giovedì 11 agosto 2011

Pauper ubique jacet


"Il povero è a terra in qualsiasi luogo ": così Ovidio. La sentenza latina ne attrae un’altra, “connazionale”, e non meno stentorea: Quid non mortalia pectora cogis, auri sacra fames? Questo è Virgilio. Che tradotto liberamente suona: "Cosa non costringi gli uomini a fare, o esecranda fame dell’oro?" Iniziare così un articolo politico non è una gran trovata, ma qui non si propone un distillato di politica. Tanto meno di economia. O di etica pubblica. Magari una vaga sintesi delle tre specialità. Più corretto ancora sarebbe parlare di personalissimo sfogo di rabbia a stento repressa. O mal controllata.
         Tema-imput dell’occasione, il tanto atteso discorso del premier in Parlamento sul tema “crisi finanziaria”. Deludente, al punto da ispirare una sorprendente sorpresa in un navigato commentatore politico come Sergio Rizzo. Il quale, in un editoriale del Corsera  del 4 scorso (Le attese deluse) confessa fin dal titolo di avere sperato in una specie di miracolo: che il Barzellettiere impunito mettesse la testa a posto e (oh miracolo!) fosse diventato capace di onorare fatti ed evidenze, per brutte che fossero (e a maggior ragione essendo tali). Homo credulus, allora, l’ottimo Rizzo? Diciamo  scusabilmente speranzoso, in forza di circostanze eccezionali. Invece, il famoso messaggio alle Camere del premier millanta, ut semper, e l’onesto osservatore da “rizzo” diventa “riccio”, si chiude, cioè, secondo quel modulo metaforico. Lamenta, infatti, drammatico (e immaginoso): “Dunque la casa continua a bruciare senza che nessuno metta mano all’estintore. Dal discorso in Parlamento del presidente del Consiglio era lecito aspettarsi di più. La decisione di parlare solo dopo la chiusura dei mercati poteva far supporre perfino qualche clamorosa sorpresa. Invece niente. Neppure una timida ammissione, verso un Paese che arranca nel pantano della crisi bombardato da quelli che chiamano speculatori, di avere sbagliato qualcosa. Semmai il contrario: i guai sono del mondo intero, a cominciare dai più bravi (gli Usa). L’Italia è solida, le sue banche sono solide, i conti pubblici stanno meglio di quelli altrui, il nostro sistema pensionistico è invidiato da tutti. Dulcis in fundo il governo resterà al suo posto fino al 2013”. E scusate se è poco. Ma ora, en passant, diciamoci una piccola verità: un attore simile non suscita pure uno sgorgo di ilare ammirazione? Applausi, bis, eccetera. Il Paese (dicono i soloni di merito e quelli d’intrallazzo) è mezzo liquido e sempre più si scioglie, e lui, il prim’attore, impavido, ti spiaccica in faccia (quando ci vuole, anche la cacofonia suona giusta) la selenica pretesa che esso-lui è solido, solidissimo. Tutto qui il messaggio d’incoraggiamento al Mercato? Con culmine “in quel hic manebimus optime ? Che ha tutta l’aria di un improbabile conforto: niente paura, ci sono qua io, il mago delle soluzioni.difficili. Ghe pensi mi.
