domenica 19 giugno 2011

Tripoli, bel suol d'amore

Ero in dubbio se mettere come titolo Ritorno in Libia o questo: in entrambi la componente ironica traspare, ma nel prescelto la esalta quel riferimento a un' epoca di retorica patriottarda tipica del colonialismo spudorato. Comunque sia, e cioè, qualsiasi ruolo si voglia dare al titolo la sostanza dell’affaire brucia di sofferenza errori arroganza. Più calcoli oscuri dietro sogni di vantaggi materiali: calcoli e sogni che hanno movimentato la testa  pensante (o ponzante) dello schieramento Nato, quella Francia sempre incline all’autopromozione barricadera che nell’attuale presidenza vive uno dei suoi momenti di gloria (alquanto soggettiva!). L’espressione ironica (ancora! – dirà il lettore veloce. Ma sì, e non sarà l’ultima occasione di usarla, l’ironia) allude a quel gallismo che è e resta la patologia inguaribile dell’anima gallo-franca. L’eziologia di questa piega clinica risale, forse, alle origini: ma solo per la componente bio-genetica: alla quale bisogna aggiungere, si capisce, la pedagogia indotta dalla storia. I francesi si sentono, e non lo dimenticano mai, gli eredi diretti della Gloriosa Rivoluzione (1789-93), che ridimensionò la potenza della vecchia aristocrazia, inaugurò l’era della “operosa borghesia”, e insomma aprì all’età contemporanea quelle porte che solo parzialmente (in effetti istituzionali e tempi) la Restaurazione seguita alla fragorosa e micidiale epopea napoleonica (altra gloria franco-gallica) poté sospendere. Il resto della storia francese, quel misto di vittorie e sconfitte, glorie e vergogne che è condiviso da ogni popolo e Stato, gran parte dei francesi istruiti e politicamente impegnati lo imbelletta di gloria, anch'esso.         Chi è stato a spingere per un attacco alla Libia, uno stato sovrano, d’un tratto alle prese con una rivolta dalle motivazioni ambigue e non tutte innocenti? Il presidente francese Sarkozy, galletto transalpino incline ai sogni di gloria indotti da quella storia ruffiana. E, piccolo com’è, ha fatto la vocina grossa per pungolare i comandi della Nato, a volte esitanti verso espansioni ingiustificabili dell’intervento. Non senza interpretare secundum quid il mandato dell’Alleanza: intervento umanitario in difesa dei civili “massacrati” dal mostro Gheddafi. Da quella difficile difesa esclusiva al massiccio intervento globale, un’evoluzione ad augendum ha marcato le tappe della sballata iniziativa, che, nell’estensione crescente, appare sempre più sguarnita di legittimazione e alibi. Orbene, qual'è il bilancio di questa sciagurata impresa? Troppi morti civili di “provenienza” Nato, si sono aggiunti a quelli provocati dagli scontri fra insorti e lealisti gheddafiani. Troppe distruzioni di ambienti non militari motivate dalla caccia al Raìs (già condannato a morte nelle sentenze, imo corde, di Sarkozy e sodali, francesi e non). E c'è un culmine dell'orrore che, da solo, basterebbe a condannare senza attenuanti l'ipocrisia di questo presunto intervento umanitario che puzza di petrolio lontano un miglio: l'uccisione di un figlio di Gheddafi e (soprattutto) di tre nipotini, tre bambini, l'innocenza fatta carne. Un servizio televisivo ha fatto vedere le molte aree civili distrutte dalle  sapienti bombe alleate, e le copiose reliquie architettoniche ancora sotto minaccia, a cominciare dalla splendida Leptis Magna, gloria della Roma imperiale finora rispettata, ma non garantita contro l'incerto futuro.
         Ma quello che emerge con maggiore evidenza dalla trasmissione sono gli errori di valutazione dei nostri pomposi “liberatori” del kappa. Primo errore: l'avere battezzato con sospetta tempistica una rivolta regionale dalle motivazioni localistiche (e parzialissima) come lotta di tutto un popolo per la sacra Libertà, cioè come un nuovo capitolo di quella gloriosa storia della Libertà (incappucciata di maiuscola metafisica) che, cominciata nella Tunisia, dilagata subito dopo in Algeria nell’Egitto di Mubarak, e ai nostri enfatici giorni di caos generale scoppiata e repressa bestialmente nella blindata Siria di un coriaceo Assad. Errore nel semplicismo delle valutazioni precedenti, micidiale abbaglio sul caso Libia: prolifico e di futuro ancora incerto, ma di certissimo presente demolitore. Il secondo errore, la sottovalutazione della realtà socio-politica e militare della composita nazione libica in regime gheddafiano: cioè, l'incomprensione della popolarità del Raìs, della sua capacità di resistenza, la sorpresa per le controffensive parzialmente vincenti. Ai primi giorni dell’azione Nato si pensò e si disse che la “pulizia” sarebbe durata pochi giorni, al massimo due-tre settimane, E siamo al terzo mese di conflitto sempre più esteso, sempre meno controllato nella selezione degli obiettivi e quindi negli effetti letali per i civili.
