venerdì 29 ottobre 2010

Serietà dei CASINI

Casini, come ognuno sa, è sostantivo di nobile tradizione: così erano chiamate, con spiccia sobrietà, le gloriose “Case di tolleranza”, cioè quelle dimore estrose che curavano (è il caso di dire) le primizie sessuali dei giovani maschi (la specificazione aggettivale non sorprenderà il lettore accorto, con i tempi che corrono!). Vi sostavano le “signorine” offerte al nobile compito di quella iniziazione e del suo immancabile seguito biografico. A guidare la Casa era una signora proprietaria dei locali (o anche soltanto affittuaria ben pagante). Le signorine, invece, ruotavano: c’era la famosa “quindicina”, ossia la permanenza media delle officianti nello stesso “sito”: 15 giorni. E quando arrivavano le bolognesi si scatenava un piccolo tripudio nella tribù degli aficionados: avevano fama, quelle fitting and fizzy girls, di eccezionale bravura in certa cinetica della caverna facciale (vulgo, cavo orale).
Ma Casini è anche il nome di un nostro politico di gradevole aspetto, ma afflitto da un morbo contagioso: il presenzialismo loquace. Tanta passione lo vede protagonista di puntuali commenti ai fatti politici del Paese. In tali exploits il Nostro usa spesso la parola “serietà” e i suoi derivati: serio, seria,... L’avverbio “spesso” significa che in una sola intervista ti può condannare a leggere quel “composto” magari dieci volte. Prendiamo quella riportata dal Corsera del 18 ottobre, che tuona al centro della prima pagina con un titolone perentorio: Casini: mai con questo Pd, il cui “occhiello” spiega: “Parla il leader Udc dopo i cortei della Fiom”. “Se seguono la piazza, alleanza impossibile”. L’incipit del servizio suona ancora parole del Casini: “Se l’idea dell’opposizione è quella di creare un’alternativa partendo da piazza San Giovanni, allora siamo fritti. L’Udc non si allea con il Pd se queste sono le loro posizioni”. Avere avuto militanti al seguito della grande sfilata della Fiom (la sezione metalmeccanici della Cgil) che ha riempito la famosa piazza non è stata una cosa seria, per Casini. E lui con le persone frivole non tratta. Ed ecco la prima entrata in scena della paroletta seduttiva (mal servita, tra l’altro, da una scarica di “che” pronome relativo) intenta a frugare nei due schieramenti avversari alla pesca della serietà: “Il Paese si rilancia mettendo insieme a governare le persone serie che nel Pd sanno che seguendo le piazze non si va da nessuna parte, e persone serie del Pdl che non ne possono più di dover sottostare ad un patto in cui è la Lega che dà le carte”. A pg. il seguito dell’intervista premia l’aggettivo magico dentro un titolone a pagina intera e virgolettato: “Appello ai moderati dei due fronti Portiamo al governo le persone serie”. Sotto il titolo in senso stretto, il “catenaccio” specifica: “Casini: niente alleanze con questo Pd, Enrico Letta, Pisanu, Fitto e Follini venite da me”. Incalzato, Casini spiega e chiarisce: salvato il “rispetto” per “le persone oneste” e i “lavoratori che hanno sfilato pacificamente”, è dovere di un leader moderato segnalare la contraddizione implicita nel partecipare a una manifestazione Fiom “proprio nel momento in cui l’esperienza dell’alleanza Lega-Pdl sta arrivando al capolinea, e la gente si sta accorgendo che Berlusconi è bravo a vincere le campagne elettorali ma non a governare”. Danno fastidio alla vibratile sensibilità del Casini “gli slogan e le idee di quella manifestazione” da “Anni 70”, nonché “i manifesti che indicavano come bersagli Bonanni e Marchionne” Né gli piace (a parte il “rispetto” cui noblesse oblige) Nichi Vendola, un amico, per carità, ma anche un estremista che osa accusare il Capitalismo (la maiuscola in conto Casini) “di