Ci risiamo: come troppe altre volte, anche questa fa registrare un distacco crescente dalle (pie) intenzioni di partenza. La deliberazione del Consiglio di Sicurezza Onu prevedeva un intervento limitato a salvaguardia dei civili in rivolta minacciati, sempre più da presso, dalla reazione di Gheddafi. La quale (altro punto critico dell’impresa) è stata sottovalutata dai “Responsabili” internazionali disponibili all’impegno di quella salvaguardia. Ed ecco il genere di titoli dei giornali al sesto giorno di bombardamenti mirati sugli aeroporti, i bunker, gli aerei e i mezzi corazzati del Colonnello: Raid su Tripoli, il raìs resiste (la Repubblica). E mentre, nella Coalizione, gli inglesi si vantano: “distrutta l’aviazione di Gheddafi”, il titolo del quotidiano è costretto a fronteggiare quell’annuncio un po’ trionfalistico con un “Ma” avversativo che introduce una sorta di miracolo (data la distruzione “reclamata” dagli inglesi): “continuano le bombe su Misurata”. Del resto, ancora ieri il Raìs eccitava i suoi con questo annuncio: “Non me ne vado. E alla fine vinceremo”. Smargiassate? Possibile. Ma non è un buon segno l’avanzata dell’esercito libico verso il recupero delle città ribelli e gli altri suoi obiettivi di rivalsa: alla faccia dell’inferno di missili sganciati sui bersagli sensibili della difesa libica. Anche se raid e missili la rallentano. Ed è di qualche giorno fa l’allarme dei rivoltosi: “La difesa aerea non basta”. Che sembra un macabro scherzo, dopo quell’ “inferno” missilistico ad alta tecnologia e micidiale precisione di bersaglio scaraventato addosso al non piccolo (né obsoleto) sistema difensivo del mal conosciuto Gheddafi.
E si trattasse soltanto di questo “ritardo”! Invece abbiamo la rissosità interna alla coalizione, che fa capolino quotidiano con una novità al giorno. Fin dal primo dell’azione sul campo abbiamo potuto “ammirare” l’ambizione di francesi e inglesi di primeggiare nell’offensiva più serrata e snobbare con nonchalance la necessità della coordinazione preventiva. Alla quale vanità ha risposto l’Italia avanzando la richiesta (non trattabile?) di una coordinazione guidata dalla Nato: l’appoggio degli Usa di Barak Obama ha sciolto il nodo a vantaggio dell’Italia: la Nato assumerà il comando. Ma ora il nostro governo, tallonato dall’alleato Bossi (ostile a questa soluzione armata) chiede, o almeno suggerisce in sordina, un “cessate il fuoco” preparatorio di trattative: l’amicizia personale del premier col satrapo africano fa sentire la sua vocina. Mentre la Germania di Angela Merkel si gode lo spettacolo dal balcone della sua diserzione: poco onorevole, forse, ma comoda. Una “comodità”, peraltro, che anche da questo lato espone alla constatazione più o meno costernata la scarsa organicità della compagine sovrannazionale detta (o millantata come) Europa Unita.
Last but not least (per dirla nella lingua “planetaria”), c’è il “problema” delle vittime civili. Che i nostri mansueti “crociati” negano di avere provocato con i loro attacchi (forse un po’ troppo impazienti), ma i civili libici confermano a più voci. Comprese quelle dei gheddafiani. Si tratta di “scudi umani”, cioè di quella protezione che i fedeli del Colonnello dichiarano, e dimostrano, di voler garantire al loro (non precisamente odiato) leader carismatico? Non è così. Non ancora (sperando che non lo diventi nemmeno domani). Si tratterebbe di vittime coinvolte in quei bombardamenti che, fin dal loro incipit, si vantano di essere inoffensivi giusto per la popolazione disarmata. A chi credere? Diciamo che è difficile gettare nella spazzatura della disinformazione interessata una denuncia ripetuta e circostanziata. La quale, peraltro, comincia a non essere rigettata del tutto anche in seno alla coalizione: come escludere tassativamente (riconosce qualche voce autorevole) quella dolorosa eventualità quando si è costretti ad operare non troppo lontano da potenziali bersagli involontari? La verità (triste, e poco ostensibile) è che, in queste missioni umanitarie armate (anzi, superarmate) un tasso di vittime civili lo si mette in conto. Tacitamente. Salvo, poi, cadere dalle nuvole quando qualche voce le rivela.
