Il libro di Bruno Vespa fa bella mostra di sé in uno degli scaffali del reparto libri e cartoleria di un supermercato: Nel segno del Cavaliere. Ne emana un interrogativo: quale sarà questo segno per Vespa? La presentazione web assegna all’autore il merito di “un’angolazione tanto paradossale quanto inedita” nel rivisitare “la storia italiana degli ultimi diciassette anni”. La meraviglia consisterebbe nell’aver seguito “da vicino il percorso privato e pubblico di Berlusconi, con le sue luci e le sue ombre” come l’unico modo per capire “perché quest’uomo – dato per politicamente finito ogni volta che ha perso le elezioni – è sempre riuscito a risorgere, condizionando la politica italiana anche negli otto anni trascorsi all’opposizione”. Il segno ipotizzato da Vespa dentro quel perché non lo illumina abbastanza. E non solo per le ombre troppo pallide. Berlusconi è un Proteo, un “animale” sfuggente per le classificazioni sbrigative: i suoi tanti aspetti rendono impervio il cammino verso una semplificazione dogmatica. Magnate, politico, barzellettiere, Epicuri de grege porcum (a dirla con Orazio), sciupafemmine, maniaco delle minorenni, imbroglione..: sono tutti lati del suo poliedro psicofisico, ma nessuno appare decisamente prevalente fino a poterlo caratterizzare in toto. Non solo: ciascuno degli epiteti tende a ramificarsi. Diciamo magnate? Certo, lo è, ma in estensione plurale: magnate dell’edilizia (“Milano 2”, “Milano 3”...), magnate delle televisioni (non solo le sue 3 reti, anche pezzi di altre), dell’editoria cartacea e telematica, delle librerie, della pubblicità, delle agenzie di produzione programmi, e via ramificando. Politico? Come no. Ma di quel genere particolare che ha (avuto) pochi e minori precedenti rispetto all’ibridata versatilità berlusconiana. Ed è anche una cosa ovvia: un tipo che ama le donne e la bella vita e le facezie e si porta dentro queste qualità anche nel mestiere più difficile, appunto la politica, non è certo un unicum, (basta pensare ai fratelli Kannedy), ma non sono folla. Certo l’Europa non ha mai avuto un premier simile al nostro. Che dico! neanche lontanamente comparabile.
Eppure ci dev’essere, nel suo dna, un gene che sovrasti tutti gli altri. Leggendo quel geniale e ponderoso thriller di un autore proteiforme (ma ben diversamente dal Cavaliere) qual è Giorgio Faletti, dall’eccitante titolo Io sono Dio ci imbattiamo in un motto evidenziato: The only flag. Si tratta del motto che i pirati stampano sul loro vessillo, e significa, letteralmente, “La sola bandiera”, nel senso che sarebbe l’unica eccellente, il migliore emblema (della virilità, della forza, eccetera). Ed ecco che mi si accende la lampadina che nei fumetti indica “idea”, botta di mente: potremmo indicare una only flat berlusconiana? L’associazione fisiologica implicita non concede titubanze: non solo possiamo, ma tocchiamo il massimo consentito nella caratterizzazione del personaggio. Non è una specie di pirata? non si sente come il migliore degli uomini estroversi e versatili (affari, politica, galanteria...)? Ecco, dunque, una chiave abbastanza incisiva e duttile per interpretare la complessità “silvestre”. Don Silvio è quel mucchio di “cose” che è in quanto in ciascuna stampa il marchio di fabbrica della vocazione piratesca.
Genetisti di valore, non afflitti, cioè, da tare idealistiche e residui spiritualistici, ripetono che il nostro destino è scritto nelle triplette biochimiche delle doppie eliche cromosomiche. Non che vi siano inscritte le vicende “esterne”o determinate le scelte professionali, ma il modo di reagire e di agire in qualunque scelta, e una certa restrizione nelle scelte, sì. In questo senso Berlusconi è un pirata. Del resto, è tutta la sua vita pubblica che lo prova: abbiamo scritto della sua insofferenza verso le regole, dunque verso leggi e regolamenti, restrizioni e costituzioni e relativi custodi (magistratura, eminenze costituzionali, assemblee e corpi politici o religiosi, ecc.). La prima prova della fisiologia piratesca è la storica amicizia con Dell’Utri, uomo-mistero, ma con due chiare condanne per mafia, primo grado e appello. Potrebbe risultare innocente dopo l’atteso transito in Cassazione? E sta bene, ma intanto il senatore lascia tracce che possono orientare nel senso peggiore: per esempio, l’elogio al finto (e defunto) stalliere di Arcore, Mangano, da lui definito “un eroe”, mentre era da tempo schedato come mafioso. Don Silvio rispose con entusiasmo all’invito dellutresco di darsi alla politica. E nacque la c.d. Seconda Repubblica, copertura finanziaria più che generosa, terreno sgombrato da molesti ostacoli umani: tale è la versione, alquanto plausibile, di alcuni pentiti e di Massimo Ciancimino.
