venerdì 25 giugno 2010

La zizzania


“Il Vaticano contro Saramago: è la zizzania”. Questo titolone del “Corsera” fascia la fronte della pagina 15, interamente dedicata all’ “evento”. Il “catenaccio” anticipa qualche dettaglio dell’attacco: “Denunciò le crociate, dimenticò i gulag.” Altrettanto fa la striscetta color celeste pallido che sovrasta il titolone: “Un uomo e un intellettuale di nessuna ammissione metafisica, fino all’ultimo inchiodato in una pervicace fiducia nel materialismo storico.” Firmato Claudio Toscani. Seguito: “Lucidamente autocollocatosi dalla parte della zizzania nell’evangelico campo di grano.” Un crescendo di imputazioni. Cioè di scemenze: “banalizzazione del sacro”, “semplicismo teologico”, e via profanando. Il culmine della requisitoria è questa semplice, chiara, inconfutabile deduzione logica dello scrittore: “Se Dio è all’origine di tutto, Lui è la causa di ogni effetto e l’effetto di ogni causa”. Questo, per la mente ispirata del pm teologale, è il vulnus che attossica tutta l’opera del grande scrittore, (premio Nobel per la letteratura, 1998). Al quale l’eletto inquisitore nostalgico dei bei tempi quando un centesimo di quella evidenza sequenziale portava al rogo, oppone la grande risorsa dei cervelli perduti: il “mistero”, “la divina infinità delle risposte per l’umana totalità delle domande”. Cioè, il nulla, l’evasione dal problema, il sacrificio più caro agli dèi, quello dell’intelletto. Né la persecuzione dell’autore del libro- scandalo par excellence Il Vangelo secondo Gesù da parte dei cervelli perduti ha gli strilli del neonato: anzi, è ben attempata, se comincia già nel 1991, anno di nascita del libro (e forse anche prima). E non è un prelato o un gazzettiere della stampa religiosa a lanciare sassi e scomuniche, bensì un signor politico, il sottosegretario alla cultura Antonio Sousa Lara, un tipico campione dell’infeudamento a quel potere vaticano che garantisce al meglio il voto cattolico. Una razza popolosa anche nell’Italia della doppia sudditanza, altalenante fra Bianco Padre e Casa Bianca. Quel poco originale servo di dio “definì una vergogna per un Paese cattolico l’opera uscita nel 1991 [...] in cui il Cristo è appiattito alla semplice dimensione terrena”. Inespiabile colpa, agli occhi appannati di acqua benedetta. E siccome al peggio non c’è limite, il Toscani aggiunge lardo alla graticola quando definisce quel saggio dell’onestà ragionante “frutto di una faziosità dialettica di tale evidenza da vietargli ogni credibile scopo”. Come si vede, non c’è risparmio di ferocia nell’aggressione del “bianco fiore, simbolo d’amore” di antica e precoce militanza politico-musicale (così ferrigna nel rimuovere gli orrori della seconda guerra mondiale e i suoi 50 milioni di malmorti).
Insomma, siamo alle solite. Chi sta ai fatti, chi ne rispetta la logica è soltanto un presuntuoso, un temerario che secerne “una faziosità di tale evidenza da vietargli ogni credibile scopo”. Sì, siamo alle solite: la carne perduta per l’incanto di una salvezza da sindrome paranoica, il cervello intasato di faziosità senza un buchino di possibile parziale riscatto taccia di faziosità chi la vera faziosità respinge. Dove la dignità della persona rivendica il diritto alla coerenza e il coraggio delle deduzioni e delle induzioni ovvie, il fanatico che ospita nelle viscere del cervello svenduto alla fede il tossico della droga religiosa risponde con i fuochi artificiali delle mere sonorità vuote di polpa noetica: il solito passe-partout del “mistero”, le “infinite risposte”, la “divina infinità”. E si sentono loro, questi campioni dell’insulto alla decenza argomentativa, i veri pensatori. Né meraviglia che intorno al Toscani “cicaleccino” altri bei dialettici del nulla promosso a realtà suprema, popolo delle riviste cattoliche, massa di anime pie che all’occorrenza mettono sotto i pesanti scarponi “fedeli” quei suggerimenti evangelici della mitezza del dialogo dell’accoglienza e via scampanando, che suonano così bene nei sermoni.