Questione profughi: ecco un altro non indolore capitolo della sempre più problematica avventura: tutti i giorni sbarcano fuggiaschi libici (e non solo) da barconi motorizzati e quant’altro di galleggiante sia più o meno capace di trasportare “materiale” umano lungo quel braccio di mare che separa l’Africa magrebina dalla nostra isoletta ornata di un nome mitico, Lampedusa: la quale ne viene “coperta” fino all’insopportabilità bipartisan: quella dei residenti normali e l’altra, dei sopravvenuti in crescita numerica quasi esponenziale. Ne risulta un quadro drammatico, denunciato da vari giorni dagli scrupolosi resoconti dei media. La situazione è stata messa in cruda luce diretta dal format di Michele Santoro, Annozero, del 24 marzo, con effetti emozionali sconvolgenti. Scarsità di spazi a disposizione di una minimale sistemazione umana (e persino animale), insufficienza di cibo e di protezione contro le variazioni termiche giorno-notte, assoluta mancanza di garanzie igieniche, e via elencando. Fino al rischio incombente di complicazioni cliniche. Le voci dei rifugiati versavano nelle nostre ben protette orecchie di privilegiati lamenti denunce accuse, spesso mescolate tra loro con ingenuo stupore per tanta differenza fra sogni e risvegli, tra speranze motrici e smentite di approdo. Naturalmente, le polemiche su tanto dramma non soffrono di inedia, anzi riempiono, ben pasciute, buona parte dei notiziari, dei talk show televisivi e dei siti del Web. Lo Stato italiano sta facendo poco? Si nuove con lentezza e fiacca benevolenza verso questi infelici in cerca di salvezza? Forse. E magari certamente. Ma che dire della materna Europa, così restia alla condivisione del dramma? Quale sorta di rivendicazione (creduta legittima) soggiace al mutismo delle sue componenti e dei suoi organi istituzionali? O al loro balbettio più o meno spavaldo o impacciato, che oppongono alle sollecitazioni del nostro Paese sempre più sommerso dal quotidiano arrivo di nuovi infelici? Si legge una strana logica associativa nella pretesa che la nostra posizione geografica sbilanciata sul mare nostrum debba pagare dazio di oneri speciali e sofferenze eccessive per le nostre popolazioni. Quale cecità nasconde ai soci di tanta Ue l’evidenza del dovere di condividere agi e disagi? Neanche ci volessero far pagare con un bel po’ di ritardo le responsabilità imperiali di chi fece nostrum questo grande mare, diventato così piccolo sulla misura dei nuovi mezzi di navigazione! Insomma, siamo a un altro, non voluto ma ugualmente eclatante, show down delle sopra segnalate carenze unitarie di questa troppo lodata e discutibile Ue.
Altre riflessioni, però, impone il caso Lampedusa. Prima: quale disponibilità stanno mostrando le altre regioni italiane verso la condivisione del dramma in corso? Soltanto qualcuna s’è dichiarata disponibile a quella doverosa condivisione. E’ ancora poco. Troppo poco. Né si può sventolare l’argomento “terrorismo”, e cioè l’impossibilità di escludere che fra i “clandestini” (che poi tali non sono, vista la quasi completa identificabilità dei singoli approdati) ci siano dei terroristi venuti su preciso mandato e pronti a colpire, magari come kamikaze. Se questo rischio ci fosse perché dovrebbe assorbirlo solo l’isolattea sfortunata o la Sicilia tutta, e niente rischi per le altre regioni sorelle di tanta famiglia? La festa del 150o dell’Unità deve restare solo enfasi di iniziative e retorica di bei discorsi?
