sabato 3 settembre 2011

Caccia ad ostacoli


Caccia a Gheddafi e ai figli casa per casa: è un sonante titolone del Corriere della sera (26 agosto). Indi trarrem gli auspici. Cominciando col rammentare che tre mesi fa titoli altrettanto trionfali (eppur meno venatori) davano Gheddafi per vinto finito spento. O appena giù di lì. Ora non giureremmo sulla medesima taratura del notizione (ma sì, un tale scoop merita la promozione al…sesso.forte!), tuttavia, come sfilarsi di dosso l’ingombrante pastrano di quel precedente? La guerra libica, questo lercio abuso criminale spacciato per medicina democratica e umanitaria, ci ha ammannito tante di quelle bufale da rendere impervia l’accettazione d’amblé anche delle notizie meglio confezionate.e tambureggianti. Né l’excursus di occhiello e catenaccio aiuta quel boccone rancido a scendere per la gola. Suona il primo: “L’annuncio dei ribelli: l’abbiamo circondato, ormai è in trappola”: ed ecco l’abbaio dello sbruffone. Al quale si accoda la più grande meraviglia del secolo, il nostro premier delle sorprese, sempre pronto a cogliere occasioni d’ impicci fregoliani. “Berlusconi: aiuti economici al nuovo governo”. Meno risibile il catenaccio, che risponde al titolone, capovolgendone, in parte, la prematura iattanza: “Ma il Raìs in un audio: ripuliremo Tripoli, la Libia non è di Francia e Italia”. Che sono parole, forse, di puro azzardo, ma suonano bene contro il sinistro tambureggiare di missili infami aureolati di menzogne cubitali, ma capacissimi di seminare vittime civili. L’articolo di Lorenzo Cremonesi inizia con questo scampanante avallo del titolo: “A Tripoli continua casa per casa la caccia a Gheddafi. Quando i ribelli hanno annunciato di averlo trovato e messo in trappola, il Raìs ha risposto con un audio diffuso dalla tv in cui ha chiesto ai suoi di ripulire la città e affermando” quanto riferito sopra. E qui siamo a parole da leader, qualunque altra cosa possa rivelarsi, domani, il Raìs Proteo. Che qui non si vuole affatto santificare, ma soltanto rendere più credibile del ritratto mediatico ostilmente polarizzato. L’omaggio finanziario di Berlusconi al Consiglio nazionale provvisorio libico durante l’incontro col suo presidente Mahmoud Jibril consiste, per il momento, nella promessa di scongelare “fondi libici per un totale di 350 milioni di euro”. Più “aiuti e garanzie di sostegno umanitario”.
         Mentre i macellai Nato discutono sul modo di dividersi la proverbiale pelle (per intendere la ghiotta carne-petrolio-gas) dell’orso ancora vivo e libero, il Corsera affida a Massimo Nava il compito della descrizione del libico futuro democratico a gestione-protezione Nato. Ed ecco l’editoriale dipingere Il Paese che verrà. Il primo capoverso ha l’aria dell’introibo prudenziale: “Con la sola eccezione della caduta del Muro di Berlino, non si ricorda[no] un crollo di regime, in ogni angolo del pianeta, senza una coda di violenze e di più o meno lunga instabilità. E’ dunque prematuro parlare di futuro democratico per la Libia del dopo Gheddafi. Ciò che è certo, in queste ore convulse, fra l’euforia dei fuochi d’artificio e la pena di decine di cadaveri per le strade di Tripoli, è che un’epoca si è chiusa.” E amen, per quelle decine comprensive anche di feroci bambini. Quali, poi, siano, alla luce dei futuribili, i vantaggi di questa chiusura è tutto da verificare per il molto democratico Occidente e per l’intraprendente manipolo di suoi eroici ghiottoni al petrolio, Francia-Sarkozy e Gran Bretagna-Cameron in testa, con dietro, e un po’ defilati, complici più furbi. Situazione adombrata da Nava in termini di onestà documentale: “Probabilmente, gli amici di ieri e gli ultimi alleati di oggi del Raìs scriverebbero un’altra storia, per contestare quella che, nei secoli dei secoli, viene scritta dai vincitori o presunti tali, da coloro che hanno cominciato una rivoluzione appunto per vincerla e da quanti hanno compreso, più o meno rapidamente, da quale parte stare”. A questo punto l’editorialista azzarda “alcuni dati oggettivi” che, invece, sembrano in debito di oggettività. “Il primo è che la fine della dittatura viene salutata dalla stragrande maggioranza della popolazione libica e non solo dai miliziani ribelli. Il secondo è che la caduta di Gheddafi rende meno sicuri altri dittatori, contribuendo a rendere irreversibile, sia pure