avere depredato la gente”: si può essere più frivoli di così?, pensa Casini. Qualche speranzella, però, il Bello di casa ce l’ha ancora, visto che ha sentito “Bersani dire che imprenditori e lavoratori sono sulla stessa barca”. Ma una speranzella non è un atto di fede: Bersani non è serio abbastanza, dà “un colpo al cerchio e uno alla botte, posizione che non ha grande respiro”. Insomma, se la “sinistra moderata” vuol essere “parte costitutiva seria” (e dàgli!) dell’alternativa a Berlusconi, “non basta non partecipare al corteo della Fiom” (merito di cui si dà atto al leader Pd). Come non sufficit che Vendola sia “un interlocutore importante sulle regole”, perché “sul piano programmatico è ben lontano dalle stesse posizioni della sinistra europea come la conosciamo in Germania, Francia, Inghilterra”. Non resta a Pierferdi che auspicare una santa alleanza tra le “persone serie” invocate nel titolone. Se poi l’intervistatore gli fa notare che con la sua insistenza sulle “persone serie” il patron dell’Udc “si sta augurando una rottura nel Pd dopo quella avvenuta nel Pdl”, non senza sottolineare che questo “non è un bel modo per convincere Bersani a cambiare rotta”, Casini svicola, scivola, come un’anguilla bagnata nelle mani del pescatore. E, scivolando, cade nel ridicolo éclatant: “Io mi auguro che il Pd scelga, come mi auguravo che il Pdl scegliesse, non che si spaccasse”. L’ingenuo! Suggerisce ad ogni battuta la rottura e nega di augurarsela! Ma la serietà del Casini non si profila soltanto in queste puerilità, è più tosta, e scocca ben altre frecce dal suo arco polemico. Serietà alla Casini significa un bel po’ delle seguenti postulazioni: non è lecito attribuire disastri al Capitalismo; non si devono dare dispiaceri ai signori padroni; le trattative lavoro-patronato devono ripetere ad infinitum il modello Pomigliano; Marchionne è un galantuomo, e nessuno si deve permettere di criticarlo (o peggio, mandarlo al diavolo, magari con la scusa della... presunta somiglianza fisica); il collateralismo partito-sindacato è una sorta di incesto politico; le periodiche, e puntuali crisi finanziarie sono dovute esclusivamente all’ingorda ingenuità di pochissimi speculatori; anche soltanto evocare lo sciopero generale è una bestemmia politico-sociale (forse anche religiosa? dove se ne va la mitezza evangelica?). Nell’attesa di eventuali ulteriori implicazioni, proviamo a sbucciare le suddette. Il capitalismo “casinaro” diventa una res sacra, una specie di nuova Ecclesia governata da un’originale e sottintesa nuova Bibbia: tali i toni del j’accuse udc(inico) contro i suoi contestatori. I padroni sono perfusi della sacralità del Pensiero unico maiuscolato: sacri anch’essi. Bisogna chiedere con grata umiltà quando ci si rivolge alla loro paterna disponibilità. Fermo restando che se essi non concedono quanto è appetito dai postulanti, ciò non rivela una qualsiasi loro insensibilità verso i sottoposti (quale fitness in questo malinconico aggettivo!), ma soltanto un’impossibilità oggettiva. E dunque è dovere dei lavoratori accettare le eventuali briciole concesse dal padrone come il massimo che egli possa fare in quel dato tempo e in quelle condizioni economico-sociali. Pomigliano non ha dato quanto richiesto dai lavoratori, ma pur tra mugugni di taluni e parolacce in pectore, si è accettato quell’accordo come l’unica soluzione possibile nel contesto della santa globalizzazione. Non dimentichino, gli operai e i signori leader sindacali, che un capo aziendale deve garantire profitti all’azienda, costi quel che costi. Se non riesce a farlo in patria, fila all’estero, Serbia, Romania o Cina che sia: c’è per nulla l’altra santità, la faccia globale del nuovo liberismo?
