lunedì 9 maggio 2011

La bossiade intralciata

Per tre-quattro giorni Umberto Bossi ha fornito il “Primo Piano” ai quotidiani nazionali: la sua bossiade oscillante teneva in bilico un governo in balia degli eventi di più difficile controllo. La decisione di piegarsi alle pungolate della Nato senza coinvolgere l’alleato in un’ovvia discussione-consulto aveva acceso una prevedibile vampata di nervosismo aggressivo nel Senatur snobbato. Indi, sue minacce al socio fellone, sensazione diffusa di un governo esposto; poi mea culpa del Cavaliere penitente con implicite scuse al risentito alleato, rassicurazione dello stesso sulla sorte del governo (“Non voglio mica far saltare il governo!”). Insomma, bonaccia semi-ritrovata, pace sospesa all’impegno di discutere alla Camera una mozione leghista con precisi paletti operativi e indicazione di tempi per l’intervento aereo contro Gheddafi. Ma, ahimè, pace di non lunga durata, se ricominciano, nel pieno del tripudio popolare mondiale per la beatificazione di papa Wojtyla e nel vortice euforico del 1°maggio spalancato nella tradizionale non-stop ultrafestiva di piazza san Giovanni, ricominciano le minacce leghiste al governo, mutile del precedente e rassicurante “non voglio” bossiano. E siamo in piena fibrillazione di attesa incerta, mentre altre notizie di estensione planetaria abbassano l’eminenza nazionale ed europea della bossiade. Seguita sui titoli dei quotidiani l’Eneide nana di Bossi mostra pressappoco la scansione del Corsera: 29 aprile, La frenata di Bossi: il governo non rischia “Troveremo la quadra, non finirà come spera la sinistra. Povero Berlusconi, è scombussolato da Sarkozy”. L’Accenno al presidente francese sottende un altro muso lungo dell’Umberto, convinto che il pieghevole e versatile socio abbia ceduto più dell’opportuno alle pretese del galletto gallico (“Sarkozy è saltato addosso a Berlusconi: voglio la Parmalat, voglio la Edison di Milano…Berlusconi è rimasto un po’ scombussolato”). Quel 28 aprile (giorno di riferimento dei quotidiani) Calderoli e altri leghisti di peso erano perfino più nervosi del Bossi incazzato: parlando by phone con La Russa-Mefistofele e il Berlù-Barbiere di Siviglia (Figaro qua, figaro là…), Calderoli (“Di male in peggio”) non fu informato dell’azione militare, già in campo nel fragoroso sfrecciare dei tornado lanciamissili, e tradotta in notizia circolante sulle agenzie di stampa. Situazione ambigua, insomma. Anche se Napolitano garantisce (spero, obtorto collo) la “copertura istituzionale”, rassicurando sulla coerenza Onu dell’impegno espanso. La Russa tace, blindato e musone, anche con i giornalisti incalzanti. Il 30 aprile sul Corriere si legge: Berlusconi: stiamo superando le fibrillazioni. Il Cavaliere scommette sull’intesa con la Lega, diplomazie al lavoro per fissare un incontro ad Arcore. Il testo, tuttavia, comincia con questo bizzoso balletto: “Lo ha cercato anche ieri e non l’ha trovato. Berlusconi insegue, Bossi si nega. Non è ancora arrivato il tempo della riconciliazione”. Si parla di una mozione comune, ma la Lega fa sapere in giro che la loro mozione è già stata presentata in Aula. Altri titoli dello stesso sabato: Il Senatur tra strappi e segnali: chiamerò il premier guerrafondaio. Ancora lancio di spilli e spilloni: “Il guerrafondaio? Stavolta l’ha fatta grossa”, così Bossi. E prosegue, sulle elezioni amministrative: “Se a Milano si perde, a perdere è Silvio Berlusconi”. Il socio sleale, infatti, ne ha combinata un’altra delle sue: “Lui -- continua Bossi -- ha giocato d’anticipo. Ha saputo che stavo per candidarmi a capo lista e zac, si è candidato lui”. Per fare da traino, si direbbe, contro il rischio che il traino senaturiano impinguasse troppo la concorrente Lega? Ovvio. Ma replica Bossi: “La cosa importante è che dobbiamo andare alle elezioni facendo capire bene che noi e il Pdl non siamo la stessa cosa”. E, punto da altre domande in tema “contrasti”, spara (anche contro Casini, che lo sospetta di fare “ammuina”): “Ma vorrei vedere…Siamo d’accordo sul solo uso delle basi, e due settimane dopo è tutto il contrario? Senza neanche una parola? […] E’ una cosa incomprensibile, siamo incazzati neri”. Tant’è che non frena, anzi rincalza, allude pesante: “una cosa del genere si giustifica soltanto se ci sono dietro degli interessi”. E subito aggiunge una valutazione intrinseca al fatto grave: “No, no, qui non si è capita la gravità di ‘sti bombardamenti. Pensate a tutti i casini che ne verranno”.