         Il servizio televisivo di cui sopra fa vedere una realtà di parata, che comprende manifestazioni di affetto per Gheddafi, di condivisione dei suoi obiettivi, e insomma di devozione convinta fino all’eventuale morte in difesa del leader. Naturalmente, questa parte dell’esperienza guidata viene declassata a pura propaganda e recita di regime. Lo sarà, in tutto (improbabile) o in parte. Ma dov’è lo scandalo, o la novità? Non hanno fatto sempre così le dittature? Noi vecchi ci ricordiamo delle adunate e marce e "viva il Duce" della nostra infanzia di Figli della Lupa, Balilla e via salendo (chi scrive si fermò al grado di Balilla, causa la guerra e la sconfitta). Questa marcatura propagandistica toglie sincerità e verità alle  recite e alle professioni d’amore per tanto leader carismatico? Lasciamolo credere a chi può supporre che dei bambini delle ragazzine e degli adolescenti ambo sessi possano recitare, maliziosamente, davanti alle telecamere del giornalista. Tutte le messe in scena del Gheddafi in difensiva fanno ridere meno di una cicalata del Berlù (sempre alle prese con una realtà da seppellire sotto il solito strato di ciarle, oggi più che mai in lotta con l'evidenza di un declino incombente); o di una sbrodolata cretina del Nano sapiente dal cognome sfottente, Brunetta (che nei precari addita "l'Italia peggiore" !), un talento comico sprecato. O, ancora, delle pettinate dichiarazioni di un Frattini condannato al superfluo di coda.
         Le stesse parole di funzionari e personalità varie sulla sorpresa targata Italia: soltanto finzioni, recita, menzogna mediatica? Perché dovrebbero giudicare “serenamente” un intervento assurdo, a distanza di pochi giorni da una visita trionfale come solo l’istrionismo del nostro Premier sapeva ospitare e montare (ah, le impagabili schiere di girls selezionate a disposizione del super amico). E c'è una novità, in campo, per stoppare la cruenta insignificanza di un intervento Nato male e peggio realizzato: una proposta del figlio di Gheddafi Saif Al Islam che ha tutti i crismi per essere presa sul serio. La si legge nell'intervista al Corsera  del 16 scorso, due meritate pagine, che qui soffochiamo, per brevità, nei quasi solitari titoloni e relativi complementi: "Elezioni in Libia, tanto vincerà mio padre" L'intervista. Saif Al Islam, dopo settimane di silenzio, parla a nome del clan: "Il popolo è con noi. Batteremo i ribelli nelle urne" L'erede di Gheddafi presenta il suo piano per uscire dal conflito. "Il vecchio regime è  morto. Ora un governo federale stile Usa". Ancora. "Al voto entro tre mesi, con osservatori internazionali. Accettiamo la Ue, l'Unione Africana, l'Onu, la Nato. L'importate è la trasparenza". Un giudizio sul grande amicone "vasa vasa" (copy right di Totò Cuffaro), dottor Silvio Berlusconi? Inevitabile. Quanto l'accoppiata con l'inutile Frattini: "Berlusconi è in difficoltà. Bene. Non possiamo che gioirne. Lui e il ministro Frattini si sono comportati in modo abominevole con noi". Non sono proposte ragionevoli, queste di Saif? Eppure non hanno avuto eco, finora. Anzi, ne hanno avuto una negaitiva. Ecco un titolo (e delle parole) che non ci saremmo aspettati da Romano Prodi, cioè dal presidente del gruppo di lavoro Onu-Unione-Africana per le missioni di peacekeeping: "Ma con Tripoli non c'è più spazio per mediazioni". Ancora: "Dobbiamo pensare al dopo-Gheddafi e difendere i frutti delle rivolte arabe". L'incipit del testo offre parole prodiane più rivelatrici (e più sconfortanti): "No, non mi pare che sulla Libia ci siano spazi per una mediazione. Chi conosce bene la situazione sostiene che la prima a non volerla è la Nato". Ecco una rivelazione accorante: la Nato, la prima a non volerla, la pace! La Nato, cioè Francia, Inghilterra, qualche altra componente, con l'aggiunta della lontana Cina: le tre "signore" nominate da Prodi. In una nuvola di petrolio in versione vapore. E Così altre vittime civili e altre distruzioni sono garantite. E questi signori osano parlare di pace, emergenze umanitarie, libertà e altra merce fine.
Pasquale  Licciardello 

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