Esageriamo? Non credo: la serietà sventolata come sacro vessillo dal genero del miliardario Caltagirone cela quelle implicitezze. La moderazione dei moderati alla Casini è un pungolo che ferisce, con la punta rivolta verso i lavoratori. Come tutti i dogmatici, il Casini chiude gli occhi davanti alle evidenze oppositive: le crisi finanziarie, e dunque economiche e sociali (spesso drammatiche fino all’epidemia di suicidi: lo sa Casini, quante vittime da disperazione ha già fatto l’ancora non cancellata attuale crisi?) sono state, e saranno, una costante della storia capitalistica: a scatenare l’ingordigia caca-crisi (se mi si scusa l’energica cacofonia) è la natura stessa del capitalismo, ben riassunta nel motto settecentesco enrichissez-vous, arricchitevi, ma i signori dogmatici del liberismo sono come i credenti religiosi: tutta la storia infame della non benedetta umanità nega i postulati di qualsiasi religione che supponga un Dio giusto e misericordioso, e altrettanto recita la Natura con le sue mille schifose malattie e i non meno torvi disastri ambientali, ma non per questo il numero dei credenti scema (tanto meno quello dei fanatici assassini di certe fedi intolleranti e militanti, Islam in testa). Ogni disposizione emozionale fideistica pratica la serietà casiniana. Un campione frenetico di siffatto liberismo è l’ex direttore del Corsera, Piero Ostellino, che scatta a sua difesa ad ogni stormir di fronde avverse: l’ultima sua discesa in campo è un intervento apologetico su quel giornale (del 20. 10) come risposta al suo amico Guido Rossi: lo ringraziamo per l’esplicitezza del titolo: Perché la crisi finanziaria non è una crisi del capitalismo. Gli argomenti sviluppati in questa difesa sono i soliti: li abbiamo criticati in altre occasioni. Quanto alla psicologia dei grandi manager, l’ha esposta spavaldamente proprio quel Marchionne sopra non lodato nella trasmissione Che tempo che fa, spiegando a Fazio come qualmente l’Italia sia, per la Fiat, una sorta di palla al piede. Ecco un titolone del Corsera del 25. 10: “L’Italia un peso per la Fiat”. E le ispirate parole del supermanager: “La Fiat ha fatto due miliardi di utile nei primi nove mesi 2010 e nemmeno un euro viene dall’Italia [...] Se potessimo tagliare l’Italia faremmo di più”. Ecco, insomma, un chiaro caso di serietà casiniana. Soltanto, un po’ più sincero, e perciò più cinico e provocatoriamente brutale. Ma questa è l’essenza del capitalismo schietto: monetizzare la vita, elevare il profitto al vertice di un’assiologia mammonica. Ai deboli, agli operai, briciole, e salate di fatica eccessiva. Il Marchionne è ancora disponibile per un’ulteriore pennellata al delizioso quadretto: ha stracciato l’accordo di Melfi riducendo di 30 minuti le pause, insiste nell’imporre il modello Pomigliano, perfino peggiorato, alle altre fabbriche. E via celebrando Mammona Pantocrator. Le reazioni? Tolte quelle della Fiom, vibrate e oneste, il resto è acqua tiepida (Bonanni) o spudorata condivisione. Ecco i fuochi pirotecnici del vicepresidente di Confindustria, dal cognome-omen, Bombassei: “Ho sentito cose del tutto condivisibili. Marchionne avrebbe potuto dirne molte di più”. Ancora: “Le questioni che la Fiat ha posto a Pomigliano d’Arco rappresentano una svolta per l’intero Paese. Non penso tanto alla questione dei dieci minuti di pausa, non è su quel terreno che si gioca la questione dei diritti. Penso piuttosto che Pomigliano sia l’occasione per sconfiggere una cultura, quella dell’antagonismo nei luoghi di lavoro”. Capìta l’antifona? Gli operai si rassegnino: niente antagonismi, solo accettazione dei diktat padronali. Sennò come convincere gli investitori stranieri “a scommettere sull’Italia” ed evitare che le nostre aziende “fuggano all’estero”? Insomma, sgobbare di più e ...mangiare di meno. E che sia la politica a fare eventuale beneficenza per i minus edentes.