Le ultime vicende nella biografia del premier, come ogni suo gesto anteriore, sono improntate alla tecnica del pirata: arraffare e sparare fendenti di menzogne, imbrogli, finte e controfinte, depistaggi, invenzioni funzionali al proprio interesse, telefonate fatte e negate, o “travisate”. Vediamolo alle prese con lo scandalo scoppiato dall’arresto per furto dell’affascinante marocchina Ruby: l’intervento del premier vitellone è subito caratterizzato dalle bufale: la parentela con Mubarak affibbiata alla minorenne ragazzotta, l’ennesima delle sue “protette” (ce ne saranno altre, per ora nascoste?). La vicenda, tuttora in pieno svolgimento, ha dato la stura a rivelazioni e amplificazioni su nuovi soggetti del gentil sesso implicati, che coinvolgono amici, “domestici” politici e televisivi, ministri. La prima cosa che salta agli occhi è la diffusione della menzogna “ambientale”, anzi il mentire progressivo, una ciliegina tira l’altra. Mubarak zio, l’affido alla sua “dipendente”, Nicole Minetti (una delle “gallinelle” messe in lista dal supergallo), la balla delle “case di accoglienza” senza posto per la ragazza. E via tacendo. Ma la più bella balla, la madre delle altre, è quella del suo buoncuore che lo porta ad aiutare chiunque gli si rivolga per bisogno. E non perché di aiutare non sia capace, anzi: la balla nasce quando la generosità pelosa viene drappeggiata da altruismo disinteressato. Nel caso, a botte di 5000 euro per volta. Più regali in oggetti costosi. Come i cerchi di un sasso nello stagno, l’affaire dilaga e coinvolge sempre più persone: altre donne, escort in vena di pubbliche rivelazioni, smentite di ministri coinvolti, di giornalisti gratificati dal Paperon pagante, come Emilio Fede, primatista del lecchismo certosino, o il nano Brunetta, già aspirante moralizzatore e castiga-sfaticati. Tutti negano, ovvio: nessuno ammette di avere toccato escort e minorenni al di là di una innocente stretta di mano o di casti bacetti su innocenti guance e casta fronte.
E’ il caso di aggiungere che gli uomini del suo entourage di bugie e barzellette ne sparano non meno, e non certo meno esilaranti delle originali certosine? Prendiamo il cardinalizio Bondi, che, replicando al solito recital parolaio di Galli della Loggia (Il coraggio della verità, Corsera 1°. nov.), che parlava di verità al Pirata come a un uomo normale, prevede-minaccia il caos in un eventuale vuoto arcoriano. E bolla il Corriere come afflitto dalla fissa del delenda Cartago, posto che la Cartagine metaforica sia il governo in atto e il partito che vi sta appollaiato sopra. Il bravuomo esamina la situazione italiana, constata l’insignificanza della sinistra e l’impotenza di ogni altra bottega politica, e predica: “Berlusconi altro non è che la vittima del male profondo che attanaglia questo Paese, quel male che, dalla politica alla cultura, dall’informazione alla giustizia, mortifica e si oppone ad ogni serio progetto di rinnovamento”. In coda a questo acuto da pulpito veggente il cardinaloide gorgheggia l’elegia del dolore personale per tanto sfacelo: “Vivo con angoscia questi giorni, non solo per l’ennesima campagna scandalistica e giudiziaria contro un uomo da sedici anni sotto un attacco disumano e senza precedenti in una democrazia occidentale, ma anche per le conseguenze che ne potrebbero derivare.” Al languore elegiaco Bondi oppone, seguitando, un piglio savonaroliano incollato alla previsione di quelle “conseguenze” e comicamente ottimista sul valore assoluto del suo Côté politique: “Sono convinto infatti che solo il Pdl di Berlusconi e la Lega di Bossi possono guidare oggi l’Italia attraverso i marosi dell’attuale crisi e garantire una politica di modernizzazione. E so per certo che non vi è un’alternativa a questa politica e a questo governo. L’unica alternativa è il caos e il ritorno alla palude della vecchia politica, che porterebbe rapidamente l’Italia verso il baratro e la rinuncia definitiva al cambiamento”.