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Intermezzo di contingenza. Come non di rado accade al sottoscritto, l’articolo in corso (sempre disteso fra più sedute in giornate diverse) viene sorpreso e sopraffatto da novità di maggiore peso: in fattispecie, l’uccisione di Osama Bin Laden da parte dei cacciatori specializzati dello Zio Tom atomico in avatar Barak O Bama. Immaginabile lo sfolgorio planetario del trionfalismo ingrassato da un decennio di tentativi e delusioni, la profluvie di articoli e articolesse, di competitive spremiture di meningi a chi si mostri più informato del passato e occhio di lince sul futuro di possibili reazioni della galassia qaedista sparpagliata per le zone più esposte dell’intero Occidente. Non senza qualche fondente di stupidità evangelica sulla gran torta delle parole sensate e delle chiacchiere pleonastiche: un esempio di siffatta dolceria, nell’articolo di Armando Torno riecheggiante la Fonte suprema di quella specialità: “La Chiesa”. Si può esultare per una morte? E uno pensa alla miriade di morti con torture comminate dalla Santissima nei secoli d’oro della sua ingordigia mondana. Meno indigeste le boutade involontarie di certa intelligence laica, come dai seguenti esempi corriereschi: “Etica e politica”, Aldo Cazzullo, Era meglio processarlo (e pazienza per quello sbarazzino e “modernistico” Era al posto del corretto, ma aulico sarebbe stato). “Ragion di Stato”, Pierluigi Battista, Noi e il corpo del nemico. Accanto a questi esempi di frivolezze spalmate di moralina ce ne sono di altra natura, per esempio del genere “il superfluo assoluto”: eccone un esempio dello stesso pomposo ospite cartaceo: La Cia avvisa l’Occidente “Al Qaeda si vendicherà”. Caspita, chi l’avrebbe mai sospettato? Quanto più serio Sergio Romano col suo editorialino (pur segato fra la prima e la 50a pagina): Sollievo e speranza. Il “catenaccio” del giga-titolo (Gli ultimi 40 minuti di Bin Laden) indulge a un sentore di gossip macabro scrivendo: “Non s’arrende, due colpi in testa. Una delle mogli usata come scudo durante lo scontro. Il cadavere identificato dal Dna e seppellito in mare”. Siamo del tutto sicuri di quello scudo? Seppellito in mare o dato in pasto ai pesci? Graffiante, come spesso gli accade, la vignetta di Giannelli, col suo uso lampeggiante di quel mare finale e tombale. Due pensionati  (si suppone) seduti sul medesimo sedile pubblico. Uno sfoglia il giornale, legge e annuncia rivolto all’amico: “Hanno ucciso Bin Laden”; l’altro chiede: “E le prove sull’identità?” Precisa, serio (o sornione?) il primo: “In alto mare”. Una via di mezzo sembra seguire l’ottimismo gioioso della scrittrice Jay McInemey: “Il suo odio non ci ha cambiati”.  Vero: restiamo tutti mezzo santi. Sarà l’effetto Wojtyla-beato? Fine dell’intermezzo.