Alla serietà casiniana, naturalmente, sarebbe troppo facile associare quella della stragrande maggioranza dei nostri politici moderati. Per esempio, la serietà guerriera del Fioroni, che scatta su un metaforico “attenti” di battaglia per dichiarare papale papale un ghe pensi mi di marca arcoriana: insomma, s’impegna a vigilare perché il Pd non cada in tentazione: Fioroni: impedirò che il partito scivoli a sinistra! (Corsera, 19. 10). Questo enfatico fiore di cattolico panciuto predica la tolleranza (francescana?) a chi tenta di salvare lavoro e famiglia, magari fino a provare con lo sciopero generale (torva bestemmia da anni settanta, secondo la serietà bacata dei signor Casini e assimilati!). Un mese fa il signor Beppe promosse un “movimento” dentro il Pd per compattare i cattolici doc del partito, allarmati da certe sensibilità di sapore “eretico-sinistroide”. L’iniziativa suscitò un largo coro di commenti negativi nell’ibrido partito: vi si avvertiva, fondatamente, il cattivo fiato della potenziale scissione. Ma il campione si difendeva con verbosa energia: “Io provengo da quel grande partito popolare di massa che era la Dc: per noi i documenti politici che proponevano soluzioni, indirizzi e una linea erano il pane quotidiano della partecipazione democratica. Non ho memoria di documenti politici che, anche in periodi più caldi di quello attuale, siano stati oggetto nell’allora Democrazia cristiana di anatemi, scomuniche e censure”. Oratoria vibrante di passione missionaria, come si vede, che ha un suo culmine nel passo seguente, dove si punta il dito contro i censori interni: “Un ragionamento politico che mette in movimento idee, aperto al contributo di tutti, può minare l’unità solamente in chi ha l’ossessione del pensiero unico o in chi non riesce a superare l’idea che il partito è la sua maggioranza [...] Non si può venire aggrediti e linciati per un documento di proposta politica. Non c’è un partito al mondo che non riterrebbe la nostra iniziativa un arricchimento e un contributo”. Tanta eloquenza per un’esile sostanza: aiutiamo i deboli, ma non diamo dispiaceri a Sua Santità e sacro Seguito!
Il peggio di questa trovata è che ha come primo motore l’ex segretario Pd, Veltroni, un altro moderato: onesto, in verità, ma poco accorto. Anche se da un po’ di tempo sta frenando la pulsione politicamente suicida. Ed evita di fare visite di cordoglio ai segretari di Cisl e Uil. A consolare Bonanni degli aggressivi striscioni Fiom ci ha pensato Fioroni, andando a trovarlo “con gli ex popolari della corrente dei 75 per dare la sua solidarietà” a tanta vittima. La quale, in realtà, non ha risparmiato insulti verso Epifani e “compagni”. Ancora Fioroni: “evitiamo che i moderati scappino dal Partito democratico. Il rischio oggettivamente, c’è, però saremo noi a garantire che non vi sarà nessuna riedizione del Pci”. E non s’illuda, Casini, pensando che il Pd possa “fare la gamba di sinistra, mentre a fare il centro ci pensano lui e il suo partito”. Domanda dell’intervistatore: “Dica la verità, Fioroni, lei adesso sta parlando a nuora perché suocera, ossia Bersani, intenda”. Risposta tosta: “Logico”
Se il Pd è agitato, il Pdl non sta fermo. Grandi manovre sono in corso per fargli una cura ricostituente: abolizione delle “quote” (nate dall’infelice matrimonio d’interesse con An), rivitalizzo dei coordinatori, eccetera.
