lunedì 26 settembre 2011
Finalmente!
Era ora! Mentre molti accusano la chiesa di accondiscendenza se non di correità, nei confronti degli ignobili baccanali dei palazzi governativi romani trasformati in tanti lupanari, arriva la denuncia forte e chiara di sua eccellenza il vescovo emerito di Grosseto, giacomo babini che, nell'assolvere berlusconi, si scaglia contro ebrei, omosessuali, arabi e quant'altro. Dimentico delle accuse di pedofilia che vengono mosse alla chiesa in molte nazioni, monsignor babini, lancia la sua invettiva e il suo anatema: "Io non ne posso più della retorica inutile di Vendola. Credo, da cattolico, che la omosessualità praticata sia un peccato gravissimo e contro natura, certamente peggiore di chi va con l'altro sesso. Alla luce dei fatti, senza stilare classifiche, Vendola pecca molto di più di Berlusconi". Finalmente una parola chiara e un percorso verso le strade della salvezza.
sabato 24 settembre 2011
L’ineffabile gelmini e il tunnel
La ministra gelmini tenta di cavalcare il successo ottenuto dalla ricerca italiana nello studio della velocità dei neutrini rivendicando dei meriti col risultato di fare ridere tutto il mondo della scienza. Secondo la ministra l’esperimento condotto dai fisici del Cern e dell’INFN, sarebbe stato possibile perché il suo ministero avrebbe finanziato, con ben 45 milioni di euro, un fantomatico tunnel che collegherebbe nientemeno che Ginevra al Gran Sasso, tunnel lungo il quale i neutrini, come tante automobiline, si sarebbero incamminati.
La rete 29 Aprile, Ricercatori per una università pubblica, libera e aperta, rassicura gli anti tav: “Nessun tunnel ma un fascio di neutrini che è stato 'sparato' dal Cern di Ginevra per un viaggio sotterraneo che dura 2,4 millisecondi, raggiunge la profondità massima di tre chilometri per effetto della curvatura terrestre e termina al Gran Sasso, dove il fascio è 'fotografato' da un rilevatore e ne viene misurata la velocità. Quindi tranquilli, soprattutto i cittadini di Firenze che si trovano sulla traiettoria: il viaggio delle particelle, perfettamente rettilineo, non impegna nessuna struttura costruita dall'uomo; e nessuno potrà usare tale esperimento per giustificare una nuova TAV sotto il Trasimeno”. E il mondo continua a scombisciarsi dalle risate, ahinoi (vedi la pagina su twitter http://twitter.com/#!/search/realtime/%23tunnelgelmini)!
domenica 18 settembre 2011
padania e psichiatria
Conoscete un altro paese al mondo dove dei ministri, fra rutti, peti e pernacchie, invocano la secessione, battezzano i bambini e le trote con le acque inquinate di un fiume, si ornano di corna e di divise verdi senza che nessuno di buon senso chiami, non dico la polizia o la buoncostume, ma perlomeno un bravo psichiatra?
sabato 17 settembre 2011
Prostituzione
“Per la prima volta dopo 50 anni una normativa sul fenomeno della prostituzione...La prostituzione è un fenomeno che sta dilagando...Si teme che 20mila persone si prostituiscano contro la propria volontà. Sono ridotte in condizioni di schiavitù, attirate in Italia con lo specchietto del lavoro nella moda o nel cinema o nella televisione, poi costrette in appartamenti, private dei loro passaporti e dei loro documenti, utilizzate e poi minacciate di morte in caso rivelassero a chiunque questa loro condizione..per questo abbiamo fatto un disegno di legge che è intervenuto con delle pene elevate per chi sfrutta la prostituzione...per gli stessi clienti delle prostitute...queste pene siano molto giuste anche quando soprattutto queste prostitute sono minorenni e appaiono per il loro aspetto come tali“.
