venerdì 15 aprile 2011

Addio Vik

Forte, coraggioso, generoso. Come nelle favole che si raccontano ai bambini
"Dormite, che domani si va a ballare il rock-and-roll". Assomigliava a Corto Maltese, la prima volta che lo vidi. Aveva la pipa, un berretto blu da marinaio e la voce pacata. Da dieci giorni la pioggia di bombe sulla Striscia era terminata, e assieme ad alcuni cooperanti eravamo riusciti a entrare dall'Egitto per documentare gli effetti di Piombo Fuso, l'operazione militare israeliana che ha massacrato 1.300 palestinesi, 300 dei quali bambini. Siamo rimasti in piedi tutta la notte a chiacchierare di politica. Poi la sveglia, alle sei. "Andiamo a ballare il rock-and-roll". E siamo partiti, prima in macchina, poi su un camioncino scassato. Una decina di attivisti dell'Ism e qualche giornalista, tutti sul cassone del camioncino, con Vittorio che agitava le sue enormi braccia indicando la strada, mentre i bambini lo salutavano strillando 'Vik, habibi', fratello. Nel campo di al-Arahin, nei pressi di Khan Younis, al centro della Striscia di Gaza, i contadini erano pronti. Con l'aiuto degli attivisti potevano sperare di raccogliere almeno qualche chilo di prezzemolo da portare al mercato, senza correre il rischio di venire uccisi. La settimana prima, dal confine con Israele, un cecchino israeliano aveva colpito, ammazzandolo, un ragazzo di 19 anni: stava caricando il prezzemolo sul suo mulo. Forse si era avvicinato troppo alla rete. Quella rete che stringe Gaza come una gabbia. Ma oggi c'erano quelli dell'Ism, gli amici dell'Ism, e il raccolto sarebbe stato più abbondante. Oggi c'era Vik, col suo megafono, che gridava ai militari: "Siamo civili disarmati, non sparate". E invece, poco dopo, il rock-and-roll. Le raffiche facevano sobbalzare, e anche se nessuno si sentiva direttamente preso di mira - salvo i contadini, che per la paura si acquattavano immobili tra le piante - eravamo terrorizzati. Vittorio no, lui stava eretto col suo megafono, a gridare: "Vergogna, siete la vergogna di Israele". Era un rompiscatole, e qualcuno, non solo in Israele, lo avrebbe volentieri fatto fuori.

Vittorio era l'eroe buono che si racconta ai bambini prima di dormire. "... e poi arriva Vik col suo megafono, che caccia via i cattivi coi carri armati". Ha scelto di vivere con i deboli, e di aiutarli senza chiedere nulla in cambio. I proventi del suo libro, 'Restiamo umani', li ha devoluti all'associazione che ha creato per sostenere le vittime di Gaza. La sera che l'ho salutato vestiva una giacca elegante, lui che sembra uscito da un centro sociale. "Quanto ti è costata, Vik?". "Me l'hanno regalata". Come il piccolo portatile che usava per scrivere i resoconti da Gaza per PeaceReporter. Come tante altre cose, oggetti di utilità quotidiana che la popolazione della Striscia gli portava, a testimonianza della gratitudine verso questo ragazzo che viene da fuori, e che - chissà perché - ha scelto di rimanere lì, a lottare con loro contro l'assedio. Un assedio che, a fine 2008, ha portato la distruzione di un terremoto. Abbiamo potuto constatare di persona gli effetti dell'operazione Piombo Fuso. Sulle stesse strade che percorrevano, tra gli edifici ridotti in macerie, solo poche settimane prima correvano le ambulanze. Su una di queste c'era Vittorio. Instancabile, coraggioso, forte. Raccoglieva i corpi rimasti a terra. E non aveva paura. Poi tornava a casa, un goccio di rum di contrabbando e di nuovo a scrivere. Non dormiva mai. A volte rimaneva ostaggio dei suoi incubi, visite notturne di una realtà che viveva quotidianamente, impastata di morte e di dolore. E soffriva per quel popolo, che amava anche nelle sue contraddizioni più crudeli. Averlo visto bendato e ferito, averlo pensato umiliato, impotente, muto, e poi disteso su un materasso, senza vita, è stato qualcosa che ha schiantato il petto. Alla sua morte non si può credere. Forse perché gli eroi non muoiono. Ma se a Gaza oggi qualcuno può trattare un eroe come carne da macello, a questo qualcuno, chiunque egli sia, non si può più chiedere di restare umano. E forse, dopo la morte di Vik, neppure a noi.

Luca Galassi

da Peacereporter

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