La puntata di Annozero sopra citata ospitava anche Gino Strada, il medico-chirurgo leader dei pacifisti assoluti, dei “senza se e senza ma”. L’ho visto in difficoltà: non è facile, infatti, rispondere a una domandina semplice: se io, Stato, io Paese-Nazione, sono aggredito, e non riesco a fermare l’aggressore con proposte esortazioni e altre sostituzioni della risposta violenta, come posso rinunciare all’uso delle armi? Potrò tentare di evitare risposte eccessive al mio aggressore, non prendermi la responsabilità di aprirgli le porte, e mettere a sua disposizione vita e beni dei miei “figli” in concretezza di carne e sangue. Che poi si possa predicare la pace, sta bene. Quello che si può aggiungere al generico predicare è l’analisi stretta dei moventi più o meno universali delle aggressioni belliche. E allora non è difficile scoperchiare gli altarini dell’aggressore: basta conoscerne popolazione e strutturazione economica. Si illuminerà, nel caso, la spinta primaria e più o meno nascosta di ogni aggressione: l’ingordigia. Comunque mascherata da nobili ideali e sonanti valori. Una causa che non sembra interessare il caso Libia, mentre ne costituisce la molla segreta e di lunga maturazione. Le ricchezze accumulate dal Raìs da quel dono sfacciato di madre Natura che si chiama petrolio e gas in quantità “esagerata” sono la causa remota e di lunga maturazione del suo dispotismo (mascherato di retorica populista-organicistica) e della rivolta attuale: per quale divino decreto dobbiamo sopportare ancora che un prepotente e famiglia facciano la parte del leone nel godimento di quei beni, difesi da complici ben foraggiati e da candidi devoti illusi? Stessa logica nella fedeltà tenace di parti del popolo e dei militari; e nella facilità di ingaggiare mercenari (se ci sono). La rivolta sventola la bandiera Libertà, e non è il caso di sbeffeggiarla troppo, perché una parte dei rivoltosi ci crede. Ma la verità terragna pretende la diagnosi spregiudicata. Che, naturalmente, non sfugge ai commentatori realisti: vedi Piero Ostellino, Gli interessi nazionali e le ipocrisie (Corsera, 22 marzo). E anche Franco Venturini, Incertezze e dubbi fuori tempo, ivi.
Giusto quel tipo di analisi che lo stesso ulteriore sviluppo degli eventi in corso costringe anche la nostra modestia a un ulteriore cenno al momento di licenziare questa riflessione. Si scalda di nuovi soffi la querelle Italia-Francia. Questa riscopre la tentazione della grandeur e, mal sopportando la “gestione” plurale della crisi in atto, spinge per garantirsi in ogni caso un ruolo di preminenza operativa. Il come fa capolino da questo grosso titolo del Corsera del 26 scorso: Iniziativa francese: “La soluzione sia diplomatica”. Proposta che sarà presentata ai ministri europei martedì 29 marzo, nella “conferenza” dedicata alla definizione del comando Nato. In questa svolta, “Parigi punta ad associare la Germania”. Berlusconi, che si fregia della lunga e ben coltivata amicizia personale con Gheddafi, naturalmente sente pesarsi sulle parti basse l’intraprendente Sarkozy. E scatena i suoi mastini della carta stampata contro l’odiato bersaglio. Il quale offre il fianco a quelle zanne per certe situazioni personali sfruttabili in chiave di insinuazioni malevole. E’noto che il presidente francese è stato sollecitato all’intervento libico dal filosofo Bernard-Hanri Lévy, un amico fin troppo “di casa”, insomma assai in confidenza con madame Carla Bruni, sposa del Presidente. I guastatori arcoriani cuociono la circostanza con allusioni pruriginose su questa confidenza Lévy-Carla, e il povero Nicolas viene “dipinto come uno spirito debole, succube di una duplice nefasta influenza”: di Carla e del