Tempi duri per lo Stato ebraico: un congresso (come si diceva ai tempi del parlar alto) di forze irsute con micidiali armi di sterminio avanza massiccio verso i suoi sacri confini conquistati a prezzo di cruentissimi sacrifici di uomini e territori di biblica legittimità. Quali, le forze ostili in marcia verso quella lindura, e quante le complicità di falsi amici e critici subdolamente bipartisan? Ma come si fa a pretendere un elenco impossibile? Non si capisce che a volerlo tentare occorrerebbero le pagine di un pesante volume-dossier? E dunque ci si accontenti di un veloce cenno ai principali di loro, cioè ai più lerci e degni di perpetua gogna: in vita et post mortem. A golosità maggiore farà fronte con successo le rete, che non lesina testi.
Ci sono i vecchi stragisti di Hamas, lanciatori di missili poco meno che pantoclastici. Seguono i palestinesi cosiddetti moderati, che, sotto pelle di agnello sono lupi voraci anche loro, seguono gli antisionisti dell’Occidente, quelli che si dichiarano e sono tali e quelli che nascondono l’identità criminale puntata contro lo Stato ebraico. Ma torniamo ai palestinesi moderati: possiamo negarne la pelle di agnello che copre gli artigli lupeschi, se questi ingordi pretendono la restituzione dei famosi “Territori”? Quali, chiedi, giovane lettore ignaro? Ma giusto quelli che Israel conquistò nella brillantissima campagna militare di autodifesa sacrosanta del giugno 1967: la guerra traslata nella Storia del mondo come “Guerra dei sei giorni”. En passant, si ricorda che questi territori hanno ispirato recentemente due “Numeri Uno” della politica planetaria: il presidente degli Stati Uniti e il premier ebraico Netanyahu. Il primo ne suggeriva la restituzione ai legittimi possessori ante guerra, con disponibilità discrezionale per i palestinesi aspiranti a uno loro Stato. Il secondo replicò con uno storico irridente jamais. Mancò poco non esternasse la parola di Cambronne, che quasi certamente serpeggiò fra gli eccitati intrichi neuronici del biblico statista. Il quale, naturalmente, fu portato in metaforico trionfo dal suo popolo, sempre pronto (nelle sue maggioranze pentateuche) a scambiare i desideri per diritti, e santificato dai lugubri ortodossi cernecchiuti, convinti della promessa del loro terribile dio genocida sui territori già occupati e il resto che verrà (magari nel 3050). Ci sono poi i micidiali giovani antisionisti, i quali annunciano ostilità operativa contro il complesso di iniziative ideologico-culturali e commerciali previste in Milano con inizio al prossimo 13 giugno. Ma la difesa di Israele è già scattata in diversi presìdi di civiltà italica, e alate parole di sublime accuratezza scintillano dalle pagine di grossi quotidiani e molto imparziali magazine e rotocalchi. Qui ci confrontiamo con un esimio nome del Corsera, sempre pronto a scattare in difesa del santo Israele senza macchia. Pierluigi Battista anticipa la sua controffensiva agli attacchi cruenti di giovani malconsigliati, i quali sotto l’insegna dell’antisionismo vivono (secondo lui) un’avversione viscerale per Israele, e insomma una nuova febbre antisemita. Lamenta, Battista, e allerta, il neosindaco Pisapia, che, ovviamente, com’è suo dovere, non lascerà libero campo a eventuali facinorosi tra i fanatici della protesta, e saprà garantire l’ospitalità della metropoli lombarda. Ma non per la sollecitazione ruffiana dello zelante avvocato difensore. Lamenta, il Battista, che “circolano manifesti in cui una bandiera con la stella di David sembra schiacciare con la sua arroganza il Duomo. Si grida ‘No all’occupazione israeliana’ di Milano”. E chiede, con furbesca ironia: “ricorda qualcosa questo atteggiamento incendiario contro chi viene considerato un nemico assoluto che minaccia l’integrità di Milano?” Come no? Ricorda i preliminari della Shoah, vero? Intanto s’inchina (con sottinteso baciamano, suppongo) alla sveglia attenzione di Cinzia Leone che trova “del ridicolo” in questo presunto “rischio” di “invasione israeliana”. Rincara, Pierluigi: “Ha del ridicolo e del grottesco. Ma quella stella di Davide agitata come una minaccia, la sua identificazione con quanto di più oppressivo esista al mondo è anche l’ennesima prova che i confini tra antisionismo e simbologia antisemita sono labili e fragilissimi”. Più o meno (diremmo) come accade fra visione critica pigra e morboso fanatismo a memoria ingenuamente o astutamente (ma che razza di astuzia può essere?) selettiva a torbido vantaggio dell’idolo intoccabile.