Dichiarazione di berlusconi alla presentazione del disegno di legge sulla prostituzione. Febbraio 2009. Alla conferenza stampa assiste il ministro della pari opportunità mara carfagna.
venerdì 16 settembre 2011
domenica 11 settembre 2011
Plan per il Corriere violato
Ho appena asciugata l’ultima lacrima del gran pianto per il Corriere stuprato. Mi ripeto ancora: come si fa a concepire sì osceno peccato? Tappare la bocca al più grande quotidiano nazionale, al re dei giornali, buondio, come si fa!? Susanna, l’hai fatta grossa. Imperdonabile leggerezza o dissennata faziosità, sei entrata nella storia nazionale per il l’ingresso sbagliato. Mentre imploriamo l’elegante De Bortoli così indegnamente offeso, di accettare, nel suo magnanimo aplomb, la nostra umile solidarietà di lettore fedele, traslochiamo dal tono ludico a poche osservazioni serie.
Cominciando con un senso di nauseata sorpresa per l’attitudine lecchina di certi leader sindacali degni di meno seria responsabilità: sollevare tanto chiasso, di ciarle dette e scritte, per un atto di solidarietà compatibile con più seria occasione è stata l’ennesima conferma di un’ostilità preconcetta verso la concorrente sindacale. E l’implicita condivisione di una colossale bufala: il diritto all’informazione violato. In un Paese dove l’unico “problema” dell’informazione è la sua diluviale straripanza la mancata deroga della Cgil ai lavoratori del Corriere è meno di un’estiva puntura di zanzara. I signori Bonanni e Angeletti (accidenti ai nomen omen), salvo rarissimi casi, hanno nel Dna politico la vocazione a contrastare le iniziative della concorrente Cgil. Anche sparando sublimi Kazzate. E’ stata forse impedita l’edizione on line? Trasferire un titolo da un dato giorno al successivo è questo orrendo disastro aziendale e delitto sindacale? O, addirittura, vulnus di civiltà?
Ma godiamoci qualche scampolo delle barbute esternazioni dei leader sindacali al lecca-lecca. Ecco il Bonanni dello storico lunedì strombettare, fiero e solenne: “E’ molto grave quello che è successo per il Corriere della Sera. E’ lesivo della libertà di informazione. Negli scorsi scioperi la Cgil aveva mantenuto l’equilibrio, invece questa volta ha minacciato l’uscita del quotidiano. L’unico a non uscire”. Nel sacro fuoco dell’indignazione, il passionale ha ceduto anche a qualche improprietà verbale: se il Corsera è stato l’unico quotidiano a non uscire, quel “minacciato” è debole al confronto con un rigoroso impedito. Anche se quell’unico è falso. Al primo assalto Bonanni, coraggiosamente, fa seguire il secondo, fregiato dai nomi colpevoli: “Camusso, come si vede con la vicenda del Corriere, invece vuole imporre la sua opinione. Dopo l’accordo del 28 giugno scorso è tornata nelle braccia di Landini”. Tra braccia e cognome, sembra che l’onesta Susanna se la intenda con uno sconcio talebano! Più sfumato Angeletti, se, per il “caso raro” incrimina “un clima teso oltre misura”, con “troppa contrapposizione e poco dialogo”. Con inevitabili “scontri tra diritti”, in fattispecie, “quello allo sciopero, da un lato, e quello all’informazione dall’altro”. Fatto deprecabile, “soprattutto se il diritto all’informazione viene sacrificato a danno di coloro che sembrano prospettare idee diverse”. Indi, il botto finale. “A Lei,dunque, caro De Bortoli, che ha dovuto subire le conseguenze di questi contrasti, va la solidarietà mia e della Uil tutta”. E la Camusso, come si muove in tanto clamore? Diremmo, con eleganza e determinazione. Puntando sul secondo sostantivo, eccone il testo, vibrante di quella fermezza-sfida che sarebbe stata bene nelle parole dei due maschi sopra onorati: “Il direttore de Bortoli ha ragione quando dice che sono pochi i giornali non usciti oggi [martedì 6 ], lo prendiamo come monito per essere più presenti nei giornali”. Il full stop è preceduto da questo secco memento: “lo sciopero è un diritto dei lavoratori”
Agli autori degli attestati di solidarietà a De Bortoli direi soltanto una parola, se ne valesse la pena: vergognatevi. Per aver montato una quaestio degna della veneranda Scolastica e del suo massimo campione, Tommaso d’Aquino, una quaestio (e querelle) di pure sonorità verbali in un momento di sventure reali per l’Italia. Anzi, per la sua parte senza difesa contro disoccupazione, carovita, tasse “semoventi”, governo incompetente, politici-casta e maggioranza di ingordi egoisti complici di ricchi e benestanti, teneri con gli evasori (braccati più a suon di stentorei annunci e verbose ciarle che di fatti e contatti) e con gli speculatori più o meno mascherati. Governo capace, infatti, di annunciare e subito rinunciare, a valle di sudici pigolii e ripulse criminali dei ceti-bersaglio, a un mini-prelievo di solidarietà, perfino di un prelievino del 5, poi del 3 % dei redditi da signori viziati e corazzati nel più turpe egoismo. Redditi da 300 mila euro in su! Quando si sarebbe potuto cominciare dai cento o novanta. Et altro non ci appulcro - diremo, in amarezza, col Poeta).