Nessuna meraviglia: il livore è di facile prossimità per ogni figlio di ...Eva giurassica. Si ha un bel glorificare il neopallio, è il vecchissimo sistema limbico, la fabbrica delle pulsioni emotive, con il suo ippocampo, la sua amigdala, e via componendo (con ipofisi, epifisi e tiroide) a dettare comportamenti che soltanto nelle minoritarie menti refrattarie agli inganni paralogici riescono a comporsi civilmente con l’aiuto del neopallio. Qui siamo al peggio: incoerenza logica e morale, isterismo liquidatorio, odio grezzo o appena raffinato al peggio dal verbalismo metafisico, questo cancro dell’onestà percezionale e della sequenzialità logica impavida. Mi chiedo cosa si possa “obbiettare” alla sconfinata molteplicità di sofferenze più o meno atroci che la natura leopardiana, “Madre ... di parto e di voler matrigna” ( altrimenti detta “il brutto /poter che, ascoso, a comun danno impera” ) produce in ognuno dei microtempi delle sue cieche vicende, con malattie orrende, devastanti terremoti, tsunami, eruzioni vulcaniche, incendi, guerre, terrorismo, cruentissimi scontri tra credenti di opposte illusioni religiose (in realtà, poi, così simili nel fondo!). Come si può non attribuire alla presunta Causa Prima tutto ciò che accade attraverso le c.d. cause seconde? Chi crede, anziché rifugiarsi nell’insulto e nel pluralismo delle cause e nel mistero che non riscatta da nessun male, dovrebbe accettare questa ovvietà. Già: ma se lo facesse, se ne fosse davvero capace, dovrebbe tirarne fuori le conseguenze logiche: un Ente supremo che, potendo evitarle (ammesso che il responsabile ne fosse un suo Avversario ) non lo fa, dovrebbe essere un mostro supergalattico di crudeltà abietta. Che altro, se no, si può dire di un torturatore e macellatore di bambini, che sono l’innocenza fatta carne (per quanto possa valere la loro malizia auto-difensiva)? E, in verità, in verità vi dico, cari credenti, che voi vi illudete di amare questo (per vostra e nostra fortuna inesistente) Mostro, in realtà lo temete. L’intossicazione infantile, la malattia, e le altre possibili convergenti cause della vostra fede vi condizionano a tal punto da spegnere in voi quella capacità empatica di sentire un po’ come vostre le sofferenze almeno di quei bambini che a milioni muoiono ogni anno di fame, aids, e mille malattie indotte, o tagliati a fette dai machete degli assassini di diversa etnia? Ecco, allora, la disumanità insinuarsi nell’ “anima” del paladino della fede, che si crede tanto buono, tanto mite. E magari non ha versato mai una lacrima davanti alle sofferenze di un innocente di tenera carne. Ecco che si crede a posto con il Vangelo (le sue parti migliori, da estrarre con attente pinze da un magma tutt’altro che accettabile!) chi, pago di ciarle aggressive, e ricco di genuflessioni e di ostie spruzzate, in realtà ne rimane lontano, anche credendo di amare Chi in verità teme superstiziosamente.
Fino a qual punto l’avvelenamento religioso può guastare un cervello capace di ragionare e zeppo di pensiero filosofico-teologico, si può vedere nei densi testi di Sergio Quinzio. Un uomo che dimostra, anzi mostra, con onestà La sconfitta di Dio (insomma, il fallimento di tutte, proprio tutte, le promesse del vecchio e del nuovo Testamento), eppure si attacca ancora al filo logorato della speranza! E’ stato forse dimostrato (scrive) che un futuro diverso non ci possa regalare la resurrezione della nostra (ah, tanto preziosa!) carne? largo, dunque, a madame la Speranza. Un cervello che non si rassegna a scomparire senza rimpiazzi con la dissoluzione fisica della fatale morte è un laboratorio di pseudo-argomenti al servizio della Grande Menzogna. E, purtroppo, della tentazione persecutoria che santa madre Chiesa ha coltivato e praticato fino allo scialo del più mostruoso sadismo.
Che dire, infine, delle corbellerie, delle atrocità, delle plateali contraddizioni del Vecchio e del nuovo Testamento? Già nel Genesi si trovano due o tre versioni della presunta “creazione”. Ma c’è soprattutto quella sentina di ogni atrocità futura, antica e del nostro tempo, che è l’azzardo colonialista della “Terra Promessa”: “Questa promessa”– chiosa Piergiorgio Odifreddi (Perché non possiamo essere cristiani, Longanesi) – “implica che ben undici popoli dovranno essere dislocati dalle loro terre, per far posto alle undici tribù laiche di Israele: alla dodicesima, quella sacerdotale dei Leviti [...] saranno invece destinate quarantotto cità sparse nel paese”. Ma c’è di peggio: le famigerate piaghe d’Egitto, degne di un Hitler assatanato: “Tramutando le acque del Nilo in sangue, infestando il paese di rane, zanzare e mosconi, provocando un’epidemia, un contagio e una grandinata, e oscurando il cielo con cavallette e tenebre. /L’ultima piaga è invece una tragica pulizia etnica, in cui Jahvé stermina tutti i primogeniti degli Egizi e , chissà perché, anche dei loro animali [...] E’ questa bella impresa che gli Ebrei festeggeranno nei secoli come Pesach, ‘Passaggio’ o ‘Pasqua’, perché un segno di sangue d’agnello sulla porta aveva indicato le case da non colpire [...] non