Abbiamo appena letto uno sproloquio farcito di rinsecchite parolette rimodellate in neologismi magici: vecchia politica, cambiamento, rinnovamento, e via suonando. Sono tre lustri che le ripetono, non tanto il Pirata quanto i suoi ministri e faccendieri. Che sono, la loro parte, ingenui e fideistici, ma non quanto testimonia il candore abbaziale del Bondi: forse l’unico a soffrire del presente andazzo, e anche se non ha la forza di vedere, prima, e poi di rinfacciare al suo patron la realtà e consigliarlo per il meglio (o il meno peggio) possiede almeno l’attenuante del candore da Novellino. Cosa che non si può dire di un Cicchitto, un Lupi, un Buonaiuti, e via elencando, con un occhio di riguardo alle ministre e altre figure femminili del seguito, non meno del Bondi penetrabili dagli slogans di battaglia e dalle sonorità “metafisiche” del soprastante modello: cambiamento, rinnovamento, riforme, e simili, senza contenuti caratterizzanti, stonano come distrofie neuronali. Risultati: sacralizzazione della parola e caos semantico. Il cambiamento può svolgersi nei due sensi opposti: positivo e negativo. E quello che abbiamo visto gattonare finora è del secondo tipo. Ma i berluscones non amano i dilemmi e vedono un solo colore: l’azzurro del successo. Che. se non è ancora completo, è per colpa della satanica sinistra e dei suoi complici, evangelicamente ignari di quel che che fanno.
Non c’è traccia di candore, invece, nel ghigno osceno di Ghedini-zombi quando spara questa meraviglia di puttanata: “Continua un’incredibile strumentalizzazione di una banale telefonata quando i fatti sono ormai ampiamente chiariti. Di una vicenda assolutamente priva di ogni connotazione negativa si sta tentando di creare un caso mediatico e, per alcuni, addirittura giudiziario”. Ghedini teme che il Pirata possa ricevere il trattamento riservato a Lele Mora, Emilio Fede e Nicole Minetti, “l’igienista dentale” del premier ed ex ballerina Tv, eletta, per volere di Silvio, alle regionali lombarde (lista di Formigoni il politico di Dio, indi uomo di tutte le castità ), indagati per favoreggiamento della prostituzione e abuso di minori. Perciò s’illude che, abbaiando, qualcuno del “complotto” si spaventi: “Sarebbe davvero gravissimo, anche se contro il presidente Berlusconi ormai si è assistito nel corso degli anni alle più assurde fantasie, che qualcuno potesse costruire artificiosamente ipotesi di reato così come suggerito da certa stampa, su un comportamento che non può che essere valutato come caratterizzato da contenuti assolutamente positivi”. Tirando il respiro, dopo questo tour de force addosso a quella congesta prosetta prolissamente notarile e di sgradevole sonorità, cosa si può immaginare di più cretino in una simile sortita adulatorio-difensiva? Inchieste ancora in corso, convergenze di confessioni plurali ed esibizioni di figure in ballo, e questo signor-ciarla pompato dai milioni del padrone fa il galletto minacciante. E se questa spocchia rallegrava cronisti al fronte e lettori piccati di ieri, 2 novembre, gli stessi, oggi 3, godono del previsto rilancio del Rinaldo in campo: infatti, i giornali odierni recano la notizia che assolve Berlusconi dal sospetto affidamento illegale della ragazza. Che altro aspettarsi se non titoli come questo del Corsera? La procura di Milano: l’affido di Ruby fu regolare. Il Pdl: la bolla si sgonfia. Se la sfera Pdl gongola, dentro il suo volume Ghedini tripudia...Invano questi titoli dettagliano così: “Fase finale ‘corretta’, al vaglio le presunte pressioni” (occhiello del Corsera). Quel vaglio non disturba l’euforia del canile latrante di frettolosa gioia. Né il Cavaliere si muove per frenare tanta agitazione prematura. Anzi, rilancia e la spinge all’isterismo sensuale sparando una delle sue provocazioni ad alta risonanza: mi fate una colpa del mio debole per le belle donne? Ed io me ne vanto coram populo e pimento il vanto con uno sberleffo alle checche (questa parolina gentile non l’ha pronunciata, in verità, ma giureremmo che quel gay spolverato al suo posto ne era la maschera