Continua un bel po’ ancora il sermone di Pierluigi, il quale, assorto com’è nel suo enfatizzare la probabile (certa, per lui) scalmana di giovani ipotizzati un po’troppo infetti di fanatismo, ma di sicuro vibranti di giustificata indignazione contro questa infatuazione dell’intero Occidente ufficiale per lo Stato ebraico, non si accorge del titolo al sangue che il suo giornale ha messo in prima pagina: Si riaccende il Golan. Sangue al confine tra Israele e Siria. Pudicamente (?), il titolo (che avrebbe meritato grande foto e taglio alto e centrale, invece del taglio basso e laterale) non specifica la sorgente di quel sangue innocente: che è di palestinesi, giovani e ragazzi, per lo più. Né questo Ghedini del divino Israele sembra lasciare spazio al sospetto che alcune colpe, e non lievi, sventolano dalla parte di Israele. Al contrario, lui svolge il suo teoremino, granitico nella sua fede: un elogio a Fassino, che “nei giorni scorsi” ha contrastato “con ammirevole energia lo spettacolo osceno [!] di alcuni giovani estremisti che durante una kermesse bersagliavano il volto deformato di Simon Peres [poveretto!] e insieme la bandiera dello Stato ebraico”; un pungolo al novello sindaco di Milano: “Oggi tocca a Pisapia tracciare una linea di demarcazione con chi spende ogni sua energia [possibile che questi scalmanati ignorino pasti e sesso?] in una guerra santa [sic!] contro lo Stato di Israele”. Non senza precisare che lui capirebbe una critica selettiva contro questo o quel governo, questa o quella distinta azione e reazione di Israele, e che quindi la sua sacra avversione è rivolta contro chi rifiuta in toto l’esistenza dello Stato ebraico, presunto “delegittimato per il solo fatto di esistere, bollato come usurpatore per il solo fatto di esistere. E dunque da cancellare. Nella realtà storica. E anche nei suoi simboli, come quelli che verranno esibiti a Milano e che gli intolleranti considerano un’offesa per il solo fatto di essere liberamente esibiti”. Una vera goduria, questo manifesto battistico, per il suo danzante autore! Che perciò stenta a frenarsi, a chiudere, e concludere: vi si legge una sorta di feed back positivo, quel genere di reazione dell’effetto sulla causa che l’amplifica, anziché frenarla come accade nel negativo. Ricomincia, infatti, il suo delirio drogato, assaporandone l’estremismo del lessico e della sottostante fede lecchina verso l’Intoccabile, preventivamente assolto da ogni peccato presente passato e futuro. “La virulenza del fondamentalismo antisionista, del resto, sprigiona una veemenza intimidatoria che non conosce limiti e non risparmia nemmeno le icone della sinistra”. Eccoci alle soglie di un altro colpo di sicuro effetto spiazzante: “Solo perché ha rivolto un saluto all’ambasciatore di Israele in Italia, Nichi Vendola è stato fatto oggetto di insulti velenosi e di attacchi violentissimi nei siti cosiddetti ‘antimperialisti’”. E tu pensi: gli basterà? Speri di sì, magari in un capoverso finale meno pirotecnico, con qualche soffio ipotetico di non esclusione verso un qualche torto nella castrense storia di Israele. Fosse pure del genere “eccesso di autodifesa”. Macché: ha altro materiale a carico e lo spende sul pur vago, anonimo bersaglio: “Qualche mese fa anche Roberto Saviano venne trattato da ‘complice degli assassini’ solo perché aveva manifestato le ragioni del suo attaccamento [sic!] allo Stato ebraico in un convegno a favore della democrazia israeliana”. Conclude un fervorino untuoso per Pisapia che certamente saprà fronteggiare la minaccia incombente, e guadagnerà un doppio merito: contro i suoi avversari, che insinuarono una sua frequentazione di satanici estremisti, e un sicuro attestato di democraticità: “Un doppio gesto scandito nel nome della tolleranza, valore non negoziabile”.