fra molte incertezze, la primavera araba (durante la quale, è bene ricordarlo, non è stata bruciata una sola bandiera americana). Il terzo è che l’intervento militare ‘esterno’è stato deciso a sostegno di una rivoluzione in atto, che rischiava di essere stroncata nel sangue, spegnendo anche le speranze di milioni di giovani arabi”. L’autore non tace la problematicità dell’iniziativa Nato, non evita confronti con altre imprese con la stessa targa, o addirittura più vasta e di esito catastrofico, come “il tragico tentativo di esportazione della democrazia in Iraq”. Né si nasconde che “probabilmente [?] si continuerà ad argomentare sugli interessi petroliferi in gioco, sui calcoli elettorali di Sarkozy, sulle titubanze italiane, sulla non nuova contraddizione fra ideali generalizzabili e la loro applicazione pratica: limitata, non estensibile ovunque e in ogni stagione, come limitate sono per forza di cose le vicende umane”. Insomma, Nava cede alla umanissima tentazione del mea culpa, sed, e in sostanza riconosce la fatalità delle contraddizioni operative che inquinano anche le più altruistiche (!) ragioni della politica. Ma, invece di dare un chiaro benservito alle puritane illusioni fa l’acrobata dell’eterno alibi: meglio poco che niente. Commovente quando inciampa nel macigno titanico della Cina: “E’ al tempo stesso banale e triste ricordare che non è possibile mettere sotto embargo la Cina per la libertà del Tibet o che un attacco militare alla Siria innescherebbe scenari più complessi che in Libia”. E allora? Allora si crogiola a festeggiare i successi conseguiti dalle iniziative occidentali in accidenti (viva la cacofonia) diversi con una sfilza di “è un fatto che…” distribuiti su un ampio ventaglio, contro i disastri tipo Iraq. Tra tanti “fatti che” si celebra il tempismo della combinata Francia-Inghilterra, si festeggia il culo, pardon, la fortuna, di Barack Obama che succhia “il successo di una missione conseguito con costi e tempi infinitamente più ridotti della fallimentare operazione irachena”, si festeggia l’abilità di Europa e Nazioni Unite che hanno “saputo offrire una cornice di legalità e ottenere il via libera della Lega Araba”. E pazienza se quelle Nazioni Unite hanno sempre perso la faccia contro l’arroganza di un Israele che ha fatto sprezzante pipì sopra ogni loro condanna dei suoi criminali eccessi “auto-difensivi”contro palestinesi e arabi in genere (compresi i culmini biblici di Tell al Shatar e di Sabra e Shatila). Infine il realista Nava boccia la neutralità della Germania, “così rigorosa nel dettare da prima della classe le condizioni dell’economia europea, così timida nel comprendere che il futuro dell’Europa non è soltanto una questione di bond e tassi d’interessi”. E chiude, Nava, con un coerente sospiro di realismo deluso: “Eppure, proprio a Berlino, dovrebbe essere più facile sentire in quale direzione soffia il vento della storia.”  Con tanti inchini ai civili sacrificati da quel vento senza vista e con tanto ventre. Ecco, insomma, il meglio che la civiltà democratica dell’Occidente più o meno nostalgico di crociate sa dare alla Storia, inascoltata magistra vitae, fertile di stragi e deliri.
         Lo stesso numero del Corriere dedica il suo “Primo Piano (pag 11) al tema La battaglia di Tripoli. Gli scenari. Con un servizio sull’incerto destino futuro delle donne arabe, di Cecilia Zecchinelli (Se le primavere arabe tradiscono le donne) e una “memoria” nostalgica dell’ebreo Roger Abravanel (La mia Libia d’0ro profanata dal Raìs). La riflessione sul possibile futuro delle donne arabe gode di un realismo degno di lode sui tempi e le difficoltà dell’emancipazione: “ci vuole tempo, perché società dominate da religione e tradizioni ancora in gran parte rurali o beduine, con povertà e ignoranza diffuse, un passato (e presente in Egitto) gestito da militari escano dal tunnel del maschilismo.” L’autore ebreo rievoca la cacciata degli ebrei all’avvento di Gheddafi: un’operazione infame, ovviamente, e tanto più quando alla pura espulsione si aggiungevano carognate varie e violenze fisiche. E fa riflettere su come queste violenze siano state (e a Gaza siano ancora e quotidianamente) “applicate” dagli israeliani contro arabi dell’intero Medio Oriente, senza che mai un figlio di Sion o un democratico occidentale senta l’impulso etico di condannarle.