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Tornando al nostro tema casalingo, il giornale che stiamo sfogliando vi si aggiorna su questo tono e con i seguenti titoli e contorni: Mozione, Lega e Pdl cercano l’intesa. Bossi:il premier terrà in piedi il governo (titolo) “Non è scemo”. “Data finale della missione e copertura economica i nodi da sciogliere”. Verso il voto. Berlusconi, in veste di responsabile (l’aggettivo fortunato!), o pompiere che sia: “condivisibile il senso delle loro proposte.” Il sommario condensa come segue i punti del possibile accordo: “Le proposte. I sei paletti fissati dalla Lega. 1 La Lega chiede: soluzione diplomatica, no ad azioni di terra, termine temporale, niente aumenti di tasse, riparto dei flussi migratori e ‘rimedi’ alla bocciatura del reato di clandestinità. 2 La soluzione tecnica e la trattativa. Nel pdl si sta lavorando a una soluzione tecnica che limi i punti più controversi della proposta leghista: dalla ‘data di chiusura’ della missione alla sua copertura economica. 3 Le altre tre mozioni di Pd, Idv e Terzo Polo. Le altre tre mozioni sono presentate dal Pd (favorevole alle azioni contro obiettivi militari); dal Terzo Polo (sì all’uso delle armi a fini umanitari); e da Idv (no alla partecipazione attiva a bombardamenti)”
Aggiornamenti al 4 maggio. Titoli del Corsera. Libia, Pdl e Lega uniti al voto. “Niente tasse e data per il ritiro” Mozione comune: il governo si impegna a concordare l’uscita con Nato e alleati. La maggioranza si ricompatta su un testo in 7 punti. Pd, Idv e terzo polo divisi. Pace fatta, dunque? Piano: l’accordo, così tranchant, nelle sue implicazioni, per la logistica della Nato, non ha un gusto di sicuro impatto sulla mensa dell’Alleanza. Ecco i 7 punti: “1. La mozione impegna il governo all’azione politica sul piano internazionale per una soluzione diplomatica della crisi libica. 2. La mozione firmata dai capigruppo di Pdl, Lega e Responsabili esclude ogni futuro intervento delle truppe italiane in azioni di terra in Libia. 3. E’ richiesto anche un termine temporale certo di fine ostilità in accordo con gli organismi internazionali e i Paesi alleati. 4. La mozione unitaria recepisce le sei condizioni della Lega, tra le quali l’impegno del governo a non imporre ulteriori tasse. 5. Razionalizzare le missioni in corso attraverso una graduale e concordata riduzione degli impegni del nostro Paese. 6. Superare le criticità [sic] conseguenti alla sentenza della Corte di Giustizia Ue che ha bocciato il reato di clandestinità. 7.Promuovere il concorso di tutti i Paesi alleati per l’esodo migratorio,l’asilo dei profughi e il contrasto dell’immigrazione irregolare”.
Commenti a caldo. La tavola imbandita offre tovaglie di bucato e  posate luccicanti, ma piatti e portate di bella apparenza e dubbia digeribilità. Tanto per cominciare, la Nato precisa e avverte: “La missione finirà solo quando Gheddafi si ferma”. E se il titolo è drastico, il testo è chiaro: “L’operazione durerà fino a quando le forze di Muammar el Gheddafi non smetteranno di attaccare la popolazione libica”: dichiarazione, guarda caso, del comandante italiano “delle attività navali dell’operazione a comando Nato ‘Unified Protector’”, ammiraglio Rinaldo Vieri. E tanto per non lasciare nuda la dichiarazione la veste di argomenti perentori: “E’ una missione che richiede tempo. Una volta sgominata la prima linea, altre forze si stanno camuffando e sono più difficili da individuare”. Come dire: le risorse controffensive del Raìs non sono esaurite. Il che viene a dire che si scopre ogni giorno di più quanto frettolosa sia stata la valutazione della rivolta, tribale e limitata nella realtà, ma promossa a santa ribellione di popolo innamorato, d’amblé, della seducente democrazia occidentale, questo cielo senza macula. Aggiungi che è in arrivo il Segretario di Stato Usa, madame Hillary Clinton, impegnata, giusto, a confortare l’Italia in Libia: come dire no a tanta auctoritas?