Basti quanto prelevato dall’assalto battistico per ospitare qualche domanda. Un lettore non avvelenato dalla passione per santo Israele coglierebbe subito il fanatismo vibrante nel lessico e nella tamburellante sintassi del Battista: ma a lui, al difensore senza se e senza ma del suo Israele di sogno, può essergli venuto a farlo vacillare nella sua fermezza qualche dubbio? E se, com’è più che probabile, nessun dubbio, nessun sospetto incrina la sua ferrigna consacrazione di quello Stato, non potrebbe, almeno, riconoscere che anche il suo idolatrare è fanatismo? Parole al vento: quale fanatico doc si riconosce fanatico? Fanatici sono sempre gli altri, quelli che lui attacca. Nell’articolo citato sopra sono segnalate parecchie vittime, e non sono cadute dal cielo: sono state prodotte dagli spari ebraici. Legittima difesa, don Battista? Ma quei giovani erano disarmati. Non minacciavano Israele, non s’erano mossi per colpire, ma soltanto per ricordare i giorni della disgrazia del loro popolo, la diaspora seguita all’insediamento ebraico favorito dall’Onu, e l’umiliazione condita di morte e distruzione della gloriosa (per Israele) e sciagurata per i loro popoli del giugno ’67. Una strage a sangue freddo, insomma. E non è la prima, ma l’ennesima prodotta dalla pistola facile dei pistoleros di quella specie di Far West tecnocratico.
Era l’ennesima volta, sì, di quell’eccesso di risposta che ripete un sanguinario schema: un arabo punge con uno spillo un ebreo e quello risponde con una pistolettata. Questa biblica proporzione si è ripetuta innumerevoli volte, e, come si vede, anziché correggerla, quei governanti e militari e superortodossi e chissà chi altro la confermano, anzi la potenziano. Così è stato a Gaza, la striscia che ha conosciuto perfino l’uso schifoso del fosforo bianco, che tagliava braccia e gambe a innocenti e bambini senza fare scorrere sangue: una finezza della superscienza americana, un gran passo verso la disintegrazione parcellare dell’umano. Ma chi parla di queste brillanti affermazioni dell’intoccabile Israele, figlio di Geova, il dio genocida, massacratore di bambini e città intere? Questa purulenta realtà cova-guerra avrebbe potuto diventare, col tempo e la buona volontà (cioè un po’ più di realismo), un normale aggregato umano compatibile col vicinato. Il quale, essendo stato offeso nell’orgoglio nazionale e umano da decisioni imposte dall’alto (ah, gli errori dell’Onu!) e contrarie ai suoi interessi, ha reagito per protesta e in difesa della sua dignità. Gli ingenui dirigenti arabi non capirono la vera forza del nuovo Stato, cioè la garanzia degli Stati Uniti, a loro volta condizionati dalle potenti lobby ebraiche interne, sempre pronte a finanziare necessità di bilancio urgenti, a supportare con televisioni e giornali la politica estera Usa, e via dicendo e numerando. Non si dimentichi che quando Israele corse un serio pericolo di sconfitta ad opera dell’Egitto (che dalle umiliazioni precedenti aveva imparato la lezione dal potente nemico esperto in assalti a sorpresa), Nixon arrivò a fare scattare l’allarme atomico di secondo livello, ad ammonizione dell’Urss che garantiva lo Stato africano. In intesi, Israele l’intoccabile viziato. I governanti Usa, alcuni ebrei, devono garantire la sopravvivenza di quel popolo e Stato: costi quel che costi. Naturalmente, un generalizzato conflitto atomico non avrebbe vincitori, ma solo vinti. Anzi, un solo vinto: la folle “famiglia” umana. Tuttavia, siamo convinti che se Israele fosse spinto con le spalle al muro (un’ipotesi del tutto teorica) non esiterebbe a usare anche l’arma atomica. Così convincenti sono le molte prove di crudeltà fornite, nella lunga sequenza di scontri