Niente maghi, con il presidente Napolitano, personalità forte ed onesta, capace di dare segnali chiari in gesti e sollecitazioni sobrie, rispettose dell’evidenza. Ma quanti hanno dato la risposta pratica, oltre che verbale, alla sua esortazione per un’azione di coesione nazionale all’altezza della crisi che ci azzanna? E che sembra avviata ad allargarsi e incrudelire, specialmente verso i Paesi deboli. Era soltanto una minaccia, ieri, oggi è già una realtà. Precisamente, una realtà in progress, che sta seminando panico e sconforto a varie latitudini, facendo invecchiare drasticamente i consigli di De Bortoli (editoriale del 3 scorso): “Il minimo che si possa attendere oggi è l’indicazione di un percorso concreto. L’ascolto delle richieste delle parti sociali. L’assunzione di alcuni impegni precisi che non si potranno disattendere. E se ciò accadesse, allora sarebbe opportuno che il premier ne traesse le doverose conclusioni dimettendosi”. Un consiglio surreale, naturalmente, quell’invito a dimissioni che Berlusconi non darebbe neanche sotto tortura. Né ci possono stupire le fantasie verbali del suo complice (e neosegretario del partito) Angelino Alfano, condannato a dargli sempre ragione. Lecito stupirsi, peraltro, di quella panacea che si tira in ballo ad ogni soffio di ipotesi cliniche per madama l’economia malata: le privatizzazioni: “privatizzare e liberalizzare con decisione”, suona De Bortoli. E subito dopo un altro consiglio, questo, sacrosanto, (e più vicino all’auspicato passe-partout, anche se difficile, fino all’irrealtà): “ridurre drasticamente il costo della burocrazia e della politica”. Come dire a politici e burocrati, insaziabili roditori: accogliete il sottinteso imput virgiliano e dimostrate di non essere succubi del mostro aureo. Da lustri e decenni si sventola il problema dell’eccessiva presenza e costo di burocrazia e politica scaglionate su vari livelli (due fatalità coriacee, burocrazia e politica, che ostentano, spocchiosamente irridenti, la validità perenne di quell’antico esclamativo). “L’adozione di misure eccezionali, anche se dovesse comportare sacrifici per imprese e famiglie”, che sarebbero accettati, scommette De Bortoli, “a fronte di una ripresa degli investimenti e di prospettive meno incerte sul versante della crescita”. E qui spunta il solito motivetto: “interventi più incisivi sul mercato del lavoro e sul sistema previdenziale”, compensati dai solidi investimenti e occasioni di lavoro “per i giovani”. Insomma, sacrifici per chi vuole lavorare, ma profitti garantiti per le sante imprese: il ricattino è trasparente, e il motto ovidiano sugge l’ennesima conferma. Leggiamo la conclusione del’editoriale “E si ascoltino le parole del presidente Napolitano, unica fiaccola nel buio estivo della nostra politica”. Non si avvertite un certo stridore? Napolitano ha restituito allo Stato un bel gruzzolo di milioni rinunciando a certi regolati incrementi del suo stipendio: quanti politici e pezzi grossi hanno seguito il suo esempio? E se taluno concede rinunce, fa ridere Gian Antonio Stella, che ne sventola la ridicola esiguità (tipo 0,3 e vicinanze!).
         Comprensibile che il lugubre Marchionne monocolore (e ricattatore dalla minaccia facile) condivida siffatta aritmetica previsionale: non rifulge, forse, l’indiscutibile esempio americano? Meno denaro nel salario, più ore di fatica-sfruttamento e meno minuti di salutare riposo-pause e un lavoraccio si trova. A rinnovata gloria virgiliana di spudorati miliardari (e, certo, anche a lecita consolazione di piccoli e medi imprenditori non bulimici). Quanto più opportuno, tuttavia, denunciare lo scandalo degli stipendi-monstre chiamandolo col nome giusto: violenza patogena sugli indifesi alla fame (o giù di lì). Intanto la crisi cresce, i titoli dei grandi e piccoli media cartacei e telematici suonano a distesa un allarme dietro l’altro: Choc sulle Borse mondiali, Milano crolla: Ecco un titolo del Corsera (venerdì 5 agosto). Se aggiungiamo occhiello e catenaccio la finestra allargata allarga l’allarme: sul primo: “Indici in tilt: Wall Street a picco. Piazza affari cede il 5,16%. Nuovo record per lo spread Btp-Bund. Trichet: l’Italia acceleri il risanamento”. Sul secondo, ahimè, solo