filosofo. Costui sarebbe “l’anima nera, il Rasputin interventista che avrebbe contagiato l’Eliseo con il suo fatuo umanitarismo”. E pure “l’ubiquo filosofo che si è autoproclamato Malraux”. Non basta: il settimanale Panorama aggiunge al piatto avvelenato una copertina con “l’immagine dello sconsiderato presidente francese accompagnata da questo titolo beneaugurante: Sarkofago, l’‘icona tangibile’, nientemeno che ‘dell’irresistibile e sfrenato bisogno di mostrare i muscoli”. Quanto ai legami di Carlà col filosofo, li infiora questa non-carezza: Lévy viene definito “il maestro del pensiero in maniche di camicia bianca legato alla signora Bruni […] da complicati intrecci familiar-sentimental-filosofici”. Insomma, siamo all’ennesima carognata degli ascari di corte targati Berlù. Ma anche all’ennesima verifica del vecchio detto: non c’è dramma che prima o poi non mostri un suo lato grottesco. Di questo lato fa parte anche l’agitazione del nostro premier e dei suoi ministri. E mentre il Gran Capo da una parte si dice “addolorato” per la sorte dell’amico Gheddafi, dall’altra ne constata la tenacia auto-difensiva e “garantisce” che non si arrenderà, che terrà duro fino a, che cosa? La vittoria? Il sacrificio supremo? Non è un’idea chiara nella mente del munifico ospite. Che, intanto, “espone” il suo ministro degli Esteri. Il quale, “rispondendo” agli annunci di Sarkozy sull’ipotesi di iniziative diplomatiche e relativo piano francese (o franco-inglese), fieramente proclama: “Anche noi abbiamo idee”. E ricorda quel “Vengo anch’io” della vecchia canzone di Iannacci. Nella quale una sadica voce rispondeva “No, tu no”. E quando, dopo la terza ripetizione, l’escluso domandava “ma perché?”, la voce del prepotente rispondeva, tagliente “Perché no!”. Purtroppo, non siamo al gioco di una canzonetta spassosa: ma ad un altro “numero” del “grottesco nel dramma”, forse sì. Tanto vero che l’arguto Giannelli ci sollazza con la sua vignetta del Corsera di oggi, 27 marzo dove si gode uno scontro in campo tra Berlusconi e Sarkozy, in cui il primo batte il secondo con una testata allo stomaco. “Didascalia”: “Per il titolo mondiale”. Sotto la vignetta questa frase: “Cinque anni dopo”. Nell’altra vignetta, del 22 scorso, Berlusconi e Sarkozy sono dentro un aereo in volo, e un Silvio digrignante dice “O molli la guida o scendo!”
Il dramma continua con i suoi modesti alti e bassi in un senso o nell’altro, enfatizzati dai giornali con titoloni, come questo del Corsera di oggi, 27 marzo, che corre da un estremo all’altro della pagina 5: Gli insorti avanzano,gheddafiani in fuga. I ribelli riconquistano Ajdabiya e puntano a est con l’aiuto dei caccia); con le polemiche interne nei Paesi coinvolti, come da noi, dove si registrano “dure reazioni all’ipotesi di pagare 1500 euro per ogni straniero rimpatriato”. E non solo da parte delle opposizioni, infatti c’è anche “il no di Bossi”, mentre Maroni e Frattini cercano di tamponare precisando che i “rimpatri assistiti saranno attivati solo in presenza di un finanziamento integrale da parte dell’Unione europea”.
A chiusura l’evidenza dei fatti ci impone di concludere che, ancora una volta, a dominare la scena è l’incertezza del finale (e del relativo prezzo di sangue e sofferenze) di questa ennesima tragedia di homo phagicus necans, che ama mascherarsi nello spocchioso titolo al quadrato di sapiens sapiens. Senza sospettare che proprio quel cervello eccezionale potrebbe spingerlo verso il baratro dell’auto-estinzione per eccesso di ingordigia. Meditare sul Giappone targato 2011. E richiamare la memoria, oltre a Fukushima, anche a Chernobil.
Pasquale Licciardello
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