         Altra riflessione ci viene ispirata da un titolo del Corriere del 27 agosto, che più lugubremente chiaro non poteva essere: In Libia è l’ora delle vendette. L’occhiello suona:“L’Onu indaga su atrocità commesse dalle due parti. Centinaia di corpi abbandonati in ospedale”. Significativo l’incipit del servizio di Lorenzo Cremonesi: “L’ultimo nascondiglio di Gheddafi potrebbe essere a Sirte. La segnalazione viene da fonti dell’Eliseo. La Francia guida la caccia al Colonnello, mentre Nato e guerriglia libica coordinano gli sforzi per stringere d’assedio la città”. Come vediamo, il Galletto gallico è sempre in testa al corteo: se la coalizione si sbrigherà a catturare il Colonnello, la parte leonina del merito andrà a questo presidente miserello ma gonfio di pretese: come farsi grande, altrimenti, agli occhi della grande Carlà? E come prepararsi a diventare il prossimo inquilino dell’Eliseo?
A noi, poveri lettori senza stemmi e palazzi, suona più incisivo, nella sua brutalità, l’occhiello di quel titolone. Anche per il fatto (banalmente iterativo, nella storia remota o recente) che i media, sempre pronti a civettare con la faziosità, calcano la mano sui crimini della parte “non democratica” e minimizzano su quelli dei nostri, cioè delle forze democratiche per destino e “designazione”. Come appare anche dagli ultimi servizi su quella tragedia offerti dal Corsera del 31 agosto sotto titoli e titoloni. Ecco il principale: Ultimatum ai gheddafiani. “ Quattro giorni per la resa”. Anche questo “occhiello”, infatti, veicola informazioni di ardua garanzia su presunti massacri dei gheddafiani: “Nella caserma del figlio dei Raìs Khamis trucidati 80 prigionieri”. Notizia-bufala? Quanto meno sospetta.di.enfatizzazione. Più credibile il “catenaccio”: “L’ultima roccaforte di Sirte. Fosse comuni a Tripoli”. Interessante l’ultimatum del “governo rivoluzionario”: Ultimatum ai gheddafiani. “Quattro giorni per la resa”.Che più esteso suona: “Deponete le armi, accettate subito di trattare la vostra resa. Se non lo farete entro i nostri termini, saremo costretti ad agire per via militare e colpiremo determinati, inflessibili”. Inutile ricordare che la iattanza “democratica” dei ribelli succhia tutta la “coraggiosa”energia dall’impegnatissima garanzia targata Nato. La quale al momento non bada a certi sintomi di flessione religiosa che, a successo ottenuto, potrebbero svilupparsi in senso islamista. Non sarebbe la prima volta che una rivoluzione nata libertaria e democratica (specialmente per impulso giovanile) sia degenerata, più o meno presto, in nuova e più perniciosa tirannide, quella pretesca, appunto. Inquietanti sono già gli eccessivi sorrisi del  leader ribelle Mustafà Abdel Jalil ai sacerdoti in occasione della fine del Ramadan. Gheddafi un despota? Sì, ma con una sua strategia di equilibrio tra regioni e tribù e scalini sociali che ne ha garantito per più di quattro decenni un potere amato o rispettato dal pur vario popolo nella sua maggioranza. Intanto il portavoce della Nato a Bruxelles, colonnello Roland Lavoie, dichiara: “Potrebbe ancora avvenire che la città [Sirte, estrema roccaforte gheddafiana]. cada senza sparare un colpo. Abbiamo assistito negli ultimi giorni a interi villaggi pro Gheddafi che, una volta circondati, si sono arresi in modo relativamente indolore”. Auguri. Una curiosità laterale: un articolo di Maria Teresa Natale sullo stesso Corsera (Quei software occidentali usati dal regime denuncia, in sostanza, la stretta collaborazione mercantile tra Gheddafi e le potenze del democratico Occidente. Tutte, nessuna esclusa. Anzi, l’aggettivo incollato agli affari sa di restrizione benevola, visto che le forniture al Raìs comprendevano sofisticati prodotti elettronici usati dal regime per spiare gli oppositori. Scandalo? Ma no, ordinaria amministrazione del business universale.
Ultimissime da Repubblica on line: “Road map per la nuova Libia “Costituente in 8 mesi, elezioni in 20” Nuovo audio di Gheddafi: Che promette “Guerriglia estenuante”. Il Raìs respinge ogni (umiliante) accordo di resa. Si prepara l’assalto finale. Gheddafi Wanted è un nuovo ruggito del leone “liberatore”. Un leone a dipendenza straniera e insidiato dall’islamismo totalizzante. Che a tanti democratici di oggi farà rimpiangere il diavolo Gheddafi, un laico non privo di colpe, ma immune dal veleno del fanatismo religioso. Il quale, intanto, ha provveduto a mettere in salvo la famiglia. E a confondere i tagliagola che gli danno la caccia. L’espressione non sembri eccessiva: c’è già chi grida “va ucciso”. Ma la caccia continua ad essere ad ostacoli. Rinnovati e riciclabili.
Pasquale Licciardello

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