parole in vetrina, di promesse e programmi dal futuro incerto o pencolante, come tutti quelli del premier e della sua orchestra istituzionale. “Piano del governo in 8 punti entro settembre.”, eccetera. Nei servizi si leggono frasi da massimo allarme: “Una vera e propria bufera sui mercati mondiali, Wall Street in testa. Quella di ieri è stata una giornata nerissima, che ha colpito in modo particolare l’Italia”, “Sempre più alto lo spread con il bund decennale tedesco”. L’editoriale (di Daniele Manca, titolo Obbligo di reazione) non è meno denso di ovvio allarme: “Un’America intimorita da una possibile ricaduta in recessione. L’Europa che ha risposto balbettando alla crisi greca, e ammettendo che anche un Paese dell’area della moneta unica poteva avvicinarsi al fallimento. Una Banca centrale europea che solo ieri ha deciso di attivare misure anticrisi per aiutare i Paesi in difficoltà comprando i loro titoli di Stato”.Un risveglio, non solo tardivo, ma anche incapace di evitare la divisione interna all’Eurogruppo, “con il voto contrario della Bundesbank tedesca. Vale a dire del Paese al quale sono legate le sorti dell’euro”. Pessimo esempio, che ha ingigantito “il malessere sotterraneo che da qualche settimana percorre le Borse mondiali” trasformandolo nel “crollo” di cui stiamo consumando gli amari e acerbi frutti. Situazione, dunque, che impone misure drastiche, pena la condanna “a una marginalità difficile se non impossibile da recuperare in futuro". Un indice severo della gravità della nostra posizione è il già segnalato spread, il differenziale dei tassi di interesse tra i nostri Btp (alti) e i Bund tedeschi (bassi). Con l'aggravante che la Spagna di Zapatero è riuscita ad abbassarlo "dai 54 punti del primo luglio agli 11" del 4 agosto, mentre il nostro gode ottima (e pestifera) salute. Quanto alla reazione così poco solidale della solida (lei sì) Germania della Merker, si può anche capire la riluttanza ad aiutare i nostri imprevidenti governanti (dalla parola copiosa ma di fatti magra). Capire, non  applaudire: dove se ne va, così, il senso dell’unità europea?
Situazione fedelmente, quanto severamente, "recensita" dai mercati, questi mostri senz'anima e gonfi di auri sacra fames . L'auspicio del Manca è che uno scatto di resipiscenza attiva nei responsabili riesca a realizzare l'indispensabile: l'anticipo del pareggio di bilancio e l'ascolto dei "preziosi consigli forniti dalla Banca d'Italia", senza lasciar cadere gli stimoli del Presidente Napolitano. Altro che "il piano del governo in 8 punti entro settembre"! I mercati non sono pazienti samaritani, e le parti sociali a ragione pungolano: "misure subito, basta scappatoie". Né conforta, su questo terreno, il vecchio (e cinico) detto, “compagni a duolo, gran consolo”. Nel suo “confronto” (rubrica redazionale) “Noi e gli altri”, l’articolo di Alberto Alesina (Debito e tagli. Quello che l’America non dice) riassume in termini rudi la situazione: “Nel 2008 nel pieno della crisi finanziaria si diceva che ‘la politica avrebbe salvato il mondo’. Forse lo ha fatto ma sicuramente oggi la stessa ‘politica’ sta trascinando  Europa e Stati Uniti in un baratro. L’indecisione dei leader americani e europei ha trasformato una crisi fiscale partita in Grecia in una crisi sistemica. L’inadeguatezza della risposta politica in Italia ha fatto il resto per il nostro Paese. Sarà difficile convincere i mercati con annunci tardivi fatti da un leader screditato”. Questa stilettata di via Solferino al Cavaliere non è robetta di ordinaria routine, e misura meglio di lunghe analisi gli umori del Paese responsabile. Una paura che invoglia a saltare barriere di prudenza e fair play anche “in alto loco” mediatico. Perfino a rischio di gonfiare l’allarme. Dal canto suo Gian Antonio Stella sfrugulia (non insolitamente, ma qui forse con qualche punta di sarcasmo in più) i nostri non eccellenti politici (Ponti e vacanze. I record degli onorevoli): “Uffa la crisi planetaria! Travolti da un’ondata di proteste, letteracce, ironie, commenti, moccoli e invettive, i ‘furbetti del pellegrino’ hanno dovuto fare retromarcia: invece di cinque settimane e mezzo [sic] di vacanza, ne faranno ‘solo’ quattro e mezzo”. Poveracci!
