Ad maiora, gloria della Fede. Un altro articolo applica la “legge del contrappasso” a Gheddafi, che sarebbe “costretto a chiedere aiuto ai ‘fratelli arabi’ troppo a lungo umiliati, traditi, insultati” (Antonio Ferrari, I “fratelli arabi” tra silenzi e vecchi rancori. E siamo all’ennesimo scambio di vaghe dicerie con verità dimostrate.
11 marzo. Corsera odierno: un urlo paralizzerà Gheddafi? Ecco l’urlo: Sarkozy incalza la Ue: bombardare Gheddafi. Il presidente della douce france propone l’amaro esplosivo per il bieco diavolaccio africano: via alle bombe. Ma gli altri soci non mangiano di questo arrosto selvatico. Lui chiede “raid mirati sul Paese”, che “potrebbero colpire anche Gheddafi nel suo bunker”.
12 marzo. I quotidiani di oggi, ovviamente, dedicano il primato informativo all’orrore dello spropositato tsunami che ha distrutto mezzo Giappone: molte pagine del Corsera sono piene di servizi su quegli effetti disastrosi e stragisti, compresi i guasti alla centrale nucleare che stanno diffondendo radiazioni nell’etere. Ma la tragedia libica occupa pur sempre varie pagine, per il corretto secondo livello di attenzione massmediatica. E poiché resta l’argomento monotematico di questi appunti, eccoci a prelevare le notizie più brucianti del contesto. Notizie che, purtroppo, confortano le nostre previsioni sul Gheddafi osso duro: in sintesi, aerei e truppe governativi hanno liberate varie zone più o meno importanti e costretti a fughe più o meno precipitose le milizie “democratiche” delle aree “liberate”. Qualche passo dei servizi alle pagine 12-14 basterà a dare il polso della situazione. La prima, incoronata di titoloni minacciosi, documenta la perdurante inerzia loquace degli organi sovrannazionali e dei leader dell’Occidente virtuoso e democratico, nonché fratello zelante, in verbis, dei popoli in difficoltà che, a rischio vita, “libertà van cercando”. Titolo: L’Europa insiste: “Cacciare Gheddafi”. Un’insistenza che sa di burla involontaria, non meno delle trovate gheddafiane (ma queste ben volontarie). Infatti: la Germania “resta scettica” sui raid. L’Italia ripete la sua disponibilità a seguire gli alleati europei, ma non spinge. Tuona, da Washington, il presidente Usa Barak Obama, ma pateticamente lontano dai fatti: “Il mondo ha l’obbligo di assicurarsi che non si ripetano in Libia i massacri del Ruanda e della Bosnia. Stiamo lentamente stringendo il cappio intorno al colonnello, nessuna opzione è esclusa”. Che bel tuono di parole forti! Ma un cappio verbale non ha mai soffocato nessuno. A quando l’azione? Forse in attesa che si ripetano, magari in edizione ridotta, quei massacri così fieramente (ed eticamente) condannati? Altro leader di gran peso (teorico?), José Manuel Barroso, presidente della Commissione europea, grida da Bruxelles: “Il problema ha un nome: Muammar Gheddafi. E Gheddafi deve andarsene”. Ben detto, signor presidente, ma a questi chiari di luna quel trasloco si rattrappisce in pio desiderio. Terza voce clamante (in deserto?), Herman Van Rompuy, “presidente stabile dell’Unione Europea: “Gheddafi ceda il potere senza indugio”. Ma come fa a non indugiare quel tosto di un Raìs, se le vostre pie intenzioni sono state un solo e prolungato indugio fattuale e un ciarliero spreco di fiato parlante? Aggiunge, il presidente, sempre più terribile in flatus vocis: “Siamo pronti a considerare tutte le opzioni necessarie per proteggere la popolazione civile”. Ancora ben detto, specie se precisa: “sempre che abbiano una base legale”. Che viene ad essere il busillus più coriaceo sulla via dei fatti, viste le perplessità tedesche e il veto già annunciato da Cina e Russia alle scelte militari del Consiglio di Sicurezza Onu. Non solo: ma se occorre (sempre nelle parole di Van Rompuy) anche “una necessità dimostrabile” la matassa s’imbroglia ancora: a quale livello di stragi si considererebbe dimostrata la famosa necessità? Infine, occorre anche “il sostegno delle popolazioni della regione”. Quest’ultima precisazione stampa il sigillo dell’insignificanza alle frondose ciarle degli emeriti tutori dei destini del mondo. Intanto Gheddafi vien riconquistando varie zone già in mano ai rivoluzionari. L’unico gesto significativo, ma pur sempre derisorio, è in queste parole-sommario dell’articolo citato: “L’Europa nega a Gheddafi ogni legittimità e ritiene invece ‘un interlocutore politico credibile’ il Consiglio nazionale di transizione di Bengasi”. Si fermasse a questo punto, la dichiarazione avrebbe un pur minimo senso, sia pur teorico; ma il periodo si allunga in questa coda che ne dimezza il peso politico: “senza tuttavia riconoscerlo come governo”. Ed eccoci al “derisorio”.