pubblica). Ecco il cocktail nel titolone del Corsera lungo quanto larga l’intera pagina 10 così dedicata: “Primo piano. Centrodestra Il premier”, al fianco, un pensierino severo di Paola Concia, del Pd: “Nessun politico europeo pensa, né si permetterebbe mai, di fare una battuta così spregevole nei confronti degli omosessuali.” Così il coro delle proteste viene gonfiato sempre più e il Berlù se la ride di gusto, in cuor suo spregiando tanta ipocrisia (che altro potrebbe essere per lui, questa pruderie?). Ma volgiamoci al testo dell’articolo, dove le parole testuali del mandrillo sono queste: “Meglio essere appassionati di belle ragazze che essere gay”. Tiè. Il cronista assicura: “Frase che ha costretto le agenzie di stampa a un superlavoro per la valanga di reazioni che ha provocato”. La sortita (alla Fiera di Milano) è parte di una strategia difensiva che mescola la battuta provocatoria al collaudato “numero” del processo a chi lo processa: magistratura, stampa, format televisivi ostili. Lui svampa di pubblico sdegno, ma se la gode: questa duplicità reattiva non entra nelle “coscienze” dei suoi detrattori, né in quelle dei consiglieri. E’, la sua, una pulsione genetica, cui non si resiste. Questa sua reiterazione di marachelle sessuali (o di innocue galanterie con signore istituzionali straniere) lo diverte, per così dire, a ventaglio: per il giochino in sé e per le reazioni moralesche che suscita intorno a sé. Capita anche a persone di specchiata correttezza sociale e severa morale di avvertire un moto di simpatia goliardica per questo scavezzacollo impunito e incorreggibile. Quella sua faccia tosta riesce a farsi perdonare per la sua stessa reiterata spavalderia. Una non risibile parte dell’itala gente dalle molte vite ama questo rodomonte dell’inganno e del successo economico. E non è un caso la presenza di molti personaggi del bel sesso tra i suoi collaboratori: dalle ministre alle... vivandiere. Il Bucaniere ama confessarsi in pubblico, a tal punto che soffre se deve proprio frenarsi: sa che a molti piace e che certo non dispiace alle belle donne, affascinate, se non dal suo fisico, dai suoi miliardi, segno del savoir faire che conta. Ecco un’altra pubblica confessione (questa, “allocata” a Bruxelles): “Amo la vita, amo le donne. Faccio una vita con sforzi disumani. Se ogni tanto sento il bisogno di una serata distensiva, nessuno mi potrà far cambiare il mio stile di vita, di cui sono orgoglioso.”.
Dinanzi a tanta saldezza di coerenza fra dire e fare, i suoi detrattori hanno la vita difficile. Come quel pupazzone di plastica di qualche decennio fa, don Silvio puoi piegarlo a terra per qualche secondo, ma appena lo molli ritorna dritto: si chiamava “Ercolino sempre in piedi”. Si dirà: allora non c’è niente da fare? Bisogna rassegnarsi all’attesa della sua scomparsa materiale? Ricordate quella battuta di un celebre film con il mitico Bogarth: “E’ la stampa, bellezza! E tu non puoi farci nulla.” Così è del bucaniere Berlù. Poi, diciamocela tutta: che specie di oppositori ci ritroviamo? gente pallida: di pensiero, di programma, di oratoria (assente). L’unico oppositore tosto e coerente è Di Pietro, ed è “fuggito” come la peste da certa dirigenza così detta di centrosinistra (per tacere dell’incensato Centro!). C’è anche Grillo, è vero, ma anche lui, utile e convincente, non attrae abbastanza la “gente seria”. Il duo Tonino-Beppe è troppo emotivo, sciamannato, urlante per i notai ragionatori dell’opposizione “assimilata”. Né il meno piccolo dei partiti oppositori è coeso e compatto: al contrario, linee di frattura potenziale continuano a renderne precaria la consistenza-resistenza. Per esempio, quella coabitazione fra cattolici vaticanofili e laici timidi: come può saldarsi in compatta omogeneità programmatica? Conosciamo l’obbiezione: se perdiamo i cattolici, cosa ci resta? A dirla ottimistica, mezzo partito. Risposta: meglio mezzo compatto che un intero frastagliato. Lo stesso vale per certi giovanotti sensibili alle casinerie: meglio perderli che trovarli (anche se hanno cognomi famosi!).