         Il Corsera del 5 ospitava un'analisi di Massimo Gaggi (Quel panico mai scomparso), che comincia con questo lungo flash drammatico: "Il panico è tornato a dominare i mercati di tutto il mondo di fronte allo spettro di una devastante crisi di liquidità in Europa e la constatazione che l'America non ha più munizioni per reagire. Il film della giornata di ieri è pieno di storie di speculatori, operatori disorientati, reazioni irrazionali". Non meno in allarme rosso l'analisi del suo collega Marcello Messori, che denuncia "Il disinteresse per la crescita" e attacca senza sconti la compagine governativa: "Il governo ha manifestato attenzione alle proposte, in molti casi sensate, delle parti sociali, ma l'incontro di ieri non ha segnato quel salto di concretezza che la situazione del Paese imporrebbe. Un'azione che il presidente del Consiglio e il suo esecutivo appaiono incapaci di realizzare". Insomma, tutti gli interventi non fanno che sviluppare la presa d'atto della realtà pesante del mercato: "Una vera e propria bufera sui mercati mondiali, Wall Street in testa. Quella di ieri è stata una giornata nerissima, che ha colpito in modo particolare l'Italia".Incollato alla foto della situazione drammatica, rosseggia di fiamma viva l’immancabile giudizio critico sulla politica e l’azione scadente del governo. Con il pimento, tra l’altro, delle Scintille pubbliche tra il premier e il superministro, affidate ai tasti estrosi di Sergio Rizzo, capace, per l’occasione, di sfoggiare un divertito sadismo: “Mai si era visto Silvio Berlusconi correggere pubblicamente e perentoriamente il ‘genio’ (parole sue) Giulio Tremonti, e mai il ministro dell’Economia correggere altrettanto pubblicamente il presidente del Consiglio”. Da parte sua il Berlù non si lascia scappare l’ennesima occasione di insultare la magistratura: “Show di Berlusconi: anche le toghe frenano la crescita”. E naturalmente, respinge ogni accusa.
         Il 6 agosto sembra portare qualche sconto al pessimismo d’obbligo. Titoli del Corsera: Manovra anticipata, riapre il Parlamento. Berlusconi: pareggio di bilancio già nel 2013”. “Il governo annuncia la riforma del lavoro” E altro modesto risveglio. Che, tuttavia, non alleggerisce la situazione generale, interna ed estera: “Borse ancora giù. Nuovo record negativo dei titoli di Stato, superata la Spagna”. Mentre la Bce preme sull’Italia, il premier parla ai leader europei “per uscire dall’angolo. Da Van Rompuy a Cameron, Merkel e Sarcozy. In questo modo la crisi è internazionalizzata. ‘Nulla è da addebitare alla responsabilità di uno dei governi” (Andrea Garibaldi,I timori dell’isolamento in Europa). Una mossa di evidente rilievo dimostrativo è la lettera a quattro mani inviata a Palazzo Chigi dal presidente della Bce, Jean-Claude Trichet e dal governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi: “suggeriscono al governo le mosse da compiere per bloccare l’attacco dei mercati”. Un vibrato editoriale di Sergio Romano (Bene ma non  basta ) usa il bisturi della franchezza per misurare la gravità della situazione generale, giudicare le misure decise dal nostro Esecutivo, calibrare sull’oculato interesse immediato il comportamento dei mercati, e soprattutto non risparmia accuse precise alla nostra classe dirigente e politica. Eccone un passo: “Se la classe politica, tanto per fare qualche esempio, avesse decurtato sensibilmente i propri benefici, rinunciato all’indecorosa pretesa dei rimborsi elettorali, e messo subito le aziende municipalizzate di fronte all’obbligo morale di tagliare le prebende dei propri consiglieri, i sacrifici chiesti alla grande massa degli italiani sarebbero stati più facilmente accettati; e i mercati avrebbero capito già da qualche settimana che il rischio delle loro scommesse sarebbe stato maggiore”. Ma l’evidente inceppamento di ogni tentativo di scaricare da queste vestali della politica mammonica fosse