14 marzo. Passano i giorni e la situazione degli insorti non fa che peggiorare: ecco dei titoli del Corsera odierno fin troppo eloquenti: Gheddafi si riprende le città della Libia. Avanzata di Gheddafi, assedio a Bengasi (titolo). Le truppe governative punterebbero su Tobruk per isolare la città simbolo della rivolta. Scontri a Brega. (occhiello) Insorti in rotta a bordo di camioncini. Il governo della Cirenaica:“Abbiamo bisogno di aiuto” Una notizia fuori testo del capo della polizia di Bengasi aggiunge un sinistro flash ai titoli: “Gheddafi dispone di 120 caccia con piloti stranieri pronti a bombardare i civili”. Trascriviamo le prime rivelazioni del rassegnato e malinconico servizio di Lorenzo Cremonesi:”Ora dopo ora, chilometro dopo chilometro, quella che fino a due giorni fa il governo provvisorio di Bengasi definiva ‘ritirata strategica’ si rivela per quello che è: una tragica sconfitta, con conseguenze potenzialmente drammatiche per gli oppositori che hanno osato alzare la testa. Ieri appena dopo mezzogiorno è arrivata la notizia della caduta del polo petrolifero di Brega. Un’altra delle città riconquistate dagli uomini fedeli a Gheddafi”. Non occorre riferire sul resto dell’articolo per concludere che l’ottimismo iniziale dei soliti Democratici responsabili dell’ Occidente senza macchia ha mancato l’ennesima occasione per dimostrare un livello accettabile di solidarietà operativa con i popoli in rivolta contro dispotismi più o meno feudali. Come riconoscono, tacitamente, altri testi del giornale, registrando i contrasti fra gli alleati euro-atlantici. Come in quest’altro titolo: No-fly zone, Parigi preme. Ma potrebbe essere inutile. Anche negli Usa cresce il partito “prudente”, impelagato nella “necessità di concordare preventivamente l’intervento con le principali capitali mondiali”. Necessità, per così dire, dimezzata dal “via libera dato sabato dalla Lega Araba”
15 marzo. Gheddafi progredisce nel recupero cruento delle posizioni perdute (città minori e quant’altro), il “concerto delle Democrazie” continua a spruzzare derisori fiotti di acqua benedetta verbale sul diavolo che si gode quelle riconquiste indifferente al loro costo di sangue (o, più probabilmente, godendone). Chiudiamo questa “puntata” con un ultimo assaggio di titoli. Il G8 rinvia la no-fly zone alle Nazioni Unite (titolone, lunghezza pagina). Tedeschi e russi contrari alla proposta di francesi e inglesi. Il ministro degli Esteri italiano: “Coinvolgere la Lega Araba” (occhiello) Frattini: “Sulla Libia, posizioni differenti. Ora tocca al Consiglio di sicurezza” (catenaccio). Frattini, more solito, con i suoi interventi amministra il superfluo. E quando azzarda un suo pensierino timido, riecheggia altre voci. Ma il clou dell’originalità ridicola viene da un campione inarrivabile di fede cattolica e servilità vaticana, al quale il Vangelo suggerisce strani primati di realismo politico del tutto indifferente alle stragi di quegli infedeli senza Cristo. Stiamo pennellando sulla figura di Roberto Formigoni, un’intervista del quale il Corsera riassume in questo titolo: “Gli interventisti vogliono togliere al nostro Paese la sua influenza”. Capite? La splendida influenza guadagnata dal fasto ospitale e dal baciamano del suo (e nostro, purtroppo) premier fornicatore! E dire che il foglio trasmette questo grido dei ribelli in rotta: Bengasi teme la vendetta. “Massacro se passa Gheddafi”. Il Robertone ostiafago bada più a quest’altro titolo: L’Italia non esclude di dover affrontare un Gheddafi redivivo ”(“La Nota” di Massimo Franco). Forse lui e il suo Patron politico stanno studiando la nuova accoglienza in pompa magna. Tuttavia, onestà vuole che gli si riconosca un punto di forza in questo pensiero-timore: “Io metto in guardia contro i rischi di un intervenendo diretto […] Stiamo parlando del mondo arabo, dove il pericolo di buttare un cerino in un deposito di benzina è altissimo. Un intervento armato potrebbe essere preso a pretesto dagli estremisti, dalla stessa Al Qaeda per gridare alla guerra santa”. Purché si riconosca che la “forza” dell’argomento è un macigno di puro egoismo. Forse il governatore della (ormai supercattolica) Lombardia è più sensibile alla reboante minaccia di Saif, secondogenito del Raìs, che ha ispirato questo titolo al Corriere del 12 marzo: E Saif minaccia l’Italia:” Traditori, reagiremo”(titolo). “Se perdiamo, sarete voi le prime vittime” (catenaccio)
Intanto le minacce di “invasione” dei Paesi europei (specie se rivieraschi) da parte dei disperati libici in fuga (e non solo) si stanno avverando. Quando il Colonnello le brandiva, con divertito sadismo, più di una “Testa pensante” del Gotha politico europeo ci rideva sopra come su smargiassate di un gradasso ciarliero, ma ecco un titolo dello scorso Corsera: Dalla Libia arrivano anche 21 barconi (occhiello) Il giallo della nave con 1.800 a bordo. Roma ordina l’alt (titolo). Prime righe del testo. “Cinque sbarchi in mattinata. Nove barconi approdati in serata. E altri in arrivo”. Un altro in quello di oggi: Una nave dalla Libia Allarme del Viminale “Pericolo terroristi”. “Il catenaccio” precisa: 1800 passeggeri, quasi tutti marocchini.
Sospendiamo qui il “Diario” con il seguente mini-aggiornamento al 16 marzo: (ancora titoli del Corsera) Così Gheddafi ha messo i ribelli in rotta. La controffensiva è arrivata a Bengasi mentre l’Occidente discute. Morale della favola triste: l’egoismo cieco (ma illuso di chiaroveggenza) e bieco (ma lontano dal supporre tale qualifica) muove la politica globale. Ogni dirigenza nazionale (o di alleanza) interroga i propri interessi, e agisce di conseguenza. A volte sbagliando anche in quella difesa di non lungo sguardo. E così il diavolo può ridere in faccia agli spruzzatori di acqua santa.
Pasquale Licciardello
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