vi sarà per voi il flagello di sterminio, quando io colpirò il paese d’Egitto.” La conquista comporta altre mirabilia. “Con l’aiuto di Jahvé, Israele sconfigge i re di Arad, di Sicon e di Og, ‘votando allo sterminio’ i loro popoli e ‘non lasciando nessun superstite’. /Poi arriva la carneficina dei Medianiti, secondo precisi ordini divini: ‘Compi la vendetta degli Israeliti contro di loro, quindi sarai riunito ai tuoi antenati’. Tutti i maschi vengono uccisi e le città bruciate, ma Mosé si adira per il mancato assassinio di donne e bambini”. Indi, rimedia, rivelando il parere del suo Jahvé, ingordo “signore degli eserciti” (per il salmista e tutta la tradizione ebraica (ma non per il Vaticano del duemila, che agli esercirti sostituisce gli astri!): “uccidete ogni maschio tra i fanciulli, e uccidete ogni donna non vergine, ma conservate in vita tutte le vergini per voi”. Si riempirebbe un volume con la descrizione delle atrocità comandate dal superboss celeste e attuate dai suoi fedeli generali che fanno a gara tra loro a chi ha ucciso più nemici. Ogni religione ha un fondo sadico, la cui esposizione operativa si rivelò millenni prima dell’era volgare con la pratica devota dei sacrifici umani: dalla fenicia all’America dei Maja, da Cartagine al Messico e in tutte le parti del pianeta, in un modo o nell’altro, si scialava nell’offerta più cara alla divinità: la carne viva dell’essere umano. Bocconi più ghiotti, i teneri bambini: fa ancora venire i brividi la descrizione che Flaubert fa dell’immane olocausto di bambini offerti a Moloch dai cartaginesi in pericolo di sconfitta militare (in Salambò). Non si pensi che il popolo ebreo non li abbia praticati: dio che ferma la mano di Abramo e salva Isacco è solo il segno della svolta: meglio sacrificare animali che bambini. 
A coprire questo sadismo di gloria salvifica provvedono i soliti teologi di stomaco forte: un campione raro è il supertitolato Jean Galot, autore di troppi libri e in particolare di questo, che scampana in una promessa consolatoria fin da titolo: Perché la sofferenza (Editrice Ancora, Milano, 1989). Vi celebra la funzione della tortura (malattia, eccetera) come mezzo divino di avvicinare il sofferente al Cristo. Cioè, a chiare lettere: “Il vero senso della sofferenza ha cominciato a manifestarsi nel momento in cui è apparsa l’idea della sostituzione dell’innocente ai colpevoli. E’ quanto scopriamo dalla descrizione del servo sofferente [caso Giobbe...Dio] lo incarica di una missione: il servo deve far riuscire il disegno divino di santificazione delle moltitudini e ottenere col suo sacrificio la grazia del perdono. La sofferenza diventa dunque una via scelta da Dio per colui che egli ama in modo particolare, via d’offerta e d’amore. Con la sostituzione, quello che avrebbe dovuto essere castigo viene trasformato in opera di collaborazione, richiesta dall’amore divino. / In Gesù la sostituzione raggiunge la sua dimensione estrema [...] Tutte queste sofferenze concorrono all’autentica perfezione umana [...] Inviando la sofferenza il padre vuol formare, in coloro che soffrono, un volto più somigliante a quello di suo Figlio.”
Ecco una “verità” che gronda sangue e menzogna gravida delle peggiori “deduzioni”: delle quali il fanatismo assassino in giro per il pianeta è solo un’ampia cesta che continua a riempirsi. Un controcanto ineccepibile al monumentale rivoltante sproloquio sopra riassunto è il seguente pensiero di Paul T. d’Holbach (Il buon senso, Garzanti): “Un Dio sufficientemente perfido e malvagio da creare anche un solo uomo, e da lasciarlo poi esposto al pericolo di dannarsi, non può essere considerato un essere perfetto, ma come un mostro di sragionevolezza, di ingiustizia, di malvagità e di atrocità. Lungi dall’ideare un Dio perfetto, i teologi hanno escogitato il più imperfetto degli esseri”. E’ lo stesso “clima” che si respira nell’altra opera di Saramago straziata dalle solite sparate “teologali”, Caino, dove la prime vittime del “disegno del Dio misericordioso” (espressione cara a Giovanni Paolo II) vengono riabilitate, e il dio crudele ritratto con i colori emergenti dal Vecchio Testamento, questo “manuale di cattivi costumi”. 
Una deduzione più onesta di tutto il giustificazionismo imbecille e criminale che riempe le biblioteche è riconoscere che la religione è la prima e più micidiale pandemia che affligge da millenni questa “bella d’erbe famiglia e d’animali”. Che bella non è affatto, né, ahinoi, basta a riscattarne la vocazione fanatico-criminale largamente prevalente quel pochino di “bene” operato dai rari volenterosi altruisti. Il cui merito è tanto più schietto in chi non si attende premi terreni né fantastici paradisi. Quanto ai troppi Galot che straparlano con coriacea insensibilità per la fragile carne tormentata, e ai Toscani, ai Panzeri (Avvenire), ai Castelli (Civiltà cattolica) calunniatori e indegni delle scarpe di un Saramago, un’idea ci solletica le sinapsi: chissà se gli farebbe bene una periodica rieducazione all’uso del trattore contadino?
Pasquale Licciardello

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