pure soltanto una significativa porzione degli indegni privilegi, poggia sopra solidarietà rocciose. Scrive Romano: “Conosciamo la resistenza delle lobby, delle corporazioni, delle baronie, delle clientele, tutte pronte a dare battaglia per non perdere nulla di ciò che hanno indebitamente conquistato”. Ma tanta conoscenza non basta a serrare in petto una conclusione non del tutto pessimistica, anzi “spiragliata” verso un chissà legato a un filino di oscillante speranza: “Sappiamo che non vi è partito insensibile ai propri immediati interessi elettorali. E sappiamo infine che molte riforme, necessarie al nostro futuro, non sarebbero mai state fatte se non ci fossero state imposte dall’Europa. Ebbene, in questo Paese del particulare, delle rendite di posizione e dei diritti intoccabili, la crisi può diventare un’occasione straordinaria. Se affrontata con una lucida strategia politica e sostenuta da un solido accordo con le parti sociali, può servire a rimuovere i blocchi stradali che ostruiscono il cammino del merito e della concorrenza, può rendere il Paese più attraente per gli investimenti stranieri, può dare all’Italia la scossa di cui ha bisogno per ricominciare a crescere”. Lo sperare, se non alieno dalla lucidità diagnostica, non è peccato: facendo forza al nostro stagionato pessimismo, ne raccogliamo un filino.
         Domenica 7 agosto. Sul Corsera sfolgora, non allegramente, questo titolone: Bocciatura storica per l’America. “L’agenzia di rating: Paese meno affidabile a causa delle divisioni politiche. La Casa Bianca: errori di calcolo” “Declassato il debito. Schiaffo da Pechino: basta, trovate soluzioni”. L’editoriale è di Mario Monti, e ha un titolo storicheggiante, IL podestà straniero, evocazione del personaggio che veniva chiamato a dirimere questioni locali in epoca comunale e vicinanze: “Mercati, Europa e governo italiano”. L’ispirazione scampana all’incipit: “I mercati, l’Europa. Quanti strali sono stati scagliati contro i mercati e contro l’Europa da membri del governo e della classe politica italiana! ‘Europeista’è un aggettivo usato sempre meno. ‘Mercatista’, brillante neologismo, ha una connotazione spregiativa. Eppure dobbiamo ai mercati, con tutti i loro eccessi distorsivi, e soprattutto all’Europa, con tutte le sue debolezze, se il governo ha finalmente aperto gli occhi e deciso almeno alcune delle misure necessarie”. E’ dovuto alla doppia pressione dei due fattori citati il non fulmineo risveglio dell’orchestra stonata governativa. Da questa ovvia constatazione alla tentazione di cedere a quel di più di ottimismo che nessuna scienza previsionale può concedere il passo non è lungo. E Monti lo fa, pronto a cogliere ondulazioni nei due fenomeni complessi, Europa  e Mercato, lo è elettivamente di più a lodare i due complicati robot di pur vibratile carne vorace, perdonandone le non sempre prevedibili insorgenze egocentriche (un ego personale e plurale), così sovente difficile da domare e far rientrare negli alvei corretti. Nessuno scandalo, ciascuno dei mortali (per dirla in lingua classica) ha le sue preferenze e le proprie debolezze. E l’esclamazione virgiliana brilla della sua eterna fiaccola di verace sospiro.
         Al momento di licenziare questo scrittarello (8. 8. Ore 20) la situazione Usa.-Europa oscilla tra segnali negativi e positivi, ma i primi sommergono i secondi: S&P affonda Wall Street. Le Borse europee tornano al crollo verticale, Milano perde un altro 5,26%, e così via  (Cina ringhiante compresa). Riusciranno i “nostri eroi” a salvarci? Forse. Ma prima bisogna trovarli. Intanto, mentre la Somalia agonizza di fame e nel pianeta la mortalità infantile sfida vittoriosamente l’opera e l’anima dei filantropi sul campo, il motto ovidiano sta godendo l’ennesima conferma. Per esempio, gli ospedali non fanno più il Day hospital.
Pasquale  Licciardello

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