diretti o indiretti, frontali o “laterali” con i palestinesi troppo umiliati, e spinti alla formazione di versioni resistenziali “disperate” come Hamas e sue diramazioni ultras e i connessi atti di terrorismo (peraltro, pagati sempre ad usura). Anche a scorno, queste eccessi ebraici “difensivi”, dei consigli di moderazione provenienti, in alcune occasioni, dal Grande protettore. Ultimissimo esempio, la risposa arrogante di Netanyahu al presidente Usa Obama, che invitava Israele a una vera pace con il circostante mondo arabo a prezzo della restituzione dei Territori.
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Per decenni chi scrive ha respinto come pure e velenose invenzioni certe leggende dette, sbrigativamente, antisemite: dal violento pamphlet di Céline, Bagatelle per un massacro, all’ennesimo best seller (si suppone) di Umberto Eco, Il cimitero di Praga (che contiene riferimenti dettagliati di vasta e autorevole documentazione) le scritture “esoteriche” contro gli ebrei della molteplice diaspora non si risparmiano nell’attribuire a presunte congiure bibliche il sinistro disegno di impadronirsi del controllo planetario plurietnico con mezzi subdoli e privi di scrupoli verso le esistenze altrui. Queste leggende nere di una congiura segretissima delle varie lobby mosaiche per dominare, in vari modi segretissimi, e in tutte le dimensioni e strutturazioni del potere umano (bancario, industriale, mercantile, artistico, scientifico, e via seguitando) l’intero orbe terracqueo puzzano, senz’altro, di paradossali enfatizzazioni, ma, alla luce di fatti e misfatti di pacifica impostazione, ma da decenni anche, e soprattutto, spocchiosamente e spietatamente militari, lo scetticismo precedente è venuto modificandosi riducendo le certezze sulle esagerazioni più o meno incredibili e sviluppando riflessioni meno corrive nel respingere come pure balle denigratorie certi j’accuse di varia e concorde provenienza.
La difficoltà di “ragionare” con i fanatici di Israele è ben radicata e alimentata. Primo elemento di vantaggio per lo Stato ebraico, l’orrore della Shoah: su quello sgorgo di criminalità bestiale gli ebrei di ieri e di oggi hanno trovato un punto di forza inattaccabile. O, se vogliamo essere più puntuali, attaccabile, finora, soltanto da giovani bestiole bipedi che sventolano la svastica sognandone un futuro di gloria a giusta vendetta dell’ingiusta sconfitta dei macellai di Hitler. Un complesso di colpa continua a gravare la coscienza degli europei colti e/o politicamente responsabili: non ne avrebbero motivo, essendo stati estranei, vivi o non nati che fossero in quei terribili anni, a quel culmine della ferinità imbecille e superdrogata. Ma, essendo europei, un qualche disagio lo avvertono. Tanto più da che si è (bene o male) realizzata questa Ue, pur essendo, nei fatti, zoppicante. Ci siamo occupati, non molto tempo fa, di un caso emblematico: un’inchiesta dell’ Europa Unita su quale Stato minacci di più, oggi, la pace dava come esito un primato robusto dello Stato ebraico. Apriti cielo! Una tempesta sprecona di lampi e tuoni, un delirio diffuso fra politici, esponenti dell’arte e della cultura, qualche religioso con o senza abito talare, insomma un fenomeno imponente di cattiva coscienza viltà lecchinismo sbracato e altra secrezione del fanatismo umano quando trova via libera nel sonno della ragione. Tutti quei cervelloni davano addosso all’Europa, che non avrebbe dovuto promuovere quell’inchiesta. Vedi dove può sprofondare l’ingegno antropico drogato di fanatismo puro e distillato. Quel bel tomo di super liberale del gotha che risponde al nome fin troppo conosciuto di Ostellino “ripudiò” l’Europa: come fosse una moglie fedifraga!