Anzi, sì: prendiamo in prestito da Dario Di Vico la domanda finale dell’editoriale Mettete un punto: “Che fine ha fatto il dimezzamento dei parlamentari?”
Pasquale Licciardello
mercoledì 7 settembre 2011
Ahi la matematica!
Qualche anno fa, quando silvio era giovane e pronto d'intelletto, affermò che aveva rimandato indietro il 137% di Albanesi. Tralasciamo le considerazioni umanitarie e fermiamoci ai numeri. Se mi arrivano 100 Albanesi e li rimando tutti indietro ne ho rimandato il 100%, ma come faccio a rimandarne indietro il 137%? Semplice! Aspetto che facciano dei figli. Quando i miei ipotetici cento Albanesi avranno fatto 37 figli rimando tutti indietro e raggiungo la percentuale del 137%. Miracolo italiano. Ma poi perché proprio 137? Semplice il 137 è un bel numero primo e gemello del 139 e sulla bellezza dei numeri primi ormai nessuno dovrebbe discutere.
Da alcune recenti intercettazioni il nostro afferma "...ma cosa dici? io di gianni letta mi fido al 100%. Anzi, cosa dico... mi fido al 100 per 1000...". Risate dei prof comunisti di matematica: il 100 per 1000 fa il 10%. Embè? E' proprio quello che silvio voleva dire: di letta si fida pochino, anzi quasi nulla! Come dargli torto?
Da alcune recenti intercettazioni il nostro afferma "...ma cosa dici? io di gianni letta mi fido al 100%. Anzi, cosa dico... mi fido al 100 per 1000...". Risate dei prof comunisti di matematica: il 100 per 1000 fa il 10%. Embè? E' proprio quello che silvio voleva dire: di letta si fida pochino, anzi quasi nulla! Come dargli torto?
sabato 3 settembre 2011
Generosità
Il premier berlusconi aiutava tarantini, noto procacciatore di prostitute, momentaneamente in difficoltà, con generose elargizioni. Ventimila euro al mese per i generi di prima difficoltà: pane, acqua e ... Si sa berlusconi è "cuore grande". Mi chiedo: la sua generosità vale anche verso i poveri disgraziati?
Caccia ad ostacoli
Caccia a Gheddafi e ai figli casa per casa: è un sonante titolone del Corriere della sera (26 agosto). Indi trarrem gli auspici. Cominciando col rammentare che tre mesi fa titoli altrettanto trionfali (eppur meno venatori) davano Gheddafi per vinto finito spento. O appena giù di lì. Ora non giureremmo sulla medesima taratura del notizione (ma sì, un tale scoop merita la promozione al…sesso.forte!), tuttavia, come sfilarsi di dosso l’ingombrante pastrano di quel precedente? La guerra libica, questo lercio abuso criminale spacciato per medicina democratica e umanitaria, ci ha ammannito tante di quelle bufale da rendere impervia l’accettazione d’amblé anche delle notizie meglio confezionate.e tambureggianti. Né l’excursus di occhiello e catenaccio aiuta quel boccone rancido a scendere per la gola. Suona il primo: “L’annuncio dei ribelli: l’abbiamo circondato, ormai è in trappola”: ed ecco l’abbaio dello sbruffone. Al quale si accoda la più grande meraviglia del secolo, il nostro premier delle sorprese, sempre pronto a cogliere occasioni d’ impicci fregoliani. “Berlusconi: aiuti economici al nuovo governo”. Meno risibile il catenaccio, che risponde al titolone, capovolgendone, in parte, la prematura iattanza: “Ma il Raìs in un audio: ripuliremo Tripoli, la Libia non è di Francia e Italia”. Che sono parole, forse, di puro azzardo, ma suonano bene contro il sinistro tambureggiare di missili infami aureolati di menzogne cubitali, ma capacissimi di seminare vittime civili. L’articolo di Lorenzo Cremonesi inizia con questo scampanante avallo del titolo: “A Tripoli continua casa per casa la caccia a Gheddafi. Quando i ribelli hanno annunciato di averlo trovato e messo in trappola, il Raìs ha risposto con un audio diffuso dalla tv in cui ha chiesto ai suoi di ripulire la città e affermando” quanto riferito sopra. E qui siamo a parole da leader, qualunque altra cosa possa rivelarsi, domani, il Raìs Proteo. Che qui non si vuole affatto santificare, ma soltanto rendere più credibile del ritratto mediatico ostilmente polarizzato. L’omaggio finanziario di Berlusconi al Consiglio nazionale provvisorio libico durante l’incontro col suo presidente Mahmoud Jibril consiste, per il momento, nella promessa di scongelare “fondi libici per un totale di 350 milioni di euro”. Più “aiuti e garanzie di sostegno umanitario”.
