martedì 21 settembre 2010

Aiuti al terzo mondo. Dall'Italia tante promesse....


ORMAI è prassi: per dirsi soddisfatti del risultato di un summit internazionale, i Paesi partecipanti se ne devono sempre uscire con una dichiarazione di buoni intenti, la più ambiziosa e politically correct possibile. FAO, G8 e quant'altro, ci siamo abituati come fosse una nenia. Oggi, com'è giusto che sia, si fa un gran parlare del summit delle Nazioni Unite sugli Obiettivi del Millennio di New York. Un incontro multilaterale che almeno ha il pregio di essere prima di tutto una verifica rispetto a un impegno importante, dichiarato 10 anni fa: eliminare la povertà estrema entro il 2015.

La Dichiarazione del Millennio del 2000 stabilì un programma preciso su cui lavorare, tempi da rispettare, chi e come avrebbe dovuto fare il lavoro. Guardando i dati, si può dire che in 10 anni alcuni progressi ci sono stati - e questo emergerà dal summit - ma oltre a rilanciare bisognerà anche fare attenzione a chi si prenderà il merito di quanto fatto fin'ora. La vera novità del 2000 fu che gli 8 Obiettivi vennero affidati principalmente ai Paesi poveri: 7 a loro e uno solo a quelli ricchi. Insomma chi aveva il problema era incaricato di risolverlo nel nome della diversità, secondo piani precisi, gestendo le risorse messe a disposizione da altri. Molti Paesi negli anni si sono rivelati virtuosi: Mozambico, Ghana, Ruanda e Tanzania per esempio, nonostante l'Africa resti il continente più in ritardo. Anche in Asia si sono fatti passi importanti, però c'è chi non ha fatto la sua parte, e anche in modo clamoroso.

Il punto otto ci fa riflettere, e arrabbiare. Si chiama "partenariato globale per lo sviluppo" ed è la promessa dei Paesi più ricchi, tra cui l'Italia naturalmente, di destinare entro il 2015 lo 0,7% del proprio Pil in "Aiuto pubblico allo Sviluppo". Il Pil non misurerà la felicità, ma in questo caso ci aiuta a misurare l'impegno dei nostri governi su quelle che dovrebbero essere le loro priorità. Svezia, Norvegia, Lussemburgo, Danimarca, Olanda e Belgio hanno già superato lo 0,7%. Gran Bretagna, Francia, Spagna e Germania ci stanno lavorando. Gli altri molto meno, tanto che la media è soltanto dello 0,31%. Tra l'altro, ieri Sarkozy in apertura ha rilanciato con forza l'idea rivoluzionaria di una tassa globale sulle transazioni finanziarie. E l'Italia? No, non siamo gli ultimi come da buoni maligni e disfattisti avrete già pensato. Siamo penultimi, prima della Corea del Sud. Siamo allo 0,1%.

Si direbbe quasi che siamo i campioni nel fare promesse e non mantenerle, oppure nel giochino di rifare sempre la stessa promessa a ogni summit, che sembra il preferito dei ricchi. Nel 2005, durante il G8, ci siamo impegnati per lo Sviluppo in Africa. Dopo quattro anni abbiamo raggiunto soltanto il 3% di quanto promesso. E ciò che è stato detto dopo il G8 dell'Aquila? È innegabile che siamo di fronte a una palese mancanza, speriamo non dettata da una precisa strategia politica. La Fao ci comunica che dopo continui aumenti, il numero degli affamati e dei denutriti quest'anno finalmente è sceso sotto il miliardo. Forse hanno iniziato a fare meglio il loro dovere, ma c'è poco da rallegrarsi perché restano oltre 900 milioni le persone in drammatica difficoltà, una cifra scandalosa. Inoltre sono già piovute critiche da parte del mondo religioso e laico impegnato sul campo: spesso queste cifre sono figlie di congiunture internazionali, non fotografano realmente il problema. Una dichiarazione siffatta una settimana prima del summit di New York suona tanto come un voler mettere le mani avanti.

Dove si è potuto intervenire con la formula della partnership prevista dalle Nazioni Unite nel 2000, invece, le cose sembrano aver funzionato di più, sembra la strada giusta. Ora, di fronte al mondo, l'Italia come giustifica la sua indifferenza?

Ci risponderanno - se prima non daranno la colpa all'avversario politico di turno - che viviamo in tempi di crisi e che nel 2000 non si poteva prevedere cosa ci è piovuto tra capo e collo negli ultimi anni. Nonostante questo però c'è stato chi il suo dovere l'ha fatto, anche in anticipo rispetto ai patti. Forse i nostri grandi statisti non sono in grado di comprendere che un mondo in cui si è sconfitta la povertà è un mondo migliore, in cui tutti trarrebbero giovamento. Meno migrazioni, per esempio. Che bello spot sarebbero per la Lega, così preoccupata di chi attraversa i nostri confini, gli aiuti umanitari di Governo, se fossero reali. È desolante leggere le cronache politiche italiane, delle nostre beghe da cortile, mentre a New York si parla di risolvere il problema della povertà estrema.

In Italia la più attiva è sempre la società civile. C'è la campagna della Coalizione Italiana contro la Povertà, cui hanno aderito in tanti, che proprio in questi giorni promuove l'adesione alla Campagna "Stand Up! Take Action!" sugli Obiettivi del Millennio. L'anno scorso aderirono 173 milioni di persone nel mondo e più di 800.000 mila in Italia: un italiano su settanta. La società civile lo vuole, ma i Governi sembrano sordi, e sempre dalla parte dei ricchi. Per esempio, come fanno le Nazioni Unite a tollerare che oggi nel mondo siano in atto speculazioni finanziarie sulle materie prime alimentari? Ci sono fondi finanziari internazionali che con una sola operazione sono in grado di accaparrarsi intere percentuali della produzione mondiale di grano, riso o mais e di bloccarle nei magazzini. Sono operazioni che andrebbero vietate, controllate e poi punite a livello internazionale, perché si tratta di speculazioni che se a noi poi costano l'aumento di qualche centesimo per un chilo di pasta, per intere popolazioni invece rappresentano la fame. Proprio in Mozambico, uno Stato che s'è distinto nell'impegno verso gli Obiettivi del Millennio, nei giorni scorsi sono scoppiate rivolte per il pane. Un buon lavoro di anni può essere vanificato con un clic per una transazione finanziaria.

Gli Obiettivi del Millennio, in materia di lotta alla fame e alla povertà, possono essere mantenuti e ampiamente superati. Siamo la prima generazione mondiale che ha tutti i mezzi per farcela. Si può davvero fare tanto con poco, mentre l'Italia non fa niente.

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