Tornando al Bucaniere. Dilettiamoci ancora un po’ alle castronerie dei seguaci e dei critici sprovveduti o di lui peggiori. Cicchitto, precedenza assoluta: Donde la sicurezza che ostenta sulla sorte del governo? E Perché non accettare un appoggio esterno dal Fli? Naturalmente, assolve il premier delle sue marachelle. Distinguere tra amare le donne e frequentare minorenni? E’ una parola. Meglio scivolare, sorvolare, stendere un pietoso silenzio sulla ragazzotta piacente da 5000 euro ad incontro (paterno, dice Cicchitto, pura opera di beneficenza, come sostiene il principale). Alle cicchitterie Adolfo Urso [Fli] risponde: “La battuta sui gay è da osteria, come Italia abbiamo fatto una pessima figura a livello internazionale”. Forse. Ma Silvio risponderebbe: state facendo un casino di una battuta scherzosamente provocatoria. Vi mancano argomenti più di peso? Julianne Moore: “Ha detto davvero così? Mi sembra un giudizio arcaico, idiota, infelice, imbarazzante”. Dall’interprete di un film su una relazione lesbica che altro aspettarsi?
Alfonso Signorini, direttore del settimanale Chi, gay dichiarato: “Sono sicuro che è stata una boutade, ma molto infelice e quand’è così si dice.” Prende le distanze, ma non diserta: “Sono sempre dalla sua parte e lo sostengo. Abbiamo parlato più volte di omosessualità e non l’ho mai trovato prevenuto. Io stesso ne sono la prova acclarata, visto che dirigo due corazzate Mondadori come Chi e Sorrisi e canzoni”. La reazione più tranchant la dobbiamo alla bocca larga della Santanché: di cosa vi scandalizzate, razza di bacchettoni? Tutti (sottinteso, i maschi) la pensano così, anche se non hanno il coraggio di dirlo. E il botto reattivo non si fece aspettare. Però per una volta quella bocca merita plauso e non l’auspicata transferta in più gai (gai, non gay!) impegni. Ma stop a quello che ormai è più gossip che dramma.
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Al momento di licenziare questo articolo un Evento (la maiuscola non è uno scivolo di tasto) ci ferma: il trionfo (non è un lapsus calami) di Fini alla prima convention di Fli a Bastia Umbra (Perugia): un Fini inatteso, che dà l’ultimatum a Berlusconi: vattene! Questa la sostanza dura e pura dell’exploit oratorio finiano. Le parole che la contengono sono meno drastiche, ma hanno un retrogusto ambiguo, non privo di un’infiltrazioncella ironica. Eccole: “Berlusconi deve mostrare coraggio (sic!), dare un colpo d’ala: rassegni le dimissioni e avvii la discussione per una nuova agenda e un nuovo programma”. Insomma, un nuovo governo. Con gli stessi alleati, se ci stanno, ma anche con l’Udc. Un tuono di applausi dal popolo del nuovo partito, giovani in prevalenza. Ma nessuno in fronzoli nostalgici. Ce ne occuperemo, forse, a situazione maturata. Per ora registriamo la replica indiretta del Pirata in veste di San Tommaso: se non vedo (e tocco) non credo. In chiaro: “Mi sfiduci in Parlamento, se vorrà assumersi la responsabilità”. Il trono trema: Berlusconi confida di non aver perduto ancora la maggioranza alla Camera, ma le certezze hanno messo le ali e tendono a volare lontano. Il quadro politico è in piena fermentazione, mentre il contenzioso cumulato dal Pirata con i suoi azzardi vitelloneschi (e non soltanto) è tutt’altro che esaurito.
La faccenda Ruby non è chiusa, né in senso politico né in quello giudiziario. Altre rivelazioni confessioni e indagini hanno allargato il perimetro del pluralissimo caso. C’è di mezzo il favoreggiamento della prostituzione, l’abuso di minore e via celebrando. E c’è, sopratutto, il gruzzolo di critiche e di conseguenti richieste messe in conto dal lungo discorso di Fini: non si governa senza legalità, l’Italia non merita i casi Ruby e meno ancora che i suoi tesori archeologici crollino e si polverizzino da soli (casa dei gladiatori, a Pompei), che il suo territorio si sfasci sotto la furia di Giove pluvio o sopra la silenziosa pestificazione dei rifiuti tossici ammucchiati e sepolti a milioni di tonnellate senza un adeguato trattamento innocuizzante. Non merita neppure le brutte figure che la leggerezza istrionica del premiser le ha procurato all’estero.
Pasquale Licciardello
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