Mentre il grande Capo si esercita nel suo gioco vocazionale: prendere a calci spettacolari logica coerenza credibilità...Vìstosi bocciato dal Colle il famigerato Lodo Alfano – nuova edizione (viziato da una cantonata contro l’articolo 90 della Costituzione), spara questa sintetica barzelletta: “A questo punto, si ritiri il lodo, che io non ho mai chiesto né voluto” . Repubblica it si acciglia: suggerisce di non ridere a questa “sfida” del premier, perché sottende un pensierino poco amabile. Questo: dico quel che mi pare, tanto gli italiani sono cretini (o, almeno, una gran parte). Noi ci ridiamo, invece, ma con il già “trilustrico” amaro in bocca. Né si ferma, l’amabile barzellettiere: nel giro di pochi giorni ne ha sparate una decina. Ne ricordiamo ancora un paio. Nel settimanale televisivo Report Milena Gabanelli rivela la storia delle ville acquistate da Berlusconi ai tropici, compresa quella, imponente, nell’isola tropicale di Antigua, intrecciando rapporti poco ortodossi con società e banche (la banca Arner, già sottoposta a ispezione da Bankitalia, per sospetto riciclaggio). La conduttrice ha mostrato fior di documenti, ma lo staff dell’inner cercle (la cerchia intima) del conducator arcoriano è scattata combatta a difesa del padre spirituale. L’avvocato Ghedini-ghigno ha chiesto alla Rai di non mandare in onda Report (mancava il contraddittorio!), il nuovo ministro Paolo Romani ha definito la trasmissione “una puntata francamente odiosa”. E zitti sugli altri sproloqui del coro.
Intanto scoppia la nuova guerra della spazzatura a Napoli e dintorni. Scontri, incendi, toni di sfida, feriti, e, aspettando il morto, l’immancabile sparata di padron Silvio: “In dieci giorni, problema risolto”. Testuale: “Dieci giorni per tornare alla normalità”. C’è per nulla Bertolaso superman? Dieci piccoli giorni, e l’inghippo di anni e decenni sarà sciolto. Intanto sulla stampa corrono titoli come questi del Corsera: Le bombe lungo la strada verso la discarica. Nella notte ancora scontri, cinque fermati. Il questore: è una guerriglia organizzata. “La protesta delle donne che fermano i camion inginocchiandosi. Occupati i municipi di Boscoreale e Terzigno” (20. 10). Rifiuti, i sindaci non firmano. Bertolaso: lo Stato va avanti. “Applicheremo le misure unilateralmente”. Ancora scontri e feriti, sequestrato esplosivo. Il vescovo di Nola. “Non basta congelare la discarica” Insomma, siamo in pieno fermento: da un momento all’altro può emergere il peggio. Cioè, l’eredità di decenni di malgoverno regionale e municipale, di complicità camorristiche, di lassismo criminale.
E qui ci fermiamo, con un pensiero amaro sulla qualità dei nostri politici (le minoranze ammodo non riscattano le masse corrotte o incapaci (non si fermano le scoperte del malaffare): da Lonardi a Scajola, di nuovo in ballo, all’insospettabile Maroni, non c’è che l’imbarazzo della scelta per pescare indagati e sospettati di irregolarità varie.
Allora la nausea ti salta alla gola e magari ti suggerisce un confronto non favorevole ai nostri moderati sazi: c’era più serietà nei casini con la minuscola che ora in quelli con la maiuscola. Quegli ambienti disprezzati (dall’ipocrisia corrente) davano quel che promettevano, senza frodi e vane lusinghe: la serietà dei nostri moderati politici incrementa disoccupazione e cassa integrazione (che, di corto respiro com’è, non risolve il disagio delle famiglie”). Il tutto, mentre continua indisturbata la pacchia dei grossi compensi per deputati e senatori, grandi manager e divi delle tivvù (e perfino dei barbieri del Quirinale). Né si toccano le Camere pletoriche, né lo spasso delle infinite macchine blu, né gli sprechi provocatori delle inutili Province e delle ingorde Regioni. Ma il propagandista della serietà, l’ineffabile Casini, non trova di meglio che attaccare per l’ennesima volta Di Pietro con accuse bizzarre e sognare nuovi governi senza elezioni. Decisamente, c’era più serietà nella “c” minuscola.
Pasquale Licciardello

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