Se i patiti del santo Israel sono di questa sostanza, figuriamoci gli ebrei di fuori e di dentro: sono decenni che sfruttano quella sventura e non accennano a moderarsi. Anzi, periodicamente festeggiano con nuove iniziative quel lurido secreto della ferinità umana addottorata. Mentre scriviamo è in pieno sviluppo l’ennesima iniziativa: una campagna di raccolta di ogni possibile traccia dell’Olocausto, un invito a tutti i bipedi ponzanti, di ogni età e sesso e condizione sociale, di regalare, di consegnare a diffusissime postazioni di raccolta o spedire a precisi indirizzi ogni traccia memoriale di quell’orrore, fosse pure la più piccola e apparentemente insignificante reliquia. E tutto l’Occidente accidioso e intimorito da questi eredi nevrotici capaci di ricatti e sornioni vade retro , pronti, a gara, al sostegno, così privo di nobiltà. Perché, se nessuno dei benpensanti ha il coraggio di obiettare a questo incessante sfruttamento di un’oscena tragedia, non per ciò l’utilizzo banalmente utilitario dell’immenso dolore altrui per vantaggi presenti di eredi assenti da quell’assurdo è riscattabile e al riparo da un rifiuto morale che può mostrare un significativo indotto di questo abuso: una dissacrazione, la banalizzazione utilitaristica di qualcosa di sacro. Sì, non meno di una profanazione e dissacrazione comporta questo infinito sfruttamento di un destino tragico da ricordare, semmai, dentro le case e fuori dal chiasso (fosse anche muto!) dell’esterno.
Capita a fagiolo un trafiletto della Repubblica (22 maggio 2011) lampeggiante di evidenze incatenate fin dal titolo: Il Caso. Obama, dopo il gelo con Netanyahu, oggi l’esame della lobby ebraica. Testo integrale. “Washington. – Per la prima volta, il presidente americano Barak Obama parlerà oggi alla Aipac, l’American Israel Public Affairs Committee, una delle principali lobby ebraiche americane, di orientamento conservatore. Il portavoce della Casa Bianca, Jay Carney, ha anticipato che non si tratterà di ‘un grande discorso politico’, ma piuttosto di un’occasione per riaffermare ‘l’incrollabile legame fra israeliani e americani e l’importanza di questo rapporto’ // Dopo il discorso del presidente americano sulla primavera araba e sul Medio Oriente, nel quale Obama ha proposto di tornare ai confini del 1967 ricevendo un no dal primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu, e la successiva freddezza nell’incontro di Venerdì a Washington fra i due capi di Stato, il discorso di oggi e soprattutto l’accoglienza che riceverà Obama all’Aipac saranno seguiti con grande attenzione. Gli ebrei americani sono fra l’altro un importante bacino elettorale per il Partito democratico, con un ruolo di primo piano nella raccolta di fondi”. Tiè.
