venerdì 20 maggio 2011

Il cavaliere scavallato e i suoi cloni

Di questo Cavaliere ci siamo occupati tante volte che ormai ci viene la nausea a solo ricordarlo. Ma il fatto è che il soggetto si impone all’attenzione con la sua debordante collezione di primati originali instancabilmente in corsa ad augendum. Ho scritto decine di volte che da questo miliardario ridens senza freni ci si può aspettare di tutto, e nessuna affermazione potrebbe essere meno azzardo di questa. Eppure il Soggetto riesce ancora a stupire, a trovare punte di eccesso nuove anche per la sua variegata spregiudicatezza senza limiti. Limite, ecco la parola per lui straniera, ignota al suo lessico interiore, e vanamente appiccicatagli dai suoi consiglieri in affanno espositivo: il ben consigliato sembra convinto, ringrazia i vari Letta che lo assistono, con passione degna di migliore destinazione, ma alla prima occasione mediatica politica giudiziaria o soltanto arcoriana la caccia via sulla punta delle scarpe “rialzate”, e riprende a fare il suo dio, come si dice in gergo regionale.
         Ed eccolo a ripetersi in pubblico lo squallido ritornello dei giudici politicizzati comunisti eversivi e chi più ne ha più ne sbandieri. Ultima amplificazione, i magistrati milanesi sono un cancro, anzi, (per completare lo sgorbio ridicolo, ma anche infame), “un cancro da estirpare”. A dare ossigeno a tanto respiro, uno dei cloni più riusciti del cavaliere scavallato, la signora Santanchè, replica facendo un nome, in piena solidarietà femminile capovolta: “La Boccassini è una metastasi”. “Di collo in collo”, direbbe il Poeta. Né la scalata si ferma, o fa pause: il collo-colle è alto, e sembra crescere ad ogni picco raggiunto: il colle del ridicolo infetto di allergia alle critiche del libero confronto civile. Invano ben altro Colle, sempre vigile sulla dignità delle istituzioni, reitera i suoi alt, i suoi moniti accorati e consigli allusivi. Anche altri cloni del big Pig (politico) scagliano dardi al curaro contro gli avversari, ma il caso Santanchè è incomparabile: non c’è occasione di incontro televisivo con avversari che la sua intemperanza esternante non trasformi in supplizio per le persone decorose presenti, o collegate dall’esterno (siano pure fior di specialisti universitari. Di economia, politica, sociologia …). Ma una sofferenza anche per gli spettatori domestici moderatamente sensibili. E capita che un anziano spettatore ferito da tanta improntitudine da lavandaia d’antan si senta quasi personalmente colpito, e in cuor suo se la prende con i conduttori non abbastanza energici, a volte per troppo timore di incorrere in accuse di partigianeria. Cioè, di lesa par condicio: un tabù dei nostri tempi, di facile abuso, per calunniare chi e cosa non piace allo scavallato e ai suoi cloni. C’è da rimpiangere che non si possa telefonare alla trasmissione boicottata da questi figuri per una lenitiva protesta. Insomma, il termine di confronto per la poco signorile signora tutt’altro che santa, al momento, non può essere meno di uno  Scilipoti, autore e campione finora ineguagliato di cafoneria torrenziale e manicomiale aggressività da suburra. Mi chiedo ancora come abbia fatto quel giovanotto massacrato di insulti a pioggia caterattale, durante la trasmissione “Chi l’ha visto” sulle vittime di certa micidiale medicina alternativa, a frenare l’inevitabile impulso di saltare al collo di quel gentiluomo verminoso. Ancora un omaggio a donna Daniela, calibrato su un’altra sua virtù: il movimentismo zelante in difesa delle cause perse. Cioè, indifendibili: come dire, di taglio arcoriano. Eccola prendere in braccio il caso Roberto Lassini, quel simpaticone dei manifesti con la scritta “Via le Br dalle Procure”: una bravata destinata agli annali di questo lembo di storia molto italiana. Com’è noto, la Moratti lo sfrattò dalle sue liste: non è stupida fino al punto da rischiare un auto-gol per colpa di azzardi di eccessivo impatto destruens. Eccone la frase-picco: “La mia presenza è incompatibile con quella di Lassini in aula consiliare”. Ed ecco, mentre il tapino annaspa strologando sul personale futuro (“Se sarò eletto penso che vada rispettata la volontà degli elettori”, “penso anche che durante la campagna elettorale andrò a qualche comizio della Moratti”) la Daniela dei miracoli scende in campo col più berlusconiano dei Ghe pensi mi. Accoglie a braccia aperte la sconsolata Mariuccia Lassini, moglie dell’eroe al sommacco, ed ecco le due amiche far parte “delle mille donne presenti sedute ai tavoli della cena organizzata a sostegno di Letizia Moratti. Convinta dalla Santanchè, la moglie dell’avvocato, molto discreta, è andata a salutare il sindaco e a scambiare con lei due chiacchiere”. Cordiali, sembra. Ma non al punto da prevenire-bloccare la dichiarazione della Moratti, la quale ha tenuto a precisare che “non si è fatto cenno al caso specifico” ed ha apprezzato la discrezione della signora che non ha “affrontato il discorso”. Insomma, un passo alla volta. Ma il marito-testa di turco (chi c’è dietro quei manifesti?) si sente pungere dalla fretta consolatrice e sprizza scintille sulla fortuna (che è donna!): “C’è stata anche una riconciliazione tra la mia famiglia e il sindaco: tra le partecipanti alla cena delle donne del Pdl c’era infatti anche mia moglie e la Moratti l’ha abbracciata con piacere”. L’autrice del miracolo gongola, e vanta le virtù del gentil sesso: “Le donne sono più pragmatiche degli uomini ed io mi sento di dire che la questione si potrà risolvere tra donne”. E sorvoliamo sulle emozioni e i complimenti reciproci fra la maga citata e altre bellezze del giro. Ci basti ribadire la vocazione per le cause storte della nostra Daniela alza-la vela. Più clone di cosi!
         Tornando al Cavaliere, ci corre l’obbligo di non privare quest’altro nostro sfogo terapeutico di altre sue recenti cavolate degne del suo estro migliore. Ma soprattutto delle gentilezze offerte come omaggio floreale singolarmente particolare  alle donne politiche sue avversarie. A Rosy Bindi, non nuova a questi riguardi scavallereschi, torna a replicare il memento sulla (presunta) bruttezza (lei, poverina, si è limitata a una contro-battuta frenata: “E’ bello lui!”). Alla Jervolino ha rivolto un’ “allocuzione”, come dire?, più articolata: “Quando si guarda allo specchio si spaventa”. Stiamo accennando a poche delle molte intemperanze che hanno coronato la campagna elettorale del Berlù burlone. Un cenno alle esternazioni “sostanziali” non sarà meno umoristico delle sue zampate al galateo che scherma il gentil sesso (così si diceva delle donne ai miei lontani tempi). Vi par poco spumeggiante di letizia bugiarda l’impegno “campagnolo” a bloccare la demolizione elle case abusive in quel di Napoli e territorio? O la confezione verbale di cui la cinge come si fa con l’apposita carta per le merci di bottega? Eccone un campione: “Questo [il blocco] ci permetterà di avere il tempo necessario per valutare serenamente il problema in vista di una definitiva soluzione”. Ipse dixit. E se ci si prova a ricordare quante volte questo definitivo ha imbrogliato lettori e ascoltatori ci coglie un capogiro nevrotico: definitiva fu promessa la salvezza vera de L’Aquila post-sisma, che giace ancora sotto vaste macerie e relativi disagi. Definitiva la sconfitta della monnezza campana e in particolare napoletana: che, come un’amante devota, va e viene e mai scompare. Anzi cresce in gloria insieme al competente rischio di epidemie più o meno estrose. Definitivo, anche, il più volte promesso piano di riscatto-rilancio del Sud variamente incasinato, che, tra scarso sviluppo e florida malavita (di ogni livello e impatto ambientale), costituisce un altro problemino dappoco! E non saranno riforme definitive quelle che da non pochi anni promette alla Giustizia, che tremula attende, alla bicameralità parlamentare (campa cavallo), alla Costituzione (Giove fulmini certi improvvisati costituzionalisti!) e via salendo?