Mentre i macellai Nato discutono sul modo di dividersi la proverbiale pelle (per intendere la ghiotta carne-petrolio-gas) dell’orso ancora vivo e libero, il Corsera affida a Massimo Nava il compito della descrizione del libico futuro democratico a gestione-protezione Nato. Ed ecco l’editoriale dipingere Il Paese che verrà. Il primo capoverso ha l’aria dell’introibo prudenziale: “Con la sola eccezione della caduta del Muro di Berlino, non si ricorda[no] un crollo di regime, in ogni angolo del pianeta, senza una coda di violenze e di più o meno lunga instabilità. E’ dunque prematuro parlare di futuro democratico per la Libia del dopo Gheddafi. Ciò che è certo, in queste ore convulse, fra l’euforia dei fuochi d’artificio e la pena di decine di cadaveri per le strade di Tripoli, è che un’epoca si è chiusa.” E amen, per quelle decine comprensive anche di feroci bambini. Quali, poi, siano, alla luce dei futuribili, i vantaggi di questa chiusura è tutto da verificare per il molto democratico Occidente e per l’intraprendente manipolo di suoi eroici ghiottoni al petrolio, Francia-Sarkozy e Gran Bretagna-Cameron in testa, con dietro, e un po’ defilati, complici più furbi. Situazione adombrata da Nava in termini di onestà documentale: “Probabilmente, gli amici di ieri e gli ultimi alleati di oggi del Raìs scriverebbero un’altra storia, per contestare quella che, nei secoli dei secoli, viene scritta dai vincitori o presunti tali, da coloro che hanno cominciato una rivoluzione appunto per vincerla e da quanti hanno compreso, più o meno rapidamente, da quale parte stare”. A questo punto l’editorialista azzarda “alcuni dati oggettivi” che, invece, sembrano in debito di oggettività. “Il primo è che la fine della dittatura viene salutata dalla stragrande maggioranza della popolazione libica e non solo dai miliziani ribelli. Il secondo è che la caduta di Gheddafi rende meno sicuri altri dittatori, contribuendo a rendere irreversibile, sia pure fra molte incertezze, la primavera araba (durante la quale, è bene ricordarlo, non è stata bruciata una sola bandiera americana). Il terzo è che l’intervento militare ‘esterno’è stato deciso a sostegno di una rivoluzione in atto, che rischiava di essere stroncata nel sangue, spegnendo anche le speranze di milioni di giovani arabi”. L’autore non tace la problematicità dell’iniziativa Nato, non evita confronti con altre imprese con la stessa targa, o addirittura più vasta e di esito catastrofico, come “il tragico tentativo di esportazione della democrazia in Iraq”. Né si nasconde che “probabilmente [?] si continuerà ad argomentare sugli interessi petroliferi in gioco, sui calcoli elettorali di Sarkozy, sulle titubanze italiane, sulla non nuova contraddizione fra ideali generalizzabili e la loro applicazione pratica: limitata, non estensibile ovunque e in ogni stagione, come limitate sono per forza di cose le vicende umane”. Insomma, Nava cede alla umanissima tentazione del mea culpa, sed, e in sostanza riconosce la fatalità delle contraddizioni operative che inquinano anche le più altruistiche (!) ragioni della politica. Ma, invece di dare un chiaro benservito alle puritane illusioni fa l’acrobata dell’eterno alibi: meglio poco che niente. Commovente quando inciampa nel macigno titanico della Cina: “E’ al tempo stesso banale e triste ricordare che non è possibile mettere sotto embargo la Cina per la libertà del Tibet o che un attacco militare alla Siria innescherebbe scenari più complessi che in Libia”. E allora? Allora si crogiola a festeggiare i successi conseguiti dalle iniziative occidentali in accidenti (viva