Ma il Cavaliere è uomo di risorse. Metterà d’accordo il diavolo e l’acqua santa: convincerà il Senatur della sua lealtà stima affetto e quant’altro; darà una mano di sbianchina sui pubblici malumori verso l’inflessibile Tremonti salva-conti, e rimpiange di non poter bombardare (sic!) il suo Giornale senza colpirne a morte gli umani facitori faziosi verso il socio.  Ed ecco i titoli scampananti del  Corsera, del 5 Chiarimento con il Senatur. “Alla fine ci si intende”. “Il retroscena. Il segnale per allentare le tensioni con il principale alleato. L’obiettivo: ricucire e rassicurare il superministro”. E così ci si può godere quest’altro titolone: Missione, passa la mozione di Lega e Pdl. Magari sorridendo all’ottimismo del Senatur: “Bossi: la Nato dovrà tenerne conto”.E come no?. Il Berlù svampa, more solito, e sentenzia come segue: “Con Bossi ho chiarito tutto. Abbiamo dimostrato ancora una volta che la maggioranza e il governo sono solidi”. Più delle rocce laviche, come no! Ma già qualcuno ha scritto una “Nota” che risponde a un titolo lampante: Compromesso ambiguo che conferma le distanze fra Cavaliere e Senatur (Massimo Franco, Corsera del 4). Con  replica, non meno critica, il giorno dopo: Una semplice tregua che lascia un’ombra sull’immagine del Paese. Ma, intanto, il premier si gode il sorriso del Segretario di Stato Usa: Berlusconi e Frattini ricevono la Clinton. Il nodo: spiegare che l’Italia non si è isolata. Sopra il luminoso sorriso del titolo scorre la nube di questo “occhiello”: Il segretario generale Nato Rasmussen: no ai tempi certi per la fine delle azioni. Come non bastasse tanto groviglio ci si mette dentro anche la Corte penale internazionale dell’Aja: L’Aja vuole l’arresto di Gheddafi. Ma, per non intristirlo con la buia solitudine, vorrebbe fargli compagnia almeno con il cognato, Abdullah Senussi, e il figlio, Saif al-Islam: il primo, in quanto capo dell’Intelligence libica, il secondo come esecutore degli ordini paterni. L’accusa? Crimini contro l’umanità. Non quantificabili, date le precauzioni per nasconderli, ma innegabili.
In una delle sue brillanti trasmissioni della serie La storia siamo noi Giovanni Minoli mostrava l’universale disinformazione che accompagna tutte le guerre, dalle più remote alle contemporanee. E ricordo il monito di un grande personaggio: “Quando scoppia una guerra la prima vittima è la verità”. Tenendo conto di questa fatalità, bisogna avere una saggia diffidenza sulle notizie che ci vengono ammannite da ogni conflitto. Non escluso l’attuale libico. Crimini contro l’umanità con imprimatur Gheddafi? Non si possono escludere. Ma neanche misurarne l’ignobile peso sulla parola di fonti interessate a demonizzare al meglio il Raìs. Specialmente quando si è di fronte a un “errore” atroce dei nuovi crociati che, in un disinvolto bombardamento contro un rifugio del Colonnello ne uccidono tre nipotini, e la stampa quotidiana ricorda l’atrocità solo (se non ci sfugge qualcosa) con un breve testo della scrittrice Isabella Bossi Fedrigotti che lamenta l’insensibilità frettolosa di politici e giornalisti: Quelle piccole vittime collaterali. Qualcuno chieda almeno scusa. “Invece niente per i tre nipotini di Gheddafi, bambinetti di pochi anni senza nome e senza volto, morti sotto il bombardamento della casa nella quale avevano la sventura di abitare, considerati, probabilmente, inevitabili -- e secondari -- effetti collaterali, non una parola di rammarico è stata pronunciata da parte degli alleati in guerra con il loro nonno. Eppure civiltà vorrebbe…” (Corsera, 5 maggio). Già: civiltà, giusto quella sostanza che viene sbandierata a giustificazione e legittimazione di tanta e tanto frenetica missione umanitaria, zeppa di democrazie congiunte per la grande occasione. E rileggiamo la lettera congiunta che Franco Frattini e collega del Qatar inviano al Corriere(in occasione del vertice romano del Gruppo di contatto internazionale), e sintetizzata nel titolo luccicante di buone intenzioni e libere maiuscole: Pressione militare, diplomazia, sanzioni. La nostra strategia per una Libia libera: “Quella a cui stiamo assistendo non è una guerra civile, ma è la resistenza del popolo libico contro l’aggressione dell’esercito personale del suo leader”. Eccola qua, la magia verbale che aggiusta le cose e copre le magagne: l’esercito libico è degradato a strumento personale del Raìs, la parte di popolo che lo riconosce scompare, le ragioni di interesse materiale che pure premono nella rivolta e nella missione repressiva vengono obliterate. E resta, libero e puro, il bignè