         Molto rumore per nulla, direbbe il grande Shakspeare. Ma nel caso è per una campagna elettorale amministrativa. E siccome l’alleato Carroccio si sta rivelando, da un po’ di tempo, pochissimo incline a ingoiare rospi e raspamenti, la trovata di  mister premier accende reazioni vibrate, non solo fra le opposizioni, ma anche in quel di Lega Nord. Ecco Calderoli avvertire: “Dello stop Berlusconi dovrà parlare anche con noi. Che sia a Napoli o in qualsiasi altra parte, se una casa è un abuso deve andare giù”. Più colorita la reazione di un altro “testimone”, l’eurodeputato Mario Borghezio: “Fermare gli abbattimenti mi sembra una grandissima c…” (così riporta il Corsera, e non osiamo riempire quella mutila e solitaria c). Formale, al contrario, la postilla di Castelli: “Non credo proprio che potremo votare una sanatoria sull’abusivismo”. “In serata -precisa il citato Corsera del 13 maggio- interviene il leader Umberto Bossi a cambiare toni”. Il tono usato dal patron carrocciato sembra un’involontaria replica in rebus al Berlù che giorni fa si vantava così della ritrovata concordia col Senatur: “Siamo solidi”; e il leggendario Bossi duro di ieri oggi sembra un po’ liquido in questa risposta tenera verso le difficoltà dei poveracci: “è una vecchia storia. C’è la legge, ma purtroppo a volte si tratta di gente povera e mi rendo conto che non è allegra se gli butti giù la casa”. Scontata la reazione delle associazioni ambientaliste, che richiamano le “sentenze penali definitive” contro le quali cozza l’ipotesi elettoralistica del cavaliere scavallato. Qualche senatore Pd lo paragona a Cetto Laqualunque, il fortunato personaggio dell’ottimo e “solidissimo” nostro conterraneo Albanese. Addirittura si amplifica il Berlù come “più credibile dell’originale” La radicale Elisabetta Zamparutti taglia corto: “Le sue parole sarebbero gravi se lui non fosse totalmente inaffidabile” E questo è un bel parlar chiaro. Ma il movimentato incontro-scontro fra Cavaliere e Senatur è tutt’altro che concluso. Anzi, ad ogni sortita del primo fa eco dissonante il commento del secondo. Così, l’eroe del bunga bunga ventila l’ipotesi di un Tremonti suo erede al “soglio” di palazzo Chigi? La pensosa gravitas del secondo frena: “non è detto che la Lega ‘presti Tremonti’ a Berlusconi”. E quando, il giorno dopo, pare voglia stemperare il “sapor di forte agrume” di quel “non detto” vi immette appena un velo di miele infilato in un elogio a Tremonti: “Tremonti premier? Ma lasciatelo stare, Tremonti è  mio amico […] Lui è più o meno bravo in tutto. Ma c’è già Berlusconi, non accetterebbe mai di sostituirlo”. Se, poi, si spettegola su un eventuale futuro quirinalesco per “Ercolino sempre in piedi”, all’anagrafe Silvio Berlusconi, il socio leghista non ha bisogno di tempo per confezionare una risposta rasposa: “Berlusconi al Quirinale? Io lo voto come premier”. E così sia. Se poi si passa a temi più seri, come la campagna elettorale fragorosa di accenti e velenosa di insinuazioni del tutto sciolte dalla realtà, eccessi barbari contro i quali Napolitano continua a invocare toni più pacati e rispettosi, Bossi non esita: “io sto con Napolitano, quello che firma le leggi, meglio non esagerare con i toni della campagna elettorale. Certo è difficile in questo periodo. Ma noi, la Lega, li teniamo bassi”. Sempre vigile e “polarizzato” sul presente non bello, il Presidente tenta di servirlo ad ogni occasione: commemorando Antonio Giolitti, egli ne elogia la visione politica “non machiavelliana”, e la pacata mitezza, in opposizione a certa politica che, come constatava Bobbio, “è arroganza, potenza e prepotenza” . Che è quanto, con trasparente sofferenza, constata Napolitano: “C’è stato negli ultimi vent’anni un divorzio tra politica e cultura”. E’ a questo Napolitano che Bossi esprime gratitudine, anche affrontando un argomento sensibile non troppo amato dal Berlù dellutrizzato: la malavita tentacolare. Impegno della Lega, dicono i candidati leghisti e ripete Bossi, è una lotta reale contro l’idra dalle troppe teste (e non poche inconfessate complicità). Loro, dice Fabrizio Cecchetti, un enfant prodige candidato a sindaco e molto caro a Bossi, alludendo ai mafiosi “non ci voteranno mai, la Lega è contro la ‘ndrangheta”. E Bossi fa eco: “Siamo pieni di mafia. Non si può pensare allo sviluppo, non si possono fare progetti se c’è la mafia. La Lega è qui anche per spazzare via la mafia”. Che sono parole esaltanti, quasi da compiangerne la rauca pronuncia forzata della fonte. E che ti svegliano ricordi stridenti con l’augurio tonificante di una salvifica, ma purtroppo ancora improbabile, vittoria sull’idra dalle troppe teste: non solo la tragica fine dei Falcone e Borsellino e delle decine di giudici degni del nome impegnativo, ma perfino una famosa e titillante canzonetta di Mina: “Parole parole parole…”
         Scontro Moratti-Pisapia. O meglio, attacco della sindachessa milanese al candidato pd Pisapia. Vicenda dilagata a pantano, cioè a cosa impossibile da ignorare. La poco avveduta, e ancor meno gentile, Letizia usa un’arma spuntata contro il concorrente nella battaglia elettorale per l’ambita poltrona “sindacale”: sostiene che il rivale fu giudicato “responsabile del reato di furto di un veicolo usato per il sequestro e il pestaggio di un giovane” e di essersi salvato con un’amnistia. Alla reazione del calunniato, che a suo tempo rinunciò alla soluzione amnistia, chiese un regolare processo e fu assolto con formula piena, la signora invece di chiedere scusa  ascoltare chi la consiglia in questo senso, rincara la dose. E scaraventa addosso al leale concorrente questa boutade: “La storia politica di Pisapia è una storia di frequentazioni di terroristi, che si riflettono anche nelle sue posizioni di oggi: non a caso è sostenuto da Rifondazione Comunista ed è il candidato di Rifondazione”. Ecco la reazione di Pisapia: “Dichiarandosi moderata, ma risultando estremista, la Moratti insiste nelle sue bugie, delle quali risponderà davanti all’autorità giudiziaria”. Un bel duello, anzi brutto. Al quale si è arrivati, quasi certamente, per il maligno intervento dell’inner cercle, cioè l’intima cerchia, o consiglio ristretto del premier: che ne poteva sapere la povera Letizia di Pisapia e compagnia?  Quei campioni di signorilità esperti in bufale multicolori la imbottirono di menzogne ed ecco il patatrac. E’ proprio incorreggibile il nostro Cavaliere scavallato: segue da presso i suoi cloni, e quando è il caso li affida ai suoi mestatori, che li correggono, limano, perfezionano al peggio. Fino a farne dei piccoli mostri (sul modello, per capirci, dei vari Sallustri, Belpietro, e simile zoologia  politica. Intanto Pisapia incassa la solidarietà delle persone perbene: tra queste, Giovanni Bachelet e Marco Alessandrini, figli di due vittime delle Br. E di Celentano, che così argomenta: “Pisapia ritiri la querela, perché ha già vinto. La Moratti ha colpito con un’infamia; ha tirato fuori non le unghie ma la pistola, e si è sparata sui piedi”. Meno, anzi per niente, colorito (al solito) il buon Bersani, che dichiara: “Il duo Berlusconi-Moratti è disastroso per l’Italia”. Ovvio, ma grigio. Appena più aerato Casini: “Una caduta di stile, forse dovuta al nervosismo”. E’ di quelle che gelano, la battuta di Bossi: “Meglio far politica, bisogna parlar dei programmi e non di quello che ruba la macchina”. Naturalmente, tutta la solidarietà per la Moratti da parte Pdl. Una per tutti, Michela Vittoria Brambilla, che non brilla per originalità o humour, ma non è del basso livello Santanchè. Il suo contributo alla ribalta comica è questa banalità spoglia e derelitta: “La Moratti può permettersi di dire la verità perché, a differenza di qualcun altro, non ha un passato di cui vergognarsi”. Poco cavalleresco Nichi Vendola, ma esplicito: “Con la sua consueta disonestà, Letizia Moratti non ha chiesto scusa per avere insultato una persona perbene”. Intanto Letizia più si muove e più sprofonda: un’intervista del Corsera non ne migliora la faccia.
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         Tutto questo, prima della votazione: che ha punito certe arroganze e sembra aprire un nuovo corso nel destino politico di questa lacera Italia dei mille compromessi e degli infiniti imbrogli (vedi Gabanelli nei suoi Report). Ma di ciò, a Giove piacendo, prossimamente.
Pasquale Licciardello

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