Nessuna sorpresa, beninteso: son cose risapute, ma non è un ozioso spreco di tempo e inchiostro accogliere in uno sfogo poco autorevole, come il presente, testimonianze autorevoli quanto ineccepibili. Con queste cambiali a rischio protesto non è difficile valutare l’ingenuo ottimismo dell’Obama che offre quella sorta di pace al molto viziato e fin troppo garantito Israele. Quando in un’agenda del 1967, dopo la fulminea “Guerra dei sei giorni”, scrivemmo quella frase accorata (“Israele, spina nel fianco dell’umanità”) sapevamo bene, purtroppo, quel che intendevamo: tutte le successive azioni militari nell’area discendono da quel discutibile trionfo, vissuto dagli arabi come il culmine di un passato amaro e una macchia da contestare con ogni mezzo lungo l’incerto futuro per stemperarne, quanto meno, l’inevitabile destino di dolore. Ma da tutte le provocazioni Israele è uscito con nuovi trionfi. E, si badi, anche del genere criminale più abietto: vedi (per fare solo due esempi fra gli innumerevoli possibili) i casi di Tell al Zatar (1976) e di Sabra e Shatila (1982), due massacri privi di un qualsiasi appiglio che non sia la gioia sadica della strage, nello specifico delegata a fanatici cristiani (sic) maroniti della cosiddetta Falange. Ce ne siamo occupati più volte in precedenti e ormai lontani interventi, ma un paio di righe in questa occasione per quel saggio di delirante belluinità (così rivelatrice delle potenzialità di homo sapiens) non saranno spreco ozioso nel presente filmato. Tell al Zatar è una collina palestinese imposta alla memoria storica da questa atrocità: i palestinesi, dopo mesi di assedio e di tormenti (i falangisti sparavano perfino ai bambini che venivano mandati a prendere acqua da una fontanella vicina sperando nel rispetto degli assedianti per gli innocui innocenti: un tiro al bersaglio alla risata come su lerci topi), avevano offerto la resa a condizione della salvezza fisica. Offerta accettata con tanto di formale impegno. Ma quando gli stremati resistenti furono in pianura quegli allegri buontemponi di cristiani (non privi di ciondolanti cristi in collana) li schiacciarono sotto i cingoli dei loro carri armati. Sabra e Shatila, nel martirizzato Libano meridionale (trasformato da Israele in una dépendance ebraica) erano degli innocui campi profughi pieni di palestinesi civili, donne bambini vecchi. Ebbene, mentre i soliti macellai di un beffardo Cristo nazista mitragliavano allegramente queste masse di innocenza pura, i valorosi militari ebrei fumavano, divertiti, agli ingressi dei due campi. Una minuscola riedizione occasionale dei lager nazisti. La combutta responsabile del massacro espone nomi celebri, capitoli eminenti della storia israeliana: Begin, capo del governo (e già comandante del gruppo terroristico Irgun, medaglia d’oro per aver fatto saltare in aria l’hotel King David con i suoi ufficiali inglesi al tempo del mandato britannico), Ariel Sharon (colpito da paralisi subito dopo aver deciso la restituzione della striscia di Gaza ai palestinesi: Castigo divino, dissero i cernecchiuti ultrà ortodossi). Nei due campi furono massacrati centinaia (tra gli otto e i novecento, forse) di innocenti civili di ogni età e sesso. Per fare da guardiani-spettatori allegri i militari ebrei, avevano violato un patto con gli Usa, quello di non ritornare più in Beirut ovest: l’ennesimo esempio di tracotante ingratitudine verso il loro supremo garante. Altro ennesimo dello stesso metallo, la sfottente noncuranza delle decisioni Onu. La solita Assemblea generale definì e condannò il massacro dei due campi come “genocidio”. E la stampa mondiale non risparmiò le giuste critiche e condanne morali allo Stato sionista. Delle quali i leader ebrei risero, ut semper. Chissà se i devoti e i paladini del santo Israel si ricordano di questi e di mille altri crimini del loro beniamino. La linea difensiva è sempre, monotonamente, il diritto-dovere dell’autodifesa: come se non fosse lecito o possibile distinguere e misurare e condannare eccessi mostruosi come quelli appena ricordati. Che però scivolano sulla sensibilità drogata dei devoti come carezze di una brezza estiva. Peggio quando imbufaliscono e toccano vertici di comicità da palcoscenico: vedi caso Ostellino e altre celebrità nel nostro precedente scrittarello sul tema, presente nel mio blog, titolo I fanatici di santo Israel e nel sito di Camillo Bella.
Pasquale Licciardello
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