delle migliori intenzioni. Il che (ripetiamo per l’ennesima volta) non significa che qui si voglia ignorare quella componente sinceramente democratica che ha dato la spinta della rivolta, specialmente nel “comparto” giovani ambosessi. Un equilibrio che si vorrebbe trovare anche nel fervorino che Angelo Panebianco (Lo sguardo miope della Lega, Corriere citato) fa a Bossi: “La ‘missione’ che la Lega si è data è la difesa del Nord. Ma in un mondo in cui cresce l’insicurezza e le minacce esterne diventano sempre più pericolose, non serve chiudere l’uscio di casa, non c’è salvezza per l’Italia (e dunque nemmeno per il Nord) al di fuori delle sue alleanze internazionali. I radicali mutamenti in corso in Medio Oriente dovrebbero suonare anche per Bossi come un campanello di allarme. Urge, da parte dei leghisti, una seria revisione delle loro idee su come affrontare le sfide che il mondo esterno ci lancia.” Una siffatta revisione non farebbe male neppure a Panebianco se applicata alla sua visione dell’Italia democratica e libera(le) nella sua realtà di differenze abissali tra ricchi e poveri (per dirla all’antica!), di disperazione al limite del suicidio o della rivolta violenta, presso intere categorie sociali, quali emergono da inchieste serie, di vessazioni fiscali criminali (come nell’ultimo Annozero). Invece di questo esame di coscienza si pratica l’etica-politica dello struzzo sulle nazionali magagne, si striscia, più o meno allegramente, davanti agli Alleati di peso (L’Italia alla Clinton: manterremo gli impegni), si svicola in distinzioni patetiche (e un po’ sordide), come si legge in questo “catenaccio” di quel titolo: Il premier: azione militare decisa dal Parlamento, io non la volevo. E meno male che “Non chiede una data finale”. Quanto a Bossi, resta cauto: “Se saranno accolte le nostre richieste? Speriamo, speriamo” “Altrettanto guardingo” si mostra sulla “ritrovata armonia con Berlusconi”: “Vediamo…”.
Intanto, guerra o non guerra, il movimento politico interno non soffre di pause, almeno verbali. Si capisce, il movimentismo berlusconico osserva sempre la sua regola aurea: molte parole, pochi fatti. E così sentiamo di una miriade di promesse progetti programmi riforme e via salendo: Pacchetto sviluppo. In tre anni 65 mila insegnanti nei ruoli. Piano Casa per l’estate. Alle imprese 300 euro per ogni assunto al Sud. Ampliamento degli immobili fino al 20%.  I distretti turistici a burocrazia zero. Un tetto per i mutui a tasso variabile. Sanatoria, per la casa bonus fin o ql 20%. Fisco light per famiglie e commercianti. Che sia l’aria frizzante delle imminenti elezioni locali a insufflare tanta euforia pragmatica? S’intende, un pragma, al presente, tutto e solo verbale. Intanto, si gode, oltre al sorriso, anche i suggerimenti della signora Clinton: Gli Usa suggeriscono di puntare sul dopo-Gheddafi. Magrolino, si vede, come suggerimento e consiglio partneriale. Ma lui, modesto com’è, s’accontenta.
Chiudiamo ignorando le solite recite del Cavaliere contro i giudici comunisti, le presunte menzogne delle accuse palesemente documentate, i processi che oscillano sopra la sua copertura cranica, gli insulti a Fini, la personale moltiplicazione dei pani (e companatico) con l’assunzione di nove sottosegretari comprati col denaro di noi contribuenti (con certi stipendi!), la promessa-impegno di varare altri 10 ministri (?), l’intervento del Quirinale, come da titolo seguente: “Maggioranza cambiata, valutino le Camere”, l’irritazione vibrata dei complici sub specie parlamentare e ministeriale, la volgarità suburrana dei fogliacci di famiglia (Libero, Il giornale) contro Napolitano comunista scontento, le mezze investiture alla successione (Tremonti, Alfano,…); e altre amenità di corsi e ricorsi inarrestabili. A che pro ripetere e ripetersi? Intanto Bossi tenta di riprendersi la bossiade infiacchita: e fa coro con altri geni del giure istituzionale: “Dura la reazione di Pdl e Lega: non servono altri passaggi parlamentari”. E vien fatto di richiamare il memento che circola in questi sfoghi: più dura l’ostinazione a cancellare le evidenze a rischio di questa democrazia bacata, la cui tutela resta affidata a pochi politici validi e a pochissimi uomini di buona volontà di varie istituzioni socio-economiche titolari di chiaroveggenza. Ma troppo pochi contro le masse accecate da bagliori ingannevoli, contro l’ingordigia degli eminenti corrotti. E contro la disperazione di cui si diceva sopra. E che cresce, inarrestabilmente.
Pasquale Licciardello 

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