la cacofonia) diversi con una sfilza di “è un fatto che…” distribuiti su un ampio ventaglio, contro i disastri tipo Iraq. Tra tanti “fatti che” si celebra il tempismo della combinata Francia-Inghilterra, si festeggia il culo, pardon, la fortuna, di Barack Obama che succhia “il successo di una missione conseguito con costi e tempi infinitamente più ridotti della fallimentare operazione irachena”, si festeggia l’abilità di Europa e Nazioni Unite che hanno “saputo offrire una cornice di legalità e ottenere il via libera della Lega Araba”. E pazienza se quelle Nazioni Unite hanno sempre perso la faccia contro l’arroganza di un Israele che ha fatto sprezzante pipì sopra ogni loro condanna dei suoi criminali eccessi “auto-difensivi”contro palestinesi e arabi in genere (compresi i culmini biblici di Tell al Shatar e di Sabra e Shatila). Infine il realista Nava boccia la neutralità della Germania, “così rigorosa nel dettare da prima della classe le condizioni dell’economia europea, così timida nel comprendere che il futuro dell’Europa non è soltanto una questione di bond e tassi d’interessi”. E chiude, Nava, con un coerente sospiro di realismo deluso: “Eppure, proprio a Berlino, dovrebbe essere più facile sentire in quale direzione soffia il vento della storia.” Con tanti inchini ai civili sacrificati da quel vento senza vista e con tanto ventre. Ecco, insomma, il meglio che la civiltà democratica dell’Occidente più o meno nostalgico di crociate sa dare alla Storia, inascoltata magistra vitae, fertile di stragi e deliri.
Lo stesso numero del Corriere dedica il suo “Primo Piano (pag 11) al tema La battaglia di Tripoli. Gli scenari. Con un servizio sull’incerto destino futuro delle donne arabe, di Cecilia Zecchinelli (Se le primavere arabe tradiscono le donne) e una “memoria” nostalgica dell’ebreo Roger Abravanel (La mia Libia d’0ro profanata dal Raìs). La riflessione sul possibile futuro delle donne arabe gode di un realismo degno di lode sui tempi e le difficoltà dell’emancipazione: “ci vuole tempo, perché società dominate da religione e tradizioni ancora in gran parte rurali o beduine, con povertà e ignoranza diffuse, un passato (e presente in Egitto) gestito da militari escano dal tunnel del maschilismo.” L’autore ebreo rievoca la cacciata degli ebrei all’avvento di Gheddafi: un’operazione infame, ovviamente, e tanto più quando alla pura espulsione si aggiungevano carognate varie e violenze fisiche. E fa riflettere su come queste violenze siano state (e a Gaza siano ancora e quotidianamente) “applicate” dagli israeliani contro arabi dell’intero Medio Oriente, senza che mai un figlio di Sion o un democratico occidentale senta l’impulso etico di condannarle.
Altra riflessione ci viene ispirata da un titolo del Corriere del 27 agosto, che più lugubremente chiaro non poteva essere: In Libia è l’ora delle vendette. L’occhiello suona:“L’Onu indaga su atrocità commesse dalle due parti. Centinaia di corpi abbandonati in ospedale”. Significativo l’incipit del servizio di Lorenzo Cremonesi: “L’ultimo nascondiglio di Gheddafi potrebbe essere a Sirte. La segnalazione viene da fonti dell’Eliseo. La Francia guida la caccia al Colonnello, mentre Nato e guerriglia libica coordinano gli sforzi per stringere d’assedio la città”. Come vediamo, il Galletto gallico è sempre in testa al corteo: se la coalizione si sbrigherà a catturare il Colonnello, la parte leonina del merito andrà a questo presidente miserello ma gonfio di pretese: come farsi grande, altrimenti, agli occhi della grande Carlà? E come prepararsi a diventare il prossimo inquilino dell’Eliseo?
A noi, poveri lettori senza stemmi e palazzi, suona più incisivo, nella sua brutalità, l’occhiello di quel titolone. Anche per il fatto (banalmente iterativo, nella storia remota o recente) che i media, sempre pronti a civettare con la faziosità, calcano la mano sui crimini della parte “non democratica” e minimizzano su quelli dei nostri, cioè delle forze democratiche per destino e “designazione”. Come appare anche dagli ultimi servizi su quella tragedia offerti dal Corsera del 31 agosto sotto titoli e titoloni. Ecco il principale: Ultimatum ai gheddafiani. “ Quattro giorni per la resa”. Anche questo “occhiello”, infatti, veicola informazioni di ardua garanzia su presunti massacri dei gheddafiani: “Nella caserma del figlio dei Raìs Khamis trucidati 80 prigionieri”. Notizia-bufala? Quanto meno sospetta.di.enfatizzazione. Più credibile il “catenaccio”: “L’ultima roccaforte di Sirte. Fosse comuni a Tripoli”. Interessante l’ultimatum del “governo rivoluzionario”: Ultimatum ai gheddafiani. “Quattro giorni per la resa”.Che più esteso suona: “Deponete le armi, accettate subito di trattare la vostra resa. Se non lo farete entro i nostri termini, saremo costretti ad agire per via militare e colpiremo determinati, inflessibili”. Inutile ricordare che la iattanza “democratica” dei ribelli succhia tutta la “coraggiosa”energia dall’impegnatissima garanzia targata Nato. La quale al momento non bada a certi sintomi di flessione religiosa che, a successo ottenuto, potrebbero svilupparsi in senso islamista. Non sarebbe la prima volta che una rivoluzione nata libertaria e democratica (specialmente per impulso giovanile) sia degenerata, più o meno presto, in nuova e più perniciosa tirannide, quella pretesca, appunto. Inquietanti sono già gli eccessivi sorrisi del leader ribelle Mustafà Abdel Jalil ai sacerdoti in occasione della fine del Ramadan. Gheddafi un despota? Sì, ma con una sua strategia di equilibrio tra regioni e tribù e scalini sociali che ne ha garantito per più di quattro decenni un potere amato o rispettato dal pur vario popolo nella sua maggioranza. Intanto il portavoce della Nato a Bruxelles, colonnello Roland Lavoie, dichiara: “Potrebbe ancora avvenire che la città [Sirte, estrema roccaforte gheddafiana]. cada senza sparare un colpo. Abbiamo assistito negli ultimi giorni a interi villaggi pro Gheddafi che, una volta circondati, si sono arresi in modo relativamente indolore”. Auguri. Una curiosità laterale: un articolo di Maria Teresa Natale sullo stesso Corsera (Quei software occidentali usati dal regime denuncia, in sostanza, la stretta collaborazione mercantile tra Gheddafi e le potenze del democratico Occidente. Tutte, nessuna esclusa. Anzi, l’aggettivo incollato agli affari sa di restrizione benevola, visto che le forniture al Raìs comprendevano sofisticati prodotti elettronici usati dal regime per spiare gli oppositori. Scandalo? Ma no, ordinaria amministrazione del business universale.
Ultimissime da Repubblica on line: “Road map per la nuova Libia “Costituente in 8 mesi, elezioni in 20” Nuovo audio di Gheddafi: Che promette “Guerriglia estenuante”. Il Raìs respinge ogni (umiliante) accordo di resa. Si prepara l’assalto finale. Gheddafi Wanted è un nuovo ruggito del leone “liberatore”. Un leone a dipendenza straniera e insidiato dall’islamismo totalizzante. Che a tanti democratici di oggi farà rimpiangere il diavolo Gheddafi, un laico non privo di colpe, ma immune dal veleno del fanatismo religioso. Il quale, intanto, ha provveduto a mettere in salvo la famiglia. E a confondere i tagliagola che gli danno la caccia. L’espressione non sembri eccessiva: c’è già chi grida “va ucciso”. Ma la caccia continua ad essere ad ostacoli. Rinnovati e riciclabili.
Pasquale Licciardello
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