domenica 1 maggio 2011

Varie ed eventuali

Il titolo allude a una pluralità di temi in progress. Saranno cenni più o meno estesi o lapidari, ma senza impegni verso la complessità e autorevolezza di questo o di quello. E pure un’escursione aperta al progredire dei giorni e delle occasioni: dalle più drammatiche alle più grottesche. Come suole inzepparsi la Vita nella varietà sbracata della sua indifferenza per piaceri e dolori della carne animata. Compresa la più fragorosa e contraddittoria delle sue infinite avatar e varietà: homo sapiens di straripante destino.        
Cialtroneria senza confini. Dal Corriere della sera del 19 aprile 2011. Il Colle e i manifesti antitoghe: offesa alla memoria di chi morì. Il capo dello Stato celebra le vittime del terrorismo: no a ignobili provocazioni. La fascetta azzurro ultrapallido reca “i numeri del terrore 378 le vittime delle stragi e degli attentati per terrorismo in Italia dal 1967 al 2003”. Una grande foto a colori mostra Napolitano fra i magistrati Vitaliano Esposito ed Ernesto Lupo. Dietro di lui, politici e ministri, tra cui il titolare della Giustizia, Angelino Alfano, a bocca semi-aperta sotto sopracciglia mezzo aggrottati a interrogativa perplessità. Sul lato destro, incorniciata di rosso, scende una colonna con le foto dei 10 magistrati assassinati dalle Br e da altre sigle del terrorismo politico. Riproduciamo qui le notizie su ciascuno di loro. I magistrati uccisi. Emilio Alessandrini Sostituto procuratore a Milano, ucciso a Milano da Prima Linea il 29 gennaio 1979. Aveva 36 anni. Mario Amato Sostituto procuratore della Repubblica a Roma, ucciso a Roma il 23 giugno 1980 dai Nar. Aveva 42 anni. Fedele Calvosa Procuratore di Frosinone, ucciso a Patrica dalle Formazioni comuniste combattenti, l’8 novembre 1978. Aveva 59 anni. Francesco Coco Procuratore generale della Repubblica a Genova, ucciso a Genova dalle Brigate rosse l’8 giugno 1976. Aveva 67 anni. Guido Galli Giudice istruttore a Milano, ucciso a Milano da Prima linea il 19 marzo 1980. Aveva 47 anni. Nicola Giacumbi procuratore capo della Repubblica a Salerno, ucciso a Salerno il 12 marzo 1980. Aveva 51 anni. Girolamo Minervini direttore generale degli Istituti di prevenzione e pena, ucciso a Roma il 18 marzo 1980. Aveva 61 anni. Vittorio Occorsio Sostituto procuratore a Roma, ucciso a Roma da Ordine nuovo il 10 luglio 1976. Aveva 47 anni. Riccardo Palma Capo dell’ufficio VIII della Direzione generale degli istituti di prevenzione e pena, ucciso a Roma dalle Br il 14 febbraio 1978. Aveva 62 anni. Girolamo Tartaglione. Direttore generale degli Affari penali, ucciso a Roma dalle Br il 10 ottobre 1978. Aveva 67 anni. L’elenco vuol essere soltanto un modesto aiuto per misurare il livello di cialtroneria nichilistica degli squallidi figuri che hanno voluto i famigerati manifesti con la scritta Via le Br dalle procure. Un evento, per quei responsabili, già “storicizzato”, cioè superato, macinato dal rullo compressore di Saturno divoratore dei suoi figli, buoni e cattivi, di carne o di inchiostro e carta. Ma per chi ha sensibilità verso le instancabili cronache di quel tale livello quel segnale repellente è un evento ancora palpitante  di attualità. E di monito. Il che sia detto con la ferma convinzione che niente e nessuno sia mitizzabile, né categorie professionali, né schieramenti politici, né ceti sociali: l’empireo della perfezione è troppo alto per le qualità umane. Ma vi si accostano pur sempre certi individui ben dotati dalla madre-matrigna leopardiana, la Natura bizzosa e imprevedibile. Abbiamo conosciuto giudici coraggiosi e competenti, ma anche giudici vili e corrotti. Idem per gli avvocati, un genere troppo popolato perché sia possibile imbattersi, non dico sempre ma soltanto spesso, in campioni di competenza e lealtà (ancora più raro l’incontro possibile con soggetti interni indifferenti alle sirene di Mammona). Stessa parcellarità nel mio campo di lavoro: docenti preparati e operosi, e altri ignoranti e pigri. Insomma, in ogni categoria antropologica (prima che sociale e professionale) i buoni sono sempre minoranze. Ma proprio questa rarità del buono impone alle sensibilità vibratili il rispetto che meritano le sue incarnazioni. Specie se quel buono è stato sacralizzato dalla morte violenta provocata dal personale ben fare.  
Un martire per la verità. Il giorno dopo l’uccisione di Vittorio Arrigoni, il giovane italiano amico dei palestinesi, per mano di estremisti staccatisi da Hamas, i cosiddetti salafiti, i giornali italiani dedicarono articoli di commosso cordoglio e indignazione per lo sconcio crimine. Ma alcuni di essi badarono a riequilibrare la commozione con interi scritti autonimi o con parte dei necrologi routinari sottolineando la presunta “scelta sbagliata” di quel tesoro di giovane. Tra questi, il Corsera, dove il riflesso condizionato del culto assoluto (“senza se e senza ma”) per l’Israele sempre innocente (e vittima elettiva dei vari cattivi del pianeta) suggerisce a Pier Luigi Battista un sospiro per quell’anima bella persa dentro una “scelta sbagliata”. Insomma, ancora una volta i devoti di Santo Israele hanno recitato la stucchevole litania del suo diritto all’autodifesa. Rovistando fra vecchi giornali mi imbatto sul Corsera, del 2 marzo 2008, la cui prima pagina onora con un grosso titolo centrale l’ennesimo scempio israeliano sui palestinesi della martoriata Striscia di Gaza, giusto il territorio dove operava il giovane sacrificato da quel coagulo di fanatismi. Nel nostro piccolo, ci siamo occupati più volte di quel contenzioso, e qualche nostro scritto è in rete, a testimonianza (ahimè, vana) di una tragica verità ignorata dagli “amici d’Israele”. Dove non mancano, s’intende, le persone oneste (specie fra intellettuali e narratori), ma dove, tuttavia, e purtroppo, prevalgono i devoti di Marte, usi a rispondere con lancio di missili sbarazzini alle, di solito, innocue bravate di Hamas (più frustrata che altro). Ma dove, soprattutto, ha molta influenza la componente ultra-ortodossa dei credenti: gente capace di provocare un conflitto nucleare pur di non restituire i territori occupati nella famosa “Guerra dei sei giorni” del 1967, con la strepitosa vittoria (e annesso proditorio attacco a sorpresa) contro la coalizione degli Stati arabi. Territori dei quali fa parte la Striscia di Gaza, che l’ex premier Ariel Sharon aveva restituito ai palestinesi, con grande irritazione dei suoi connazionali da più anni insediati in quel territorio. Purtroppo, quel premier è stato colpito da un male che lo ha inchiodato all’immobilità fisica e mentale. E taluno pensa a un intervento di Geova per punire il reprobo dimentico della biblica Promessa fatta ad Abramo dal Boss dei cieli. Ma qualche altro sospetta iniziative di un rancore “umano troppo umano”. Ora Gaza è sotto “tutela” israeliana: come un campo di concentramento, poco meno rigoroso. Controlli, limitazioni di ogni genere, garantiscono la sofferenza di tutta la popolazione. Il giovane Arrigoni vedeva questo insulto alla giustizia e s’era schierato con le vittime. Un grave peccato, per i fanatici di, e pro, Israele. A conclusione del “titolo” si legga questa aritmetica storico-provvisoria: “In sei anni dall’inizio della seconda Intifada (settembre 2000) il bilancio delle vittime è: 6 israeliani morti a causa dei razzi sparati dai palestinesi, 4500 palestinesi uccisi dall’esercito israeliano” (fonte: "Le Monde Diplomatique”)
         Notizie dal delirio quotidiano.     I ribelli intimano a Gheddafi di andarsene subito. Titolo del Corsera del 9 marzo. Un detto che riletto a 50 giorni della sua apparizione emana odore di comicità involontaria. Tanto più che le notizie dello scontro erano (e in parte sono) tutt’altro che favorevoli ai rivoltosi. La risposta del Raìs viene definita “secca” dal giornale, ma ha tutta l’aria di essere sfottente e divertita: “Ma quale ultimatum? Io non lascerò mai la Libia”(catenaccio). A conferma dell’intenzione, un altro titolo sotto l’“insegna” recita: “offensiva governativa: Zawiya ridotta “in cenere”, nuovi raid aerei su Ras Lanuf. Il giorno prima lo stesso giornale dava questa notizia: A Ras Lanuf, sotto le bombe di Gheddafi. Pesante raid aereo sopra l’avamposto dei ribelli. Ancora in questa fine di aprile Gheddafi è più vivo che mai, e fa anche auto-esposizioni al pubblico (compresa qualche passeggiata) a sfida dei suoi nemici moralisti al missile e ai dromi Usa. Nel cuore largo di quel delirio conserva un posticino di tutto rispetto il “battibecco” intercorso tra Gheddafi e Bossi: il Raìs consigliava a Francia e Italia di occuparsi piuttosto della Lega che della Libia. Siamo nella prima settimana di marzo: io, dice il dux libico, alla Tv France 24, “non sono intervenuto in Italia per favorire la secessione, come chiese Bossi, perché era illegale”. Intervistato, l’Umberto nazionale s’inalbera (e smarrona): “Ma vi pare? Abbiamo tantissimi uomini e le armi le facciamo in Lombardia”. Sic et simpliciter. Una sortita che aveva la potenzialità di uno sviluppo polemico vasto e duro, ma che, forse perché maiora premunt, si è lasciata cadere dopo un paio di proteste ritualmente sterili. Anche Bossi liquida disinvoltamente il lider maximo libico: “Gheddafi è un gatto che sta affogando e che si arrampica sui vetri”. Dà pure una pennellata storica al suo fiuto: “La storia insegna che chi spara sulla sua gente finisce male”. E cita la buonanima di Umberto I. Né manca di senso pratico, il lumbard: fin da quei giorni di crisi libica si dichiarò contrario ad ogni intervento armato: “allora sì che scapperebbero tutti da noi. Vanno aiutati lì, con viveri e medicinali”. Perché in Italia “non c’è trippa per gatti”, ammonisce. E chi l’avrebbe detto che, oggi, il più serio contrasto fra gli alleati di ferro Berlusconi e Bossi sarebbe dipeso dall’impegno del nostro governo a bombardare la Libia? E ha un bell’affannarsi il Berlù a distinguere e imbrogliare sugli obiettivi da colpire: Bossi è più che mai contrario a questo impegno e lo scricchiolio del patto binario gracida ancora mentre ne scriviamo in ansia. O meglio, gracidava: oggi è un altro giorno (29 aprile). Il giorno delle ipocrisie saldatrici: la titolazione del Corsera degli ultimi tre giorni sul tema cantano, in successione, questi motivetti: 27 aprile, Libia, governo sotto pressione (titolo) Vertice Berlusconi-Sarkozy: patto per chiedere la modifica di Schenken sugli immigrati(occhiello) Via libera di Napolitano. L’ira di Bossi: noi colonia di Parigi (catenaccio). 28 aprile. La Lega sfida il premier sulla Libia  (ti.) Maggioranza nel caos. Consiglio dei ministri rinviato: ma il Cavaliere: indietro non si torna (oc.) Maroni incontra Bossi e chiede il voto in Parlamento( cat.). 29 aprile. Bossi: non voglio far saltare il governo(ti.) Berlusconi al Quirinale dopo le fibrillazioni nella maggioranza: il Cavaliere: non m i sono inginocchiato ai francesi (oc.) Prima missione armata dei caccia italiani. Napolitano: sulla Libia scelte coerenti (cat.). Insomma, una tempesta in un catino pieno d’acqua. A sentire l’arrochito leader leghista era accaduto uno scandalo da rottura: e qualche ingenuo oppositore ci aveva sperato. Ma è bastata la solita recita del Berlù per riportare nei box i carri armati bossiani: Il premier: ho sbagliato con Umberto. Dovevo avvertirlo (il compito di ricamare sul ravvedimento puttanesco è toccato a Marco Galluzzo, che esperienza settoriale ne ha da vendere. Anche se… Ma lasciamo ad altra occasione il mini-commento tentatore. Qui basti ricordare che Bossi è un giocatore furbo, e non si lascia “giocare”. Resta il fatto che sulla Libia ha ragione: è stato l’ennesimo errore di valutazione. Purtroppo cruento fino all’immolazione di ignari civili di varie età.
         Altri suoni dal delirio  Il primatista di tutti gli inganni, insomma il premier, ha tirato fuori un altro (presunto) asso dalla manica: il nucleare. Tema che scotta perfino i tasti del computer, ma non riesce a scavare nel neopallio del cerebro di troppi funesti figuri della politica e delle varie sezioni dell’industria competente. Abbiamo avuto Chernobyl, abbiamo sotto gli occhi Tusushma, sappiamo di passati incidenti negli Usa, eppure ci si incanta ancora nel delirio del guadagno dalle molte teste. Ieri sera ad Annozero si è toccato il vertice del delirio quando ha parlato un professore universitario del ramo che ha negato ogni pericolo, e perfino le vittime del disastro sovietico! Tutti i devoti del dio atomo insistono sulla sicurezza garantita dai nuovi modelli degli impianti. Questi figli di buona donna scommettono anche sul controllo possibile dell’incontrollabile, sua maestà la crudele e beffarda Natura, ricca di seduzioni quanto di sismi catastrofici, tsunami, cicloni e altro bene dell’apocalissi. Davvero ci deve essere nel fondo più buio della fisiologia umana un impulso all’autodistruzione pantoclastica